15-05-2011

Identità di Libertà 2011

Kursaal di San Marino, 15 maggio. Da Sergio Motta a Gianluca Fusto. Tutta la cronaca di una giornata da non dimenticare

Da sinistra, Luigi Sartini, Simone Padoan, Moreno Cedroni, Andrea Aprea, Alessandro Gilmozzi, Massimo Bottura, Gianluca Fusto e Sergio Motta. I protagonisti di Identità di Libertà 2011 (foto di Emilio Scoti)
Da sinistra, Luigi Sartini, Simone Padoan, Moreno Cedroni, Andrea Aprea, Alessandro Gilmozzi, Massimo Bottura, Gianluca Fusto e Sergio Motta. I protagonisti di Identità di Libertà 2011 (foto di Emilio Scoti)

Tocca a Marco Arzilli, segretario di Stato per l’Industria, artigianato e commercio lanciare la «Seconda edizione di Identità di Libertà, più matura dell’anno scorso. Una rassegna di cui andiamo fieri. Perché i sapori della nostra terra sono anche quelli del nostro popolo: veri, sinceri e semplici». Microfono a Paolo Marchi, curatore della kermesse: «I cuochi non devono essere schiavi della tradizione. Il concetto di questa edizione è stato quello di invitare cuochi e figure che sanno cucinare aggiungendo del loro». Sorpresa: arriva Luca Gardini, sommelier campione del mondo: abbinerà a ognuno della ventina di piatti della giornata (più quelli a sorpresa) bevande ad hoc.

Il primo “cuoco” è Sergio Motta, mentore di un ristorante/griglieria aperto a Inzago nel Milanese, il 10.10.2010. L’uomo che accorcia la filiera tra la macellazione e il piatto porta sul palco un bue piemontese di 30 mesi. Taglio anteriore, un quintale di peso, un contadino di Serralunga d’Alba: “È il dilemma di tutti i macellai”, spiega, “e anche il nostro Kobe. Ha un grasso fantastico, mai in eccesso. E poi profuma”. Mica da tutte le carni. Per scardinarlo, impugna attrezzi da falegname (per noi che non sappiamo distinguerli). Magatelli, cappelli del prete, diaframma, biancostato. Una lezione di anatomia zoologica cui seguono i primi assaggi per i 15 fortunati a turno della giornata. Carpaccio in due versioni: semplice e con prosciutto crudo e parmigiano a roselline. Tartare. Roast beef all’inglese, dalla punta al biancostato. Arrosto al vapore di birra. In accompagnamento, Gardini avanza con un Tessano Riserva 2007, servito a 16°C, autoctono sanmarinese che è complemento alle grandi carni.

Sergio Motta brandisce il suo bue (foto di Monica Assari)

Sergio Motta brandisce il suo bue (foto di Monica Assari)

Ecco Simone Padoan, ovvero “la faccia bella della pizza italiana”, come la disegna Paolo Marchi. Per il cuoco vicentino di stanza a San Bonifacio nel Veronese, la pizza ha la stessa dignità di qualsiasi portata centrale dell’alta cucina. Uno schiaffo agli impasti frisbee dei circuiti fast food. La fermentazione, intanto: “Dev’essere non indotta ma spontanea, da lievito madre a pasta acida. Poi, sopra, i prodotti che le stagioni consegnano”. Il primo esempio dice bufala campana e pomodori datterini. La seconda è con casatella (formaggio fresco), carne cruda (con senape che è un po’ come wasabi e zenzero, come fanno i giapponesi), condita appena con olio e sale, piselli e germogli di piselli. Piccola dissertazione sull’importanza della farina: “La mia è integrale. Ma integrale per davvero, non bianca con poca aggiunta di crusca come tante che si trovano in giro: si ricava decorticando la parte esterna del grano (nel mio caso italiano e austriaco) e la si macina direttamente”. Questo perché “le intolleranze che abbiamo sviluppato non s’annidano nelle materie prime in sé ma nelle manipolazioni che nei decenni abbiamo fatto sulle stesse”. Illuminante. Per il resto, abbaglia Gardini: la pizza va benissimo con lo spumante Titano, un metodo Charmat che mette assieme chardonnay, biancale e persino sangiovese.

Arriva Andrea Aprea, in transito tra Napoli e Milano, dove prenderà il timone del Park, ristorante del Park Hyatt, a partire da luglio prossimo. Nel frattempo il dna partenopeo prevale (e sarebbe assurdo il contrario, nonostante le diverse esperienze cosmopolite del nostro). La frittata di maccheroni, tema di oggi, affonda le sue radici ai tempi dei Borboni. Il piatto di recupero napoletano per eccellenza. “Quando si riuniscono elementi cotti il giorno prima con uovo crudo, sale e pepe – io uso molto meno uovo di quel che usano le nonne napoletane - si forma una crosticina spessa e dura che contrasta col contenuto, che deve rimanere morbido. Questa la versione di “ieri”, spaghettoni di Gragnano pucciati in una concentrazione di San Marzano. Quella di “oggi” recupera invece dei bucatini con salsa di caciocavallo podolico, brodo vegetale, fave, polvere di pancetta, il tutto impanato nel pane di segale. Di che diventar scemi. sotto i fendenti dello spettro gustativo/di consistenze La chiusura, abbinata a Caldese di San Marino (chardonnay e ribolla), spetta al Mezzo pacchero di patate di Avezzano cotto a vapore, piselli, pecorino e polipo. “Complessità incredibile”, commenta Marchi, “costruita su una serie di ingredienti semplici”. Bendiddio per i milanesi, rammarico per i napoletani.

Dopo il buffet, aperto dal gettonatissimo Krapfen con maionese d’alghe e anguilla brasata di Alessandro Gilmozzi e chiuso da un soave (nel senso di zuccheri e grassi, limitati al 3%) Green Dessert su cui Gianluca Fusto intratterrà a fine giornata (vedi più sotto), scocca l’ora di Massimo Bottura. Che si dilegua lasciando la scena a Pellegrino Artusi, “un visionario che vedeva nitidamente cose che nessuno alla sua epoca riusciva nemmeno a immaginare”. Il decalogo artesiano scandisce ognuno dei tre piatti della giornata. Esempio uno: “Rispettate gli ingredienti naturali. E assecondateli secondo il buono, il bello e il giusto. Cioè pagate il giusto prezzo ai produttori che si fanno un mazzo così”. Altro principio: “Usare ingredienti di qualità”. Col corollario tipicamente botturiano: “Il chilometro zero è nella nostra testa: occorre avere chiara sin dall’inizio la strada che si va a percorrere”. Numero tre: “Siate semplici. Ma semplici come Matisse che sottraeva e sottraeva ancora per trovare la linea perfetta”.
Veniamo ai piatti, diretta applicazione della teoria artusiana. “Col primo ho voluto riprodurre nel piatto quel che una mucca mangia al pascolo assieme a quello che ti restituisce”. Nel dettaglio: asparagi selvatici, fave e piselli con il loro succo,ottenuto sottovuoto e a bassa temperatura (e la loro polvere ghiacciata in rifinitura). Germogli di pisello. Erbe aromatiche come dragoncello e timo. Un pizzico di pepe di Sechuan. Una clorofilla che ricorda l’erba appena tagliata. Che è quel che la mucca mangia. Quel rilascia è invece il latte, qui trasposto in forma di crema di cagliata e infuso di crema di affioramento in infusione col pepe. L’abbinamento di Gardini è un Moscato spumante leggermente dolce, simbolo della eno-San Marino che verrà.
Il secondo piatto è giocato sull’ironia, “perché è fondamentale guardare le cose da una certa distanza”. È una ghiotta parodia delle zuppe di pesce che ci si passava da un tavolo all’altro nelle osterie della Riviera romagnola. Una Crema di zuppa di pesce con lumachine di mare raccolte da una scarpetta di pane fatto su radici di sedanorapa, tartufo, topinambur. Che vengono cotte, bollite, ridotte, disidratate e polverizzate. “È una farina di terra. Un argine di un fiume”. E chiude una schiuma di mare profumata al citrico.
Il terzo piatto presentifica lo “scambio di materie e conoscenze”, vitale tra cuochi e produttori del nostro Paese. È l’omaggio all’anniversario dell’Unità d’Italia, “un insieme di ingredienti che all’apparenza comunicano poco”. All’apparenza. Sul piatto sfilano, infatti, una accanto all'altra ricotta d’alpeggio affumicata. Nocciola del Piemonte caramellizzata. Olive taggiasche leggermente cotte. Amarena Modena. Limone confit. Pomodori del piennolo. Origano selvatico, capperi al fior di sale di Guerand di Gabrio Bini. Mandorle amare e bergamotto del Caffè Sicilia di Noto. Sale alla vaniglia. Spuma di mozzarella bianca. Foglie realizzate con pasta di menta e basilico. Storia e geografia in pochi cm quadrati.

Sale sul palco Alessandro Gilmozzi, una timidezza inversamente proporzionale alla verve creativa. Trentino, traghetta al pubblico del Kursaal un tema inedito su questi schermi: il lichene commestibile (bene specificare l’aggettivo, giacché in Europa esiste anche il luppina, una specie molto tossica). “Metà alga e metà fungo - prende lo zucchero dalla prima e l’acqua dal secondo -, il lichene impiega un anno e mezzo a crescere”, spiega Gilmozzi, “fino a un paio d’anni fa si poteva trovare nelle erboristerie. Ma i prezzi eccessivi hanno scoraggiato la vendita al dettaglio. Per quello occorre andare a coglierlo di persona”. Come fa lui nel video che gli scorre alle spalle, sgambettando su e giù per la val di Fiemme all’alba, momento in cui l’umidità è al picco. I piatti coi licheni sono due: Rocher di foie gras, lichene di pino sbriciolato e polline d’edera. E poi Borderline, nome di fantasia per via delle zone di confine in cui sono raccolti gli ingredienti di questo dessert, realizzato con topinambur, croccante al mais con gemme di abete, gelato di larice, licheni e resina. il lichene poggiato in vetta è candito. Applausoni post-assaggio.

Reduce da un viaggio da Gibilterra a Madeira, parte della traversata di 7 Mosse X l’Italia, capeggiata al timone da Giovanni Soldini, Moreno Cedroni ha invece trovato onde altissime: “Non pensavo di soffrire così, ma è stata una super-esperienza”. Lo scettro di re di cucina di mare comunque non lo cede. A San Marino fa il punto sulla sicurezza del crudo, un tema cui tiene tantissimo. L’esergo del discorso è fondamentale: “La minaccia dell’anisakis è concreta e presente in tutti i mari e in tutti i pesci. Inutile nascondere il problema: c’è e noi ristoratori dobbiamo denunciarlo perché altrimenti si pagano multe salatissime e si cade nel penale. Il pubblico, invece, deve capire che l’abbattimento del pesce non è roba da furbetti ma è figlio della volontà di sanare un problema. E gli stessi clienti hanno un compito: martellare di domande il ristoratore, senza aver paura di temere chissà che”. La carrellata di piatti che segue è una vera e propria “verticale” del Clandestino, il mirabile gazebo sul mare aperto a Portonovo sotto il Conero 11 anni fa. C’è il tonno delle stagioni 2009 (capitolo di Susci a colori, il filone di quella stagione), 2010 (Figlio dei fiori) e quello di quest’anno (Susci selvaggio), molto interessante perché a memoria non ricordiamo precedenti match tra selvaggina e pesce crudo. L’idea è arrivata scrutando, tastando e addentando tordi e beccacce al Bulli di Ferran Adrià: “Ci sono grandi affinità di texture tra volatili e pesci”, l'illuminazione che n'è scaturita. Dunque oggi a Portonovo ogni pinnato viene con il suo gemello alato. Capriolo e ricciola. Lepre e baccalà. Fagiano e spada. Quaglia e tonno. Un progetto in perenne cammino come quello dei tonni che proprio ora vengono a deporre le uova sulle nostre coste, dopo lunghe traversate. Nel divenire delle preparazioni di Cedroni, la ricetta ideale esiste: “È quella in cui gli ingredienti stanno talmente bene assieme che non ne avverti la crudità”.

Il cioccolato, l’amore per la materia prima, la tecnica di pasticceria, la pastry art come dimensione prima di tutto ludica (“dev’essere un gioco”). Sono le pillole del Gianluca Fusto-pensiero, ancora una volta amplificate sotto i nostri riflettori. Il punto è che non ci si stanca mai. Questa volta, per la prima volta, il pupillo di Aimo Moroni tira fuori il pollicione verde. È il Green Dessert, una composizione di regale leggerezza cui anche la chilometrica dicitura “Crema di sedano, insalata di finocchi e mele Granny Smith, cialdina di finocchietto selvatico, servito con bevanda benessere a base di verdure” non riflette totalmente la complessità. Il punto è che per lui “tutto è molto semplice” ma si chiama talento. Di trasformare nel semplice composizioni che sommano tecniche altamente laboriose. Salsa di mela verde centrifugata e montata con extravergine. “E non ho fatto altro che realizzare un cerchio dentro a un quadrato”. Infusioni a freddo coi gambi del basilico. “Tecniche che fissano le molecole aromatiche”. Chiosa finale sulla divisione tra pasticceria da ristorazione e pasticceria da laboratorio, una separazione sempre più necessaria che occuperà Fusto e Identità Golose a lungo.

La mucca al pascolo di Massimo Bottura (foto di Monica Assari)

La mucca al pascolo di Massimo Bottura (foto di Monica Assari)