24-09-2025

Claudio Liu, innamorato di Milano: «La crescita della città è solo agli inizi»

Intervista al ristoratore di origini cinesi: «C'è un tema salari, mi preoccupa un po’ la sicurezza e mi fanno arrabbiare i taxi ma Milano è generosa e aperta come nessuna in Europa»

Claudio Liu, classe 1982, imprenditore di successo

Claudio Liu, classe 1982, imprenditore di successo a Milano con Iyo, Iyo Omakase, Iyo Kaiseki e Aji Delivery

Abbiamo incontrato Claudio Liu alla vigilia della cena del settimo compleanno dell’Hub di Identità Golose. Ne è nata una lunga chiacchierata con uno degli imprenditori più stimati dalla città. Un amore per il luogo che l’ha accolto ampiamente ricambiato da questo ragazzo che, in 18 anni di carriera, ha anticipato e dettato orientamenti per la ristorazione giapponese e orientale.

Il suo curriculum aggiornato: nel 2007 apre Iyo, la prima tavola stellata Michelin di cucina giapponese (e non-italiana) in Italia. Nel 2018 lancia Aji, delivery capace di alzare gli standard del segmento - ora con una seconda nuova sede a Milano Porta Romana e una terza apertura nel mirino a Roma. Nel 2020 apre a Porta Nuova un secondo ristorante, stellato anch’esso, dall’anima duplice: Iyo Omakase, il primo rigoroso banco di edomae-zushi e, da circa un anno, Iyo Kaiseki, una formula che si sforza di replicare i riti dello stile più antico e nobile del Giappone.

Una simbiosi felice con la città, spiega lui con la consueta umiltà dei toni: «Milano è veloce anche nell’essere generosa e aperta come nessuna. Le dobbiamo tantissimo. Ma il primo merito è dei nostri genitori, che si sono sacrificati perché potessimo avere tutte le fortune di oggi».

Le vostre origini sono le stesse di migliaia cinesi dello Zhejiang, a Milano ormai da diverse generazioni.
I primi immigrati dalla Cina arrivarono in Europa tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Era l’epoca che seguì al bainian guochi, il cosiddetto secolo della grande umiliazione, che chiuse la dinastia Qing. Decenni di povertà indicibile per il nostro paese: eravamo fermi quando tutto il mondo andava avanti. Alla fine degli anni Ottanta, mio padre decise di trasferire la famiglia nella campagna emiliana, a Rio Saliceto, tra Carpi e Correggio, dove sono cresciuto.

Quando vi siete trasferiti a Milano?
Nel 2003, quand’avevo 21 anni. Mio padre all’epoca faceva il cuoco a Parigi, in Italia annunciarono una sanatoria e così lui potè ricongiungersi alla famiglia. Scelse Milano perché era una città in movimento e per le possibilità che offriva. Io non volevo muovermi dalla campagna, non volevo lasciare le partite a bocce che facevo con gli amici e neanche separarmi dalla fidanzata. In Emilia, se mettevo le quattro frecce in mezzo alla strada, tutti si fermavano per chiedermi se avessi bisogno di qualcosa. A Milano, quando lo facevo, la gente dietro ti strombazzava dopo 2 secondi. All’inizio fu un trauma.

Nel 2007, agli albori di Iyo con la moglie Ilaria

Nel 2007, agli albori di Iyo con la moglie Ilaria

Come lo superò?
Mio padre aprì il ristorante Acquario in via Raffaello Sanzio, nello stesso locale che oggi ospita BA Asian Mood, oggi condotto da mio fratello Marco. Studiare mi interessava ma il lavoro ci assorbiva a tempo pieno. Volevamo fare cucina cinese ma era scoppiata la Sars e capimmo che non fosse il caso. Allora ci adeguammo allo stile delle insegne che prosperavano in quella zona: Playtime, Il Mozzo, lo Squalo di piazzale Baracca… Decidemmo di fare “carne, pesce e pizza”.

Come andò?
Bene, c’erano grandi professionisti: mio padre li osservò per un anno facendo il lavapiatti, mia mamma stava al bar a lavare i bicchieri. Io stavo in sala. Nel tempo si erano create belle amicizie con i colleghi e diventammo un piccolo punto di riferimento del quartiere. In un secondo tempo entrarono in brigata mia sorella Giulia (ora patron di Gong, ndr) e mio fratello Marco. Lavorare tutti insieme in famiglia poteva risultare alla lunga un po’ rischioso e così, dopo essermi sposato con Ilaria, milanese con le stesse mie origini (oggi colonna del back office di tutto il gruppo, ndr), 4 anni dopo aprimmo Iyo in via Pier della Francesca.

Perché decideste di fare proprio cucina giapponese?
Eravamo ammirati da quello che facevano insegne pioniere di cucina nipponica in città, come Poporoya e Suntory. Amavo quelle preparazioni così pulite ed essenziali e pensavo che i milanesi avrebbero potuto apprezzarle allo stesso modo.

Il ristorante aveva meno di un terzo delle dimensioni di oggi e in carta tenevate principalmente sushi e tempura. Dove apprendeste quelle tecniche?
Non esistevano gli smartphone. L’unica soluzione era viaggiare, andare in biblioteca, comprare i libri. Ricordo una collana che si chiamava “Cool Restaurants”, dieci volumi che magnificavano le ricette e il design di insegne come Sushi Samba. Ingaggiamo Ichi (Haruo Ichikawa, ndr), maestro giapponese e cominciammo insieme a sperimentare con aceto balsamico e salse di soia, a emulsionare salse ponzu, a comporre dashi italiani con prosciutto crudo e acqua di pomodoro. Esperimenti che ci emozionavano.

Con i fratelli Marco e Giulia

Con i fratelli Marco e Giulia

Uno stile preciso che poi si è imposto in città. Nel tempo abbiamo visto diverse repliche di specialità vostre come zuke maguro, ika somen, gunkan… Che effetto le fa?
Mi fa piacere perché attesta la bontà del nostro lavoro. Sono contento, ad esempio, che oggi i fornitori parlino di pesci macellati con la tecnica dell’ikejime, ci abbiamo lavorato molto. È stato un successo piuttosto rapido, merito della clientela milanese che gira il mondo e che ha una notevole cultura del buono. Oltre a uno spiccato senso per gli affari.

Avete tanti businessmen tra i clienti?
Tantissimi. Milano sigla i suoi affari più importanti a tavola. Per quello, in ogni ristrutturazione che abbiamo fatto negli anni abbiamo disegnato sale sempre più riservate. Sappiamo bene che a Milano i ristoranti sono uffici in cui si possono mangiare cose buone.

Specialità peraltro non estranee alla tradizione milanese.
Il lavoro sui mondeghili, le mille interpretazioni che abbiamo fatto sui risotti… C’è sempre stato un forte influsso milanese nelle nostre cucine. In fondo, cerchiamo da sempre di fare una cucina libera da tradizioni troppo rigide.

Si dice che Milano sia sempre più esclusiva e per ricchi, che ne pensa?
Io penso l’opposto: è sempre più inclusiva e ha ristoranti per tutte le tasche. Se invece parliamo di costo della vita, possiamo assumere due prospettive: se il confronto è con le altre metropoli d’Europa, Milano è certamente meno cara. Il discorso cambia se rapportiamo il costo della città agli stipendi medi di chi la abita, spesso non adeguati, il motivo per cui molti lavoratori scelgono di andare all’estero. Occorre rivedere le logiche dei salari: lo stato alleggerendo la pressione fiscale, noi esercenti riconoscendo somme più alte, magari potendo contare anche sulle mance, un tema importante.

C'è anche un dibattito acceso attorno alla sicurezza.
Forse è un impressione ma mi pare che la città sia meno sicura. Qualche tempo fa uno dei nostri ragazzi di sala è entrato in servizio che era una maschera di sangue: l’avevano aggredito senza motivo dei ventenni fuori dal ristorante. Non era mai successo. Mi capita spesso di sentire clienti vittime di furti, anche violenti. Forse sono episodi ma mi sembra che siano in aumento. Niente di drammatico ma un campanello d’allarme è giusto farlo suonare. C’è un’altra cosa che mi fa arrabbiare.

Quale?
I taxi che non si trovano. Capita che i clienti attendano anche 40 minuti, e non solo nei giorni di sciopero o di pioggia. Non so cosa si potrebbe fare ma la situazione è esasperante e non degna di una città come la nostra.

Particolare di sala di Iyo dopo l'importante restyling del 2024

Particolare di sala di Iyo dopo l'importante restyling del 2024

Ci sono le Olimpiadi invernali alle porte, ma se ne parla ancora poco.
Sì ma se ricorda lo stesso successe anche prima di Expo 2015: prima del via c’era un cupo pessimismo. A giochi fatti, non è stato solo un evento di successo, ma ha cambiato radicalmente il volto della città.

Tornando indietro, sceglierebbe ancora Milano?
Non la cambierei con nessun’altra città d’Europa: mi sembra una crescita ancora più rapida di Parigi e Londra, che mi pare soffrano un po’ il momento storico. Sono così ottimista che penso che, per quanto oggi si parli bene di Milano, i margini di ascesa siano ancora enormi.


Zanattamente buono

Il punto di Gabriele Zanatta: insegne, cuochi e ghiotti orientamenti in Italia e nel mondo

Gabriele Zanatta

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Gabriele Zanatta

classe 1973, laurea in Filosofia, coordina la Guida ai Ristoranti di Identità Golose e tiene lezioni di storia della gastronomia presso istituti e università. 
instagram @gabrielezanatt

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