Ferran Adrià

El Bulli

Cala Montjoi
Roses
Spagna
T. +34.972.150457

È stato paragonato a Salvador Dalì, Jacques Derrida, Auguste e Louis Lumière, Diego Armando Maradona; altri si sono limitati a definirlo il più grande cuoco al mondo, anzi della storia. Sta di fatto che dalla toque di Ferran Adrià sono uscite una dopo l’altra le rivoluzioni che hanno forgiato la cucina contemporanea. Un mix di junk food e filosofia, arte contemporanea e sghignazzo puro, in ossequio alla capriola post-moderna di linguaggi, generi e registri.

E pensare che tutto questo è accaduto per caso... Sì, perché il giovane Ferran era un ragazzo qualunque, per cui il cibo tutt’al più rappresentava una tediosa necessità. Papà stuccatore non si accigliò quando gli disse di volere partire per le vacanze estive a Ibiza: «fai pure ma a tue spese», rispose più o meno, rimediandogli un posto da lavapiatti nel ristorante di un amico. Un esordio insospettabile che scivolò via senza folgorazioni, ma lasciò almeno un segno importante: la lettura del Practico, la bibbia della cucina spagnola, imparata a memoria come un libro di preghiere. Di villaggio turistico in ristorantino, da Ibiza a Barcellona, fino al raffinato Finisterre, una maison nouvelle cuisine, la cucina resta un lavoro per pigrizia e non per vocazione, fino al servizio militare. Assegnato alle cucine e per la prima volta capocuoco, Ferran inizia a curare gli acquisti, studia Robert Lafont (auctoritas del nuovo verbo francese) e soprattutto conosce il provvidenziale Fermì Puig, oggi al Drolma dell’Hotel Majestic di Barcellona.

Già in forze al Bulli (allora due stelle alla pari di Arzak), questi gli propone di farvi un’esperienza. L’accelerazione è formidabile: Ferran mette piede a Roses nell’agosto 1983, in dicembre è già assunto, in marzo è capopartita al pesce mentre a ottobre un lungimirante Juli Soler gli offre nientedimeno che il posto di chef. Ma la soddisfazione non fa parte del suo vocabolario: a mettergli le pulci nell’orecchio sono Georges Blanc (che definisce «in assoluto uno dei più grandi cuochi del mondo», un complimento ampiamente ricambiato) e soprattutto Jacques Maximin, che durante un corso ammonisce: «creatività è non copiare».

Il resto è una storia fatta di migliaia di ricette e 6mila pagine di libri, destrutturazioni, stop and go fra alta cucina e industria alimentare, giochi mimetici e figurativi, spume, arie e provocazioni varie. La cucina del Bulli in questi anni è stata tutto, il contrario di tutto e il contrario del contrario di tutto. Impossibile ingessare il suo fast-moving in un’architettura di concetti. L’ultima pista è quella che conduce alla chiusura di un'epoca: 30 luglio 2011, ultimo servizio a el Bulli (inteso come ristorante "classico"). 5 agosto 2011: nasce la Fondazione Bulli.

Ha partecipato a

Identità Milano


a cura di

Alessandra Meldolesi

Umbra di Perugia con residenza a Bologna, è giornalista e scrittrice di cucina. Tra i numeri volumi tradotti e curati, spicca "6, autoritratto della Cucina Italiana d’Avanguardia" per Cucina & Vini