15-05-2011
Tocca a Marco Arzilli, segretario di Stato per l’Industria, artigianato e commercio lanciare la «Seconda edizione di Identità di Libertà, più matura dell’anno scorso. Una rassegna di cui andiamo fieri. Perché i sapori della nostra terra sono anche quelli del nostro popolo: veri, sinceri e semplici». Microfono a Paolo Marchi, curatore della kermesse: «I cuochi non devono essere schiavi della tradizione. Il concetto di questa edizione è stato quello di invitare cuochi e figure che sanno cucinare aggiungendo del loro». Sorpresa: arriva Luca Gardini, sommelier campione del mondo: abbinerà a ognuno della ventina di piatti della giornata (più quelli a sorpresa) bevande ad hoc. Il primo “cuoco” è Sergio Motta, mentore di un ristorante/griglieria aperto a Inzago nel Milanese, il 10.10.2010. L’uomo che accorcia la filiera tra la macellazione e il piatto porta sul palco un bue piemontese di 30 mesi. Taglio anteriore, un quintale di peso, un contadino di Serralunga d’Alba: “È il dilemma di tutti i macellai”, spiega, “e anche il nostro Kobe. Ha un grasso fantastico, mai in eccesso. E poi profuma”. Mica da tutte le carni. Per scardinarlo, impugna attrezzi da falegname (per noi che non sappiamo distinguerli). Magatelli, cappelli del prete, diaframma, biancostato. Una lezione di anatomia zoologica cui seguono i primi assaggi per i 15 fortunati a turno della giornata. Carpaccio in due versioni: semplice e con prosciutto crudo e parmigiano a roselline. Tartare. Roast beef all’inglese, dalla punta al biancostato. Arrosto al vapore di birra. In accompagnamento, Gardini avanza con un Tessano Riserva 2007, servito a 16°C, autoctono sanmarinese che è complemento alle grandi carni.
Sergio Motta brandisce il suo bue (foto di Monica Assari)
Sale sul palco Alessandro Gilmozzi, una timidezza inversamente proporzionale alla verve creativa. Trentino, traghetta al pubblico del Kursaal un tema inedito su questi schermi: il lichene commestibile (bene specificare l’aggettivo, giacché in Europa esiste anche il luppina, una specie molto tossica). “Metà alga e metà fungo - prende lo zucchero dalla prima e l’acqua dal secondo -, il lichene impiega un anno e mezzo a crescere”, spiega Gilmozzi, “fino a un paio d’anni fa si poteva trovare nelle erboristerie. Ma i prezzi eccessivi hanno scoraggiato la vendita al dettaglio. Per quello occorre andare a coglierlo di persona”. Come fa lui nel video che gli scorre alle spalle, sgambettando su e giù per la val di Fiemme all’alba, momento in cui l’umidità è al picco. I piatti coi licheni sono due: Rocher di foie gras, lichene di pino sbriciolato e polline d’edera. E poi Borderline, nome di fantasia per via delle zone di confine in cui sono raccolti gli ingredienti di questo dessert, realizzato con topinambur, croccante al mais con gemme di abete, gelato di larice, licheni e resina. il lichene poggiato in vetta è candito. Applausoni post-assaggio. Reduce da un viaggio da Gibilterra a Madeira, parte della traversata di 7 Mosse X l’Italia, capeggiata al timone da Giovanni Soldini, Moreno Cedroni ha invece trovato onde altissime: “Non pensavo di soffrire così, ma è stata una super-esperienza”. Lo scettro di re di cucina di mare comunque non lo cede. A San Marino fa il punto sulla sicurezza del crudo, un tema cui tiene tantissimo. L’esergo del discorso è fondamentale: “La minaccia dell’anisakis è concreta e presente in tutti i mari e in tutti i pesci. Inutile nascondere il problema: c’è e noi ristoratori dobbiamo denunciarlo perché altrimenti si pagano multe salatissime e si cade nel penale. Il pubblico, invece, deve capire che l’abbattimento del pesce non è roba da furbetti ma è figlio della volontà di sanare un problema. E gli stessi clienti hanno un compito: martellare di domande il ristoratore, senza aver paura di temere chissà che”. La carrellata di piatti che segue è una vera e propria “verticale” del Clandestino, il mirabile gazebo sul mare aperto a Portonovo sotto il Conero 11 anni fa. C’è il tonno delle stagioni 2009 (capitolo di Susci a colori, il filone di quella stagione), 2010 (Figlio dei fiori) e quello di quest’anno (Susci selvaggio), molto interessante perché a memoria non ricordiamo precedenti match tra selvaggina e pesce crudo. L’idea è arrivata scrutando, tastando e addentando tordi e beccacce al Bulli di Ferran Adrià: “Ci sono grandi affinità di texture tra volatili e pesci”, l'illuminazione che n'è scaturita. Dunque oggi a Portonovo ogni pinnato viene con il suo gemello alato. Capriolo e ricciola. Lepre e baccalà. Fagiano e spada. Quaglia e tonno. Un progetto in perenne cammino come quello dei tonni che proprio ora vengono a deporre le uova sulle nostre coste, dopo lunghe traversate. Nel divenire delle preparazioni di Cedroni, la ricetta ideale esiste: “È quella in cui gli ingredienti stanno talmente bene assieme che non ne avverti la crudità”. Il cioccolato, l’amore per la materia prima, la tecnica di pasticceria, la pastry art come dimensione prima di tutto ludica (“dev’essere un gioco”). Sono le pillole del Gianluca Fusto-pensiero, ancora una volta amplificate sotto i nostri riflettori. Il punto è che non ci si stanca mai. Questa volta, per la prima volta, il pupillo di Aimo Moroni tira fuori il pollicione verde. È il Green Dessert, una composizione di regale leggerezza cui anche la chilometrica dicitura “Crema di sedano, insalata di finocchi e mele Granny Smith, cialdina di finocchietto selvatico, servito con bevanda benessere a base di verdure” non riflette totalmente la complessità. Il punto è che per lui “tutto è molto semplice” ma si chiama talento. Di trasformare nel semplice composizioni che sommano tecniche altamente laboriose. Salsa di mela verde centrifugata e montata con extravergine. “E non ho fatto altro che realizzare un cerchio dentro a un quadrato”. Infusioni a freddo coi gambi del basilico. “Tecniche che fissano le molecole aromatiche”. Chiosa finale sulla divisione tra pasticceria da ristorazione e pasticceria da laboratorio, una separazione sempre più necessaria che occuperà Fusto e Identità Golose a lungo.
La mucca al pascolo di Massimo Bottura (foto di Monica Assari)