Con Cucina Franca, Facundo Castellani è tornato alle origini. Non solo per le sue radici italiane da parte di padre, custodite nei pranzi della domenica in famiglia, ma anche per il bisogno profondo di ritrovare coerenza con se stesso.
Argentino di Cordoba, nasce nel 1990 in un contesto di crisi economica che lo costringe a iniziare a lavorare in tenera età. Il desiderio di viaggiare lo porta nelle cucine di diversi Paesi, prima come lavapiatti, poi come aiuto cuoco, scoprendo la passione per la gastronomia. La prima passione, però, è l’antropologia: prima di dedicarsi a quella del cibo, vanta anche un breve vissuto da archeologo. E infatti va a muovere i primi passi in Messico, un paese che sintetizza meglio di tanti culture indigene, coloniali e relativi sapori.
Vola poi oltreoceano per la prima esperienza europea, a Ginevra, in Svizzera, dove osserva più da vicino i canoni dell’haute cuisine. Nel 2014 è già tempo di master, frequentati al Basque Culinary Center di Bilbao, nei Paesi Baschi. È proprio qui, che mette in cantiere un’ulteriore importante esperienza, al fianco di Josean Alija nel ristorante Nerua, contenuto nel Museo Guggenheim, una tavola in cui impara a valorizzare gli ingredienti con un approccio intenso e minimalista.
Il desiderio di perfezionare i fondamenti della cucina classica lo conduce a Parigi, dal connazionale Mauro Colagreco, argentino con sangue abruzzese. Il salto a sud, al Mirazur di Mentone, l’ammiraglia di Colagreco, gli consente di attivare una profonda familiarità con valori come la stagionalità e la selezione delle materie prime, dettata in primo luogo dalla natura e dal suo orto. Tuttavia, la natura strettamente gerarchica di tipo escoffieriano, talvolta segnata da mancanza di rispetto e prepotenza, lo spingono ad allontanarsi dell’alta cucina. «Mi ha insegnato tanto, ma non è il modello che voglio trasmettere».
E così nel giugno del 2024 apre Cucina Franca, due vetrine in via Friuli. Con lui c’è l’amico di sempre Gianluca Santamato e i sorrisi dei dipendenti in sala e cucina (a vista) sono la prova tangibile dell’atmosfera familiare che Facu, come lo chiamano tutti, è riuscito a generare. L’armonia tra colleghi è tutto, spiega sempre il ragazzo prima di ogni tecnicismo, un principio incrollabile, edificato in altre due esperienze che non abbiamo citato: Erba Brusca a Milano («Alice e Danilo sono due persone rigorose e fantastiche e sanno trattare i vegetali») e Lasai («A Rio de Janeiro mi sono sentito finalmente libero di fare la cucina di un altro»).
Oggi Casteshani – come si autopronuncia lui, all’argentina - può esprimere liberamente la sua creatività, raccontando umilmente se stesso attraverso piatti colorati e confortevoli, fotografie di viaggi e memorie della sua terra lontana. Sono pietanze in cui la carne lascia molto spazio ai vegetali, protagonisti celebrati con maestria tecnica. Con l’uso ancestrale della brace che esalta l’autenticità dei sapori.
Segni particolari: lo scontrino medio decente, da tavola di quartiere dicevamo qualche tempo fa. Perché «Né i miei amici né la mia famiglia né la gente a cui volevo bene poteva permettersi di venire a mangiare dove io lavoravo». È questo pensiero fisso che lo muove ogni giorno in un locale democratico, amichevole e aperto a tutti, in cui si gusta cibo di qualità e ci si sente a proprio agio.
Così, in un intreccio di conversazioni, risate e braccia che si scambiano piatti da assaggiare (la scarpetta è necessaria), anche i commensali tornano alle origini, riscoprendo una convivialità lenta e consapevole, in un posto sincero in cui tornare ancora e ancora.