Ci sono titoli che nascono come dichiarazioni di intenti e altri che germogliano come poesie. La Quinta Stagione appartiene a questa seconda categoria. Il regista Giuseppe Carrieri lo descrive come un’intuizione arrivata durante le lunghe conversazioni con Paola Valeria Jovinelli, ideatrice e produttrice del documentario proiettato in anteprima nella sezione Giornate degli Autori all'82esima Mostra del Cinema di Venezia e che mercoledì prossimo, 24 settembre, approderà all'Ortigia Film Festival di Siracusa, nella sezione Off17 in collaborazione con Sguardi Altrove Film Festival (sarà proiettato all'Arena Minerva alle ore 20). Ci racconta Carrieri: «La quinta stagione richiama l’attesa di un tempo nuovo, non scandito dai calendari o dalle abitudini. È la metafora di qualcosa che ancora non esiste ma che sentiamo avvicinarsi, mentre, silenziosamente, costruiamo il presente». Un titolo che diventa promessa e traiettoria: quella di un viaggio attraverso l’Italia, dentro la vita e la cucina di cinque donne straordinarie, chef che hanno trasformato la loro arte in un atto di resistenza e libertà.

Si tratta di
Caterina Ceraudo, una stella Michelin al ristorante
Dattilo di Strongoli (Crotone), che lavora nella tenuta agricola di famiglia, in una relazione costante con il paesaggio calabrese,
Martina Caruso, una stella Michelin al
Signum di Salina (Messina), che ha costruito la propria identità sull’isola in cui è nata, trasformando un luogo remoto in un punto di riferimento, Valeria Piccini, due stelle Michelin al
Da Caino a Montemerano (Grosseto), che incarna la Toscana più autentica, quella fatta di radici contadine, sapori netti e gesti tramandati con pudore,
Antonia Klugmann, una stella Michelin a
L’Argine a Vencò a Dolegna del Collio (Gorizia), che ha scelto di lavorare al confine, in uno spazio dove la natura e la riflessione si influenzano a vicenda e
Cristina Bowerman, una stella Michelin a
Glass Hostaria di Roma, ha costruito il proprio percorso nel cuore di Trastevere, con uno sguardo aperto e multiculturale.
La fiducia come ingrediente principale
Prima ancora di accendere la camera, il regista e la sua squadra, composta anche dai suoi studenti della Laurea Magistrale in Televisione, Cinema e New Media dell’Università IULM, hanno cucito la trama invisibile del film: la fiducia. Quando le telecamere hanno iniziato a girare, le relazioni erano già mature. Non c’era più distanza tra chi riprendeva e chi veniva ripreso: solo una prossimità che diventava poesia visiva. «Non volevamo un documentario arido, ma un’esperienza partecipativa ed empatica» spiega. L’obiettivo era creare un racconto intimo e poetico, capace di avvicinare lo spettatore alle protagoniste. Come in cucina, anche nel cinema la tempistica è tutto. «Sono nato impaziente, ma ho imparato che l’intimità chiede cautela. È come cucinare: servono l’attimo giusto, la lentezza giusta, la temperatura perfetta». Così la troupe ha attraversato l’Italia seguendo equinozi e solstizi: primavera con Caterina Ceraudo, estate con Martina Caruso a Salina, autunno con Valeria Piccini a Montemerano, l’inverno nebbioso di confine con Antonia Klugmann, per finire con la Roma "quattro stagioni + 1" di Cristina Bowerman. Le difficoltà? «Il meteo, soprattutto. Ma la varietà dei paesaggi è stata il nostro spartito. Ogni luogo ci ha regalato più possibilità che ostacoli». Gli sfondi hanno rappresentato dei veri e propri protagonisti, contribuendo a dare al film al sua identità visiva.
Un viaggio tra luoghi, caratteri, sapori e stagioni
Il documentario si sviluppa come un itinerario che attraversa il Paese e il tempo. «Siamo stati viaggi-autori - racconta il regista - I chilometri percorsi erano parte integrante della narrazione». Non sono mancati gli imprevisti: meteo non sempre clemente, scene da salvare all’ultimo istante, logistica complessa. Ma proprio la varietà di paesaggi ha dato al film la sua identità visiva. «Ogni tappa ha lasciato un ricordo indelebile», continua
Carrieri. Il film è punteggiato di aneddoti. «C’è la scena sul trattore di
Caterina Ceraudo, divertente e complicata da girare, che ha sciolto il ghiaccio con la troupe. L’alba a Salina, con il pescatore
Pasqualino da convincere a farsi riprendere all’alba solitario sulla sua barca. La corsa contro il tempo della brigata di
Valeria Piccini a Montemerano, che ha trasformato la cucina in un concerto orchestrato tra i vicoli del borgo. La notte nebbiosa con
Antonia Klugmann, tra i rami spogli del confine, con la troupe che camminava insieme nella notte come astronauti in missione. E poi Roma, dove
Cristina Bowerman ha portato energia contagiosa tra meteo avverso e scioperi dei taxi, fino al momento in cui un raggio di sole, improvviso, ha salvato la scena. Questi frammenti di vita condivisa», ricorda il regista, «sono stati la vera energia psicologica del viaggio».

Sul set de La quinta stagione
Di ogni chef
Carrieri conserva una bella sensazione. «
Caterina Ceraudo è la dolcezza materna, generosa e accogliente,
Martina Caruso è una luce timida che si apre lentamente, come un fiore al sole,
Valeria Piccini è maestria e tenerezza, capace di far sentire chiunque a casa, anche accanto all’eccezionalità del suo talento,
Antonia Klugmann guarda il mondo con occhi poetici, leggendo nei rami e nelle nebbie segni che altri non vedono,
Cristina Bowerman è energia pura, piroclastica, un vulcano che travolge con la sua vitalità contagiosa. Sono donne che incarnano la resistenza», spiega, «resistenza nel creare, nell’andare controcorrente, nel trasformare la cucina in arte. E soprattutto, nel saper sorridere, oltre ogni fatica». Il cibo è protagonista silenzioso del film, ma non come semplice espressione di gusto. Il regista ha assaggiato i piatti delle chef, ciò che però ha assaporato davvero è stato l’incontro con le loro storie. «Non ricordo un sapore, ma un’emozione. I loro piatti non sono solo cibo, sono materia viva, dialogo con la natura. Quello che resta non è il gusto, ma l’esperienza. Ogni creazione è un gesto che racconta la natura e la persona che lo compie. Questi piatti non si possono solo assaggiare. Bisogna comprenderli, viverli. Ciò che resta non sono i sapori, ma i momenti: l’incontro con la natura, la scoperta di come un ingrediente possa diventare storia». Queste chef non cucinano soltanto: resistono. Resistono appunto alle difficoltà, ai contesti ostili, alle convenzioni.
La forza della lentezza, una scelta sentimentale
Il ritmo de
La quinta stagione non è quello frenetico delle produzioni contemporanee, ma quello lento e rispettoso della natura e delle persone. «La costruzione del tempo è una scelta sentimentale», spiega
Carrieri. «Non avrebbe avuto senso restituire l’impressione di un tempo rapido. Volevamo un cinema capace di indugiare. Non poteva essere un film “veloce”, perché
La quinta stagione parla di attese, di cicli naturali, di cose che crescono piano. È il nostro modo di guardare al mondo con rispetto, di dare valore a ciò che richiede tempo». Il montaggio e il sottofondo musicale hanno cucito insieme immagini e silenzi, ricreando la delicatezza di un viaggio che, alla fine, è approdato a Venezia come un cerchio che si chiude.
Più che un documentario, La quinta stagione è un viaggio nella bellezza e nella resistenza, una celebrazione della cucina come arte e della vita come atto creativo. Un film che ci ricorda che esiste sempre una stagione in più, invisibile e possibile, che aspetta solo di essere vissuta. La quinta stagione è soprattutto, una metafora potente della vita: mentre costruiamo silenziosamente il nostro presente, stiamo preparando il terreno a ciò che deve ancora nascere. Così, tra viaggi, ricette, paesaggi e volti, il film diventa un invito a credere nell’invisibile, a riconoscere che esistono stagioni dell’anima.
Un film che non osserva soltanto: partecipa, respira, vive
La quinta stagione è un film che non si limita a osservare, ma si immerge. Non è solo un documentario: è un cammino poetico tra chef, natura e sapori, un’ode alla lentezza e alla fiducia. «Abbiamo scelto fin dall’inizio di creare un legame profondo con le protagoniste, così che ogni scena fosse viva, condivisa, mai distante». Girato tra la fine del 2023 e l’inizio del 2025, il film segue cinque grandi chef attraversando l’Italia come una mappa emozionale. I paesaggi diventano personaggi, le cucine palcoscenici di piccole rivoluzioni quotidiane. «Ogni luogo ci ha offerto più opportunità che ostacoli. La varietà dei paesaggi è stata la nostra orchestra», racconta il regista. A volte, però, la natura ha imposto le sue regole: una scena interrotta da una tempesta, un’alba attesa invano, un raggio di sole arrivato giusto in tempo per illuminare un volto stanco. Le protagoniste sono donne di straordinaria forza. «Incarnano la resistenza», spiega il regista, «nella fatica di portare avanti imprese in contesti difficili, nell’andare controcorrente, nel trasformare la cucina in arte, nel superare le convenzioni. E sanno sorridere, sempre, oltre la stanchezza».

Sul set de La quinta stagione
Il documentario mostra un viaggio che non è mai solo geografico, ma interiore, in cui la natura, la cucina e la vita stessa si intrecciano in un’unica, irripetibile armonia. Lo racconta bene, nel film, anche una delle chef protagoniste,
Antonia Klugmann. «Non siamo mai uguali. Quando si dice che un cuoco fa cucina di territorio, in realtà ci si confronta con due concetti, un territorio interiore, che si modifica sempre, e un territorio esteriore di riferimento per gli ingredienti, per la storia. Man mano che muti il tuo territorio interiore, ti relazioni con quello esterno in maniera diversa. Chi muta sei tu. Devi essere in continuo ascolto dei tuoi cambiamenti e soprattutto devi in continuazione muoverti interiormente perché le cose non siano statiche».
Dopo un anno di viaggi, incontri e riprese, il film è arrivato al montaggio come un mosaico di vite e stagioni. Studenti dell’
Università IULM coinvolti sul campo, errori da cui “imparare bene” e una squadra diventata famiglia. «Alla fine abbiamo fatto un film, ma soprattutto abbiamo vissuto anche noi una quinta stagione: quella delle attese, dei viaggi, delle persone. La più preziosa di tutte. Ogni equinozio, ogni solstizio, ha scandito il nostro lavoro. Siamo partiti in inverno e abbiamo finito di nuovo in inverno. Nel frattempo, siamo cambiati tutti. E in fondo anche noi, io e
Paola Valeria Jovinelli, abbiamo lavorato come studenti, sempre pronti a meravigliarci e a imparare». La quinta stagione, in fin dei conti, non è solo un documentario. È un invito a credere nella possibilità di un tempo nuovo, fatto di resistenza, poesia e coraggio. È un viaggio che celebra la cucina come arte e la vita come atto creativo, in cui ogni gesto, come ogni stagione, attende il momento giusto per rivelarsi. La speranza è poter vedere presto questo viaggio sul grande o sul piccolo schermo. Al momento, chi possiede l'abbonamento, può vederlo online su
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