Mamma e shef (con la esse). Valeria Piccini è anche Cavaliere della Repubblica, fresca di nomina, il 2 giugno scorso. Abbiamo conversato con la shef del ristorante Da Caino di Montemerano (Grosseto), 2 stelle Michelin. Valeria ha scelto di fare questa intervista a casa, nel cuore della Maremma, per stare tranquilla e rispondere con calma. Ricordi del passato. Risposte genuine e veraci, proprio come lei. In esclusiva per la nostra maxi-intervista anche materiale fotografico inedito, raccolto dalla collezione degli album di famiglia. Buona lettura!
A chi devi dire grazie?
(Valeria rimane qualche istante in silenzio e poi sospira lentamente, ndr). «Direi grazie ai miei suoceri e ai miei genitori. Mia suocera Angela, o come la chiamo io “Sant'Angela”, mi ha dato la possibilità di crescere. Dove la trovi una suocera che lascia la sua cucina alla nuora, giovane, di appena 20 anni, ti aiuta e ti supporta a fare ciò che vuoi? Non so perché abbia deciso così. Forse perchè aveva capito che avevo stoffa. Oppure perché aveva compreso che volevo molto bene a suo figlio Maurizio. Se non avessi avuto accanto lei, non sarebbe andata così, è stata una grande!».

Foto del matrimonio tra Valeria Piccini e suo marito Maurizio Menichetti, era il 1978
Chi ti dovrebbe ringraziare?
«Sono felice quando mi ringraziano. Chi si sentiva di farlo lo ha sempre fatto. Chi non lo ha fatto probabilmente non meritava ciò che gli ho insegnato.
Un tuo celebre fioretto ti ha portato a smettere di fumare...
«Mi avevano informato che al mio babbo restava poco tempo da vivere. Non potevo fare niente, avevo le mani legate. Per la prima volta ho pensato: “Faccio un fioretto”. Da un giorno all'altro. Fumavo tantissimo, tre pacchetti al giorno. Non sono riuscita a salvare papà, al contrario è stato lui in qualche modo che ha voluto aiutarmi a smettere con le sigarette. C'è riuscito, non fumo più. Con mio papà ero molto legata, anche caratterialmente intendo. Come me era una persona di poche parole. Riservata. Sincera. Mai bugie, mai una parola fuori posto. Ti racconto un aneddoto: lui aveva il pollice verde e curava da sempre un orto anche in base alle mie richieste, alle mie esigenze. Di fianco alle piante aveva una piccola vigna. Passava così tanto tempo in campagna che i suoi amici gli dicevano scherzando: “Enzo, oggi l'hai preparato il caffè alla vigna?”». (Raccontando questo aneddoto Valeria si emoziona, poi glissa con una leggera risata, ndr)
Eppure tu fumavi ancora quando, nel 1992, scrivevi sui tuoi menu: "Si pregano i signori clienti di non fumare"...
«Io volevo che i clienti apprezzassero i piatti che servivamo al tavolo. Non volevo che interrompessero la degustazione. I clienti reagivano in maniera opposta: alcuni con grande rispetto e comprensione, ad altri invece non importava nulla. Questo lo sentivo come una grande mancanza di rispetto verso il nostro lavoro».
Quale è stata la richiesta più curiosa che avete ricevuto da un vostro cliente?
«Pollo arrosto! Un nostro cliente speciale chiede sempre il pollo arrosto. Però è un fuori menu... È un piatto diciamo semplice, non penso di inserirlo in carta, ma bisogna selezionare la carne giusta. Polli ruspanti. Lo accontentiamo volentieri».

Anatra all'arancia al Da Caino
C'è un piatto che ti ha ispirato durante uno dei vostri viaggi?
«Un piatto che mi ha colpito tantissimo è stata la peking duck che ho mangiato ad Hong Kong. Mi ha sconvolto! Ne avrei mangiate dieci tutte insieme. Me le sarei volute mettere in valigia con destinazione Montemerano. A livello di gusti è stato davvero un viaggio interessante. Ho assaggiato anche la zuppa di serpente. Piatti che probabilmente non gusterò mai più. Pensando all'anatra ho ancora in mente quella sensazione di pelle vitrea... Ho provato a replicare qualcosa di simile con il mio piccione croccante, perché mi era davvero rimasta impressa».
Proprio del tuo piccione si dice che sia unico. Anzi, nel 1994 Stefano Bonilli lo definì indimenticabile. Come mai? Quale è il segreto?
«Innanzitutto la qualità del piccione deve essere eccelsa. Il mio segreto rende la pelle croccante e la carne al sangue. Si tratta di una miscela di aceto e miele con le giuste quantità».

Piccione, albicocche e sesamo nero
Quali sono i tre ingredienti di cui non puoi fare a meno?
«In primis l'olio di oliva. Ovviamente toscano, anzi maremmano! Poi, anche se non è un vero e proprio ingrediente, direi la pasta. La pasta è importante, a casa si mangia almeno una volta al giorno. In ogni mio menu ne inserisco almeno due piatti. E infine la carne. Quella di agnello, compreso le interiora».
Ne aggiungerei un quarto, so che sei molto affezionata ai capperi. Come mai questo amore?
«È vero! Sono affezionata ai capperi e ti spiego il motivo. Abbiamo degli amici in Costiera Amalfitana, la famiglia
Cinque de
Il San Pietro di Positano. Grazie a loro sono riuscita a conoscere i capperi in maniera più “intima”. Ho assaggiato i capperi dell'isola Li Galli, sono molto rari. In dialetto li chiamano
lacrimella. E poi la cosa particolare è che questo ingrediente si trova in tante ricette toscane, in diversi piatti della tradizione: nella salsa verde, nel crostino toscano, nel pollo alla cacciatora... È un ingrediente che utilizzo con piacere».
Nel 2004 hai collaborato con Ferran Adrià al congresso Lo Mejor de la Gastronomia, a San Sebastián. Cosa ti ricordi?
«Che grande esperienza! Un pubblico internazionale. Avevo già due stelle ma non è una cosa che fai tutti i giorni. Ero molto emozionata, dentro hai sempre paura di dire qualcosa di sbagliato. Ero già stata al congresso nelle precedenti edizioni, come spettatrice; poi nel 2003 mio figlio Andrea (Andrea Menichetti, già chef e oggi maître di sala del Da Caino, ndr) ha vinto un premio proprio a Lo Mejor de la Gastronomia per i suoi Ravioli di olio extravergine di oliva. Così l'anno successivo all'apertura della manifestazione abbiamo servito a tutti i partecipanti i suoi ravioli. Ferran Adrià è poi venuto a trovarci a Montemerano ed è stato un periodo di scambio culturale e gastronomico unico. Ad esempio, ricordo di avergli raccontato la cenerata, un processo antichissimo per pulire i ceci tramite la filtrazione della cenere. È stato bello. Molto bello».

Ravioli all'olio extravergine di oliva, colatura di alici e capperi, coulis di pomodoro fresco e olio al basilico: è il piatto con il quale il figlio di Valeria, Andrea, conquistò un premio a Lo Mejor de la Gastronomia, a San Sebastiàn, nel 2003
Sono passati oltre venti anni. Come è cambiata la ristorazione nel frattempo?
«Quando ho iniziato a lavorare non c'era tutta questa mediaticità. Le cose venivano preparate con calma e per scoprire qualcuno o qualcosa passavano diversi anni. Ora invece si vuole tutto e subito. Questa è una cosa che mi da fastidio. Per esempio, dalla prima alla seconda stella noi abbiamo aspettato otto anni. Oggi invece si vuole solo correre, se non si è sulla cresta dell'onda non sei nessuno. Ogni passo che facevamo era un passo consolidato. Adesso davvero è tutto un “corri corri”, ma cosa devono rincorrere?! Le persone sono diventate molto più egocentriche. Quando presi la prima stella conoscevo poco il mondo delle guide. Non lavoravo per prendere riconoscimenti. Lavoravo bene e volevo lavorare bene, i riconoscimenti ne sono la conseguenza. Qualche tempo fa avevo un giovane in cucina per uno stage. I genitori vengono a parlarmi per sapere se loro figlio fosse pronto per fare televisione! È una cosa normale?». (
Valeria è davvero infastidita da questo comportamento, ndr).

Valeria Piccini e il figlio Andrea preparano il formaggio, qualche anno fa
Invece come è cambiata la Maremma?
«La Maremma fortunatamente è rimasta ancora un po' selvaggia. Purtroppo però non si trovano come in passato prodotti della tradizione casalinga. Ad esempio, il formaggio in casa non lo fa più nessuno. Ci sono ormai poche aziende, soprattutto biologiche, che riescono a produrre determinati caci autentici. La burocrazia ha fatto scomparire tanta tradizione... Noi stessi il formaggio ce lo preparavamo in casa, mi sembra ancora di assaporarne il gusto... C'era un caldo incredibile, si lavorava la mattina presto o la sera. Che ricordi! Ne ero ghiottissima. Porto avanti questa tradizione: dal 1978, infatti, servo in tavola il pane caldo ripieno di ricotta di Manciano. Mi sta venedo l'acquolina! Mi piacerebbe addentarlo adesso».

Giungo scorso: Valeria Piccini nominata Cavaliere della Repubblica
Sei da poco stata nominata Cavaliere della Repubblica, complimenti!
Sì. sono diventata Cavaliere, grazie! Hanno suggerito il mio nome, mi ha fatto davvero molto piacere. Penso si siano accorti dei miei 47 anni di grande lavoro e di dedizione in cucina. Tutta la mia famiglia è stata contenta di questo riconoscimento. Mio marito
Maurizio mi ha accompagnato alla cerimonia ed è stata una grande emozione».
Un articolo diceva che al Da Caino c'era una “giovane mamma” in cucina: è una frase che ti fa piacere o è stata la leva per farti chiamare shef?
«Devo essere sincera, mi fa molto piacere. Piacerissimo. Non sono più giovane ma sono sempre mamma. Andrea vorrebbe un mio supporto maggiore. Però tutti i giorni ci diamo forza a vicenda».
Hai un passatempo fuori della cucina?
«Ho poco tempo! Però quando voglio rilassarmi a casa scrivo le mie ricette su piccoli quaderni.

Un quaderno di ricette scritto da Valeria Piccini
Quali sono i tuoi libri di riferimento nel mondo della cucina?
«Non c'è un vero e proprio libro di riferimento. Però posso dirti che il primo libro che ho avuto è stato
La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene di
Pellegrino Artusi, me lo regalò
Maurizio, all'epoca eravamo ancora solo fidanzati. Avevo 15 anni. Lo conservo con cura. È un ricordo, un inizio. Poi ho letto con piacere tutti i libri di
Alain Ducasse, uno per ogni argomento».
Raccontami la tua colazione.
«In questo periodo sto facendo dieta, per stare meglio. Al momento la mia colazione è composta da porridge, avena, frutta fresca e un quadretto di cioccolato. Oppure uno yogurt con le noci, che adoro, un quadretto di cioccolato e un caffè. Questa colazione mi fa stare bene».
"Gelato di latte di capra, emulsione di olio extravergine di oliva e arance": nel 2015 hai proposto questo dessert durante una cena di beneficienza a Bari per il poliambulatorio di Casa Sollievo della Sofferenza – Opera di San Pio da Pietrelcina. Proprio San Pio aveva a cuore il principio “i bambini salveranno il mondo". Anche per te è così?
«I bambini cambieranno il mondo. Però il mondo deve essere cambiato prima dai genitori. I bambini hanno bisogno di un esempio. Dobbiamo essere noi a insegnare alle nuove generazioni come comportarsi. Parte tutto dalla famiglia. Il futuro può essere incerto ma l'educazione parte sempre dalla famiglia».
Come sarà la cucina italiana in futuro?
«La cucina sarà ancora tradizionale perchè è rassicurante, è confortevole. Sicuramente ci sarà ancora la cucina di avanguardia, di studio. Ci sarà una convivenza tra queste due anime. Però chi vorrà fare il cuoco dovrà imparare bene le basi della tradizione e il rispetto della materia prima. Penso a una tavola etica, attenta allo scarto. Altrimenti roviniamo il mondo».
Come andò quando scopristi di aver conquistato la prima e poi la seconda stella?
«Nel 1991 non si organizzava la cerimonia di premiazione, come ora; mi ricordo che il direttore inviava un semplice telegramma per comunicare l'attribuzione. L'annuncio della seconda stella, però, fu molto particolare: me lo disse un collega! La sera prima della presentazione della Michelin, lui era a Rimini a una fiera e
trovò per caso in una libreria la nuova edizione della guida che era finita sugli scaffali in anticipo, prima della presentazione ufficiale, per errore. Questo mio collega se la comprò subito, la sfogliò e così poté darmi la notizia in anteprima: “Valeria, hai preso la seconda stella!”. Io rimasi a bocca aperta: “Stai scherzando o
mi prendi in giro?”».

Valeria Piccini con Gualtiero Marchesi, Davide Oldani e il fotografo Gianni Rizzotti nel 2014, alla presentazione (alla Triennale di Milano) del libro fotografico Beyond the Chef, con gli scatti dello stesso Rizzotti
A quale celebre personaggio che non hai mai conosciuto vorresti cucinare un tuo piatto?
«Ho cucinato per tantissimi grandi, però mai per
Gualtiero Marchesi. Eppure ci conoscevamo, ci siamo incontrati spesso, lui frequentava le Terme di Saturnia, che sono proprio vicino al nostro ristorante. Però non è mai riuscito a venire al
Da Caino perché programmava i bagni termali sempre nel periodo in cui noi eravamo chiusi per ferie... Sicuramente gli avrei voluto preparare i ravioli all'olio di
Andrea».
In cucina ascoltate musica?
«No. La cucina è molto piccola, siamo sempre almeno 6 o 7 persone. Non capiremmo nulla. A volte cantiamo cose a caso per ridere, però niente musica. Mi darebbe fastidio. So che per molti è rilassante, però nel mio spazio preferisco il silenzio. Se qualcuno ascolta la musica, appena entro io in cucina si spegne tutto».
Esiste un cibo che non mangi?
«Assaggio sempre tutto, però proprio non amo la pajata. Non la ordinerei, ha un sapore troppo forte».

Valeria Piccini in un frame tratto da La quinta stagione, docufilm che racconta cinque grandi protagoniste della cucina italiana. È stato proiettato all’82ª Mostra del Cinema di Venezia
Sei protagonista, insieme ad altre quattro tue colleghe, del docufilm "La quinta stagione", presentato alla Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia (leggi qui e qui). Quale è il significato di questa tua partecipazione?
«Il film racconta la vita normale di cinque donne chef: luoghi differenti, cucine differenti. Abbiamo voluto mostrare come anche le donne abbiano potuto farcela. Purtroppo molti considerano grandi chef solo quelli di genere maschile. Questo docufilm è proprio in controtendenza».
I tuoi pici fatti a mano sono celebri in tutto il mondo. Quale era il condimento dei pici che mangiavi da bambina?
«Pici con le briciole! La rimanenza del pane tagliato a briciole grosse con aglio, olio, peperoncino e acciuga. Poi è diventato popolare l'aglione e abbiamo usato anche quello al posto dell'aglio classico».
Ho letto sul tuo libro “Cucina Madre” che preparavi tanti dolci con tua mamma...
«Sì, certamente. Tantissimi dolci. In quasi tutti c'era la ricotta: le crostate, i cannoli, le cialde fritte, il tiramisù. E poi tutti i dolci al cucchiaio come la ricotta montata e condita con l'aggiunta di caffè, alchermes, limone...».
Quale era il menu del tuo matrimonio?
«Sono passati tanti anni! Mi ricordo che era uno di quei menu lunghissimi: quattro o cinque primi, i tortelli, i cannelloni, la pasta ripiena. Gli arrosti al vassoio. E poi l'antipasto a buffet con i salumi e i crostini. Un menu opulento».

Valeria Piccini e Niko Romito
"Valeria Piccini e Maurizio Menichetti sono stati i miei angeli custodi. Senza di loro la mia storia sarebbe stata un'altra". Questa è un frase dello chef Niko Romito, vostro stagista dal 2003 al 2005. La riconoscenza è un sentimento assai raro. Lui è pieno di gratitudine per voi. Cosa ha imparato al Da Caino?
«
Niko è arrivato a Montemerano quando era molto giovane, era mancato da poco suo papà. Noi gli abbiamo semplicemente fatto conoscere la nostra realtà, lui ci è sempre stato riconoscente. Però ti svelo questo: io non volevo prendere
Niko Romito come collaboratore! Perché? Perché lui pensava di rimanere poco, mentre se vuoi imparare qualcosa devi stare molto tempo con noi. Però fu molto insistente, ci teneva... Il mercoledì andava con
Maurizio in giro per cantine, negli altri giorni rimaneva con me in cucina.
Niko è una grande persona».
Chi ti dovrebbe chiedere scusa?
«Non mi viene in mente nessuno, sono stata troppo zitta soprattutto da giovane».

Andrea con mamma Valeria, era il 1987. A destra si vede anche Pierluigi Nesti, entrato al da Caino l'anno prima, oggi è a capo della sala
A chi devi chiedere scusa?
«Devo chiedere scusa ad
Andrea. Quando era piccolo rimanevo poco con lui, ero completamente assorbita dal ristorante. Lui mi chiamava "maestra", non "mamma", proprio perché non mi vedeva mai. Quindi se devo chiedere scusa a qualcuno, l'unica persona è
Andrea. La persona alla quale non ho dato quello che
una mamma dà ai figli piccoli. Spero di avere compensato quando è diventato grande».