«Torniamo oggi dopo il 2018. In mezzo c’è stata una pandemia e il mondo è più arrabbiato di prima. L’intelligenza artificiale bussa sempre più forte alle porte della cucina e i robot stanno imparando a fare le omelette. Da dove cominciamo? Dal tema di quest’edizione: Build to last. Parleremo di come costruire progetti che durino, possibilmente per una vita. E di come essere fonte d’ispirazione senza finire in burn out. Ce la metteremo tutta».
È stato Rene Redzepi ad aprire Mad7, l’edizione 2025 del food event più cult dell’epoca pre-covid. Era difficile da credere, ma il 25 e 26 maggio scorsi, a 7 anni dall’ultima edizione, il Symposium di Copenhagen è tornato con una forza persino superiore a prima, somma dell’energia messa in campo da 700 persone «da 14 a 86 anni, di 49 paesi», animate da «coscienza sociale, senso di curiosità e appetito per il cambiamento». Un evento che si sostiene senza sponsor, attraverso donazioni private e un biglietto d’ingresso pagato da tutti, quest’anno al costo di 5.613 corone danesi, circa 750 euro: non poco, ma se i due tendoni da circo fossero stati di capienza doppia, li avrebbero riempiti lo stesso.
Nel tendone bianco, decine di volontari hanno apparecchiato su lunghi social table colazioni e pranzi con i croissant di Hart Bageri, i burrito di Hija de Sanchez, le specialità thai di Justin Pichetrungsi (Anajak a Los Angeles), i caffè di Tim Wendelboe e le fantascientifiche torte di pollo e lingua di bue di St.John, l'insegna londinese di Fergus Henderson, chiamato a celebrare i suoi 30 anni. Un'organizzazione impressionante e i migliori buffet da grandi numeri che la nostra memoria ricordi.
Sul palco del tendone rosso si alternavano invece pescatori, scrittori, scienziati, cuochi, attivisti, vignaioli, imprenditori milionari davanti a un’audience, ha spiegato bene Andoni a bocce ferme, «che ha cessato di essere tale per trasformarsi in comunità». Molti contenuti erano così coinvolgenti che, oltre a essere inspiring per il futuro della restaurant industry, ti spingevano a comportarti meglio anche nel quotidiano, nel rapporto con i familiari o gli amici.
«Che senso avrebbe la nostra vita se non cercassimo di fare la stessa cosa un poco meglio del giorno prima?», era il concetto che ritornava più volte, in un dialogo sempre acceso tra le nostre radici e il futuro che vorremmo. Un pensiero importante e da sostenere con forza, in un’epoca in cui politica e società civile tendono a disfare tele tessute faticosamente per decenni, seminando menzogne solo per seguire interessi privati.

Sotto il tendone rosso si tenevano le lezioni, sotto quello bianco le colazioni e i pranzi per 700 persone

Thomas Keller e Rene Redzepi

José Andrés e il pesce scomposto nelle sue parti anatomiche da Josh Niland
Sotto il clima imprevedibile di Copenhagen e i colpi di cannone per il compleanno del re di Danimarca, chef star e anonimi foodie si aggiravano tutti vestiti senza troppe attenzioni al dettaglio, diciamo, come a precisare: qui importano i contenuti, non l'apparenza. Il futuro della cucina non è una sfilata di moda ma la somma di tutte le affascinanti storie che abbiamo ascoltato e che cerchiamo di riassumere qui sotto, in una serie di appunti sparsi che chiamerebbero ben altri approfondimenti.
- Come da tradizione, alle masterclass di Mad7 non si è mai parlato di preparazioni o tecniche di cucina. L’unica a cucinare è stata, al principio della due giorni,
Christine Schauflinger della
Gasthaus Theuerwant, in Austria, un ristorante aperto da quasi 4 secoli. Sotto la sfoglia tirata dalla signora è apparso il poster di Mad7, Build to last, “costruire per durare”.
- Il messaggio che forse ha colpito più nel segno nell’immaginario della comunità è stato quelle di 4 giovanissime ragazze islandesi,
Andrea e
Alexandra Hermandsdottir,
Aslaug e
Arndis Arnadottir. Ultimo anello di una stirpe dedita alla pesca da 7 generazioni, hanno denunciato le nefandezze legate agli allevamenti di salmone: «Quei salmoni sono pieni di pesticidi e coloranti; fanno male a loro, a chi li mangia e a tutto l’ecosistema dei nostri fiordi. Quindi, cari chef, abbiamo una richiesta per voi: non servite più salmone allevato nei vostri ristoranti». Potente.
- Ovazione per la dissertazione di chiusura dell'evento di
José Andrés, chef e imprenditore, diventato star mondiale per l’impegno in prima linea con
World Central Kitchen, da Kiev a Gaza. «Dopo aver lavorato a lungo nell’industria», ha spiegato l'ispano-americano, «cominciavo a maturare un pensiero: nei nostri ristoranti sfamiamo ogni giorno pochi fortunati. Ma noi dovremmo sforzarci di cucinare per tutti, non per pochi». Risultato: nel solo 2024 la sua Ong ha preparato 109 milioni di pasti per famiglie di 20 paesi afflitti da guerre, epidemie, crisi climatiche. Eccezionale.
- Al principio del primo giorno erano salite sul palco
Bérangère e
Blanche Loiseau, le figlie di
Bernard Loiseau, grande chef francese morto per suicidio nel 2003. Una testimonianza molto toccante: «Nostro padre voleva raggiungere la grandezza a ogni costo e noi eravamo solo il suo secondo obiettivo. È stato consumato dal suo stesso sogno. Oggi ci battiamo per trovare insegnamenti importanti, anche nella tragedia». Bérangère e Blanche gestiscono con successo il Relais Chateaux che porta il nome del babbo (2 stelle Michelin), l’altro hotel con bistrot Tour d’Auxois, e altri 4 ristoranti a Besançon, Digione, Beaune e Tokyo. Bravissime.

Arianna Occhipinti e Rob Hopkins

Andrea e Alexandra Hermandsdottir, Aslaug e Arndis Arnadottir, pescatrici islandesi

La torta di pollo e lingua di bue di St.John
- «Il futuro è nel passato», spiegava invece
Pablo Usobiaga, attivista messicano arrivato a Copenhagen per raccontare il progetto plurimillenario delle
Chinampas, un sistema agricolo di derivazione azteca che compone canali e giardini fluttuanti costruiti interamente con materia organica, giardini galleggianti che un tempo misuravano il doppio di Copenhagen. Il suo motto: «Dobbiamo fare tutto il possibile per la natura e il meno possibile per contrastarla. Restituire dignità, anche semantica, ai
peasant, i contadini». Pablo ha aperto a Città del Messico
Baldiò, il primo ristorante zero waste del suo paese. Da visitare.
-
Rene Redzepi ha vestito i panni dell’intervistatore due volte, la seconda con Josè Andres e la prima con
Thomas Keller, un signore che raramente sale su un palco per raccontare il suo punto di vista. Li lega una lunga amicizia: «Tanti anni fa, quando lavoravo al Bulli, presi in mani il suo libro del French Laundry, mi cambiò la vita». A Copenhagen con loro sotto i riflettori è apparsa anche a una capra: «Come ci si sente a essere il
goat, the greatest of all time?», lo ha incalzato il danese. «Noi stiamo sulle spalle di chi è venuto prima di noi», ha spiegato la leggenda californiana, aggiungendo massime interessanti: «Non bisogna aver paura di fare qualcosa per la prima volta, è il momento più bello» oppure «Se non sei orgoglioso di fare una cosa, non farla». Il segreto della sua longevità? «Pazienza e persistenza». Ma anche «Dormire, fare la dieta e gli esercizi».
- Ha riscosso molto successo l’intervento di
Roman Krznaric, filosofo australiano, teorico del cambiamento. Titolava “Come possiamo essere buoni antenati?”, un inno al
cathedral thinking, visione di lungo termine generata per creare qualcosa di solido e significativo per le generazioni che verranno. «La dote fondamentale del futuro?», spiegava Krzanric, «L’empatia».
- C'era anche un'italiana tra i relatori, la
vignaiola ragusana Arianna Occhipinti. Un intervento molto applaudito nella lingua madre, sulla sua terra e i suoi paesaggi: «Sono un’agricoltrice sognatrice con uno scarso rapporto col limite. Siamo un popolo storicamente dominato dagli altri ma dobbiamo dare il giusto peso a noi stessi e alle nostre tradizioni. Il vino è un mezzo, non il fine di quello che facciamo». Applausi.

Rene Redzepi e la squadra di volontari che ha costruito la due giorni di MAD7
- Da menzionare anche gli interventi del cuoco andaluso
Angel Leon, ipse dixit «psicopatico degli oceani», che ha presentato i suoi più recenti esperimenti con la
zostera marina («il riso del mare») e la
canavalia rosae («la soia del mare»). Quello di
Mickey Bakst di
Ben’s Friends («Io sono quasi morto di alcol e droga. La ristorazione non può salvarsi se non diamo una mano a tutti quelli, tantissimi che hanno pesanti dipendenze. Noi possiamo aiutarvi»). Molto divertente il viaggio nel tempo inscenato dall’attivista inglese
Rob Hopkins, autore di “How to fall in love with the future” («La definizione di futuro? Creare memorie felici»); avventuroso il case history di
Emilie Qvist di
Lyspunktet, cuoca danese che aprì un ristorante in un’isola in cui vivono 9 persone «di cui 6 della mia famiglia».
Divertenti le perle di saggezza di
Yvon Chuinard, founder 86enne di
Patagonia («C’è sempre e solo una risposta da dare nei momenti di crisi: aumentare la qualità di quello che fai«), l’accento forte posto dall’applauditissimo
fish butcher Josh Niland (
Saint Peter) sull’artigianato in cucina e la chiamata gender dell’anglo-indiana
Asma Khan: «Mio papà era fotografo», ha raccontato la titolare di
Darjeeling Express, ristorante londinese, «ma non ha quasi mai scattato foto su di me e mia mamma, piuttosto immortalava il cane. Sono qui per tutte le donne che non possono esserci. Sappiate che nei ristoranti la nostra gentilezza funziona molto meglio del testosterone dei maschi». Sipario.