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«Quel pomeriggio a Bisceglie, io e mio fratello Leonardo correvamo come i matti dietro al pallone. Non ce n’erano mica cortili a Sud, si giocava per strada. Si fa ancora adesso? Insomma, mio fratello raccolse da terra un volantino, un corso di pasticceria all’Etoile. Ci ha cambiato la vita», Domenico Di Clemente pesca fra i ricordi della via Gluck, e sorride. Cosa sarebbe accaduto se il minore dei due non si fosse chinato a raccogliere quel pezzo di carta? Sliding doors, chi può dirlo.
Primogenito di tre fratelli, papà contadino, mamma in casa a prendersi cura della nidiata, la carriera del pastry chef del Four Seasons di Firenze comincia quel cortile che non c’era, seguendo le orme del fratello Leonardo oggi executive al Four Seasons di Praga. Cuoco dolce il primo, salato il secondo, tutti e due in armi e padelle subito dopo la licenza media, per dare man forte a papà. «Quando vedo i ragazzi che escono dalle scuole di cucina e arrivano da noi spaesati già dopo il primo giorno di lavoro, mi ricordo i miei anni da commis, a lavorare sodo per non so quante ore e per giunta in nero», sono i ricordi ad alta voce del cuoco dolce, cadenzati in un accento che non è più quello che era del ragazzo del Sud. Cinque anni a lavare pentole nel bar sotto casa, e poi il volo all’Etoile, fra i banchi di scuola dove negli anni Novanta studiavano Moreno Cedroni e Massimiliano Alajmo, per dirne due di tanti. Fra i maestri in cattedra c’erano Bruno Pastorelli, Paul Ray, Sergio Mei, «è stato un padre oltre che un mentore per me e mio fratello». Gli anni della formazione sono quelli dei grandi incontri, con Cristian Beduschi a Cortina, da lì a Ravenna con Stefano Laghi. È il campionissimo di Cast Alimenti che gli mostra e gli apre le tante porte della pasticceria, dietro ciascuna una deriva diversa - il laboratorio, la gelateria, il dessert al piatto - e per ciascuna la necessità di un impegno, una creatività differente.
L’identità golosa di Domenico Di Clemente la dicono un collettivo e un dolce. Il secondo è quello in carta al Four Seasons, signature dish del pastry chef, ovvero una barretta croccante di cereali con cremoso al caramello e cioccolato, unica concessione alla modernità quelle due note ascendenti di sale, planando poi sulle più dolci e tradizionali certezze di un gelato alle nocciole Piemonte. Il collettivo invece è quello riunito sotto le insegne di PASS121, dove le lettere stanno per l’acrononimo di Passione, Alchimia, Scienza, Sogno, mentre il numero 121 rappresenta i gradi a cui deve giungere lo sciroppo di zucchero per diventare una meringa all'italiana. È questo il nome del collettivo che unisce undici fuoriclasse dell’haute pâtisserie in tricolore, fra loro una (sola) ragazza di nome Loretta Fanella, e solo una ambizione: riscattare la cucina dolce dai vincoli della produzione laboratoriale, ma anche dalle costrizioni del master chef di turno. Non è forse “La forza della libertà” il tema di IG 2016? Per Di Clemente l’anno della prima volta.
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Cronista di professione, curiosa di fatto e costituzione, attitudine applicata al giornalismo d’inchiesta e alle cose di gusto. Scrive per Repubblica, Gambero rosso, Dispensa
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