«Ho sempre desiderato girare il mondo e la cucina era la scusa perfetta. Avrei voluto tornare e tornerei in Italia ma, se sei giovane, difficilmente ti assegnano ruoli importanti. Sono felice del nostro progetto, siamo appena all’inizio», promette Andrea Selvaggini da Tarquinia, neanche 30 anni e da 3 in plancia di comando al ristorante Savage, a Oslo.
La stella Michelin arrivò nel giugno 2023, 7 mesi dopo l’apertura: a naso, non ci pare esistano nella storia chef italiani capaci di ottenerla fuori dai confini a 28 anni. Ma, in fondo, conta davvero? Per le statistiche sì; per noi ha più senso ascoltare le parole di questo ragazzo, ben più umile, easy e disposto all'ascolto delle foto che, in rete, sembrano dipingerlo come un duro.
Prima di approdare in Norvegia, ha già girato in lungo e in largo. Nel paese in cui sta ora vige un teorema diverso da quello italiano: i giovani promettenti vanno fatto giocare. Poco più che maggiorenne, Selvaggini è già a Denia a spiare i meccanismi dell’r&d di Juanfra Valiente, il demiurgo della creatività di Quique Dacosta («Scoprii le meraviglie della sperimentazione e conobbi Andrea Antonini dell'hotel Hassler, mio amico fraterno»). Poi va a Città del Messico e scala tutte le partite del Quintonil fino allo scranno di vice-boss di Jorge Vallejo («un anno incredibile, tra sapori sconosciuti»). Il litorale di casa chiama, al fianco del solido Gianfranco Pascucci, la Francia pure e nel 2018 ha inizio il lungo capitolo boreale.
Capita subito da Maeemo, il 3 stelle di Oslo del danese Esben Holmboe Bang: «A un certo punto ebbi il torto di imporre consistenze decise in una cucina più orientata alle morbidezze e il nostro rapporto s'incrinò. Fu un errore, lo riconosco. Abbiamo sfornato tantissimi piatti: sono felice che oggi in carta ci siano ancora il Granchio arrosto con grasso di pollo e dashi di renna affumicata». Nell’anno del covid è capocucina di Einer, ora chiuso. E poi viene anche un’esperienza nell’altro super-nordico Kontrast (2 stelle). Nel 2022 3 ragazzi norvegesi, gli stessi patron di Betong, gliela buttano lì: «Apriamo un’insegna giocando col tuo cognome. Chiamiamola Savage». E così torniamo al principio del racconto.
L’insegna è seminascosta nel centro città - Oslo è piccola, e quasi tutto è in centro –, annesso all’hotel Revier. Gli amuse-bouche si consumano subito dietro le tende della vetrina, nel tavolo comune della green room. La prima sensazione è quella di una cucina dagli insight antipodali: ci sono i piccoli bocconi tecno-emozionali che dilagano post-Ferran, efficaci convergenze trans-continentali (un taco messicano di pasta stracotta), il cristallino seafood dei fiordi e un tratto figurativo-mimetico delle lande artiche, tra aggiustamenti ludici e colorati, intrattenimenti estetici con micrometro in mano e gusti quasi sempre felici e generosi, quando s'arrestano a un passo dal debordare. Uno stile complessivo che non potrebbe essere altrimenti, con quel curriculum.
Poi si scende nel basement e ci si accomoda in una sala vispa: in sottofondo suonano Four Tet e Talking Heads tra 7 tavoli più 4 posti al bancone. Un massimo di 30 coperti guardati a vista per oltre 3 ore dal premuroso restaurant manager rumeno George Tugurlan e ogni tanto anche dal cuoco, a servire in sala come da manifesto New Nordic. Il menu degustazione conferma le prime impressioni e denota un’indole vivace e alquanto puntigliosa, soprattutto nel recruiting che chiama per nome e cognome tutte le farm norvegesi che il ragazzo ha visitato: «Il pollo e le berries antiche arrivano da Hovelsrud gård, anatre e pollame da Holte gård, verdure estive, rape e cavoli da Linnestad gård, cicoria e patate di Fokhol gård, i formaggi vaccini da Skarrbo Gård… è un confronto quatidiano tra noi e loro e ogni anno dà risultati sempre migliori».
C’è grande abnegazione anche nelle trasformazioni: la tecnica è sovrana a plasmare proteine di carne e pesce che vedono tutto tranne il forno; c’è grande passione per gli impasti, l’agnello arriva con una bernese classica ma rifatta con olio extravergine («Ho letto la tecnica in Modernist Cuisine») e simboli nordici come il toast skagen, le langoustine e lobster più fredde del mondo s’imbastardiscono su una meringa soffiata valenciana o dentro a custodie messicane. Ma le radici sono super-italiane: si replicano finti fiori di zucchina con alginati, si riproducono memorie di pasta al tonno e pomodoro e c’è sempre un piatto di bottoni o risotto (eterodossi) a rimemorare le origini.
A proposito: entro l’autunno Selvaggini aprirà anche una trattoria italiana con Marcello Tiboni, cuoco ex Maaemo e 28Posti. In menu: pasta, proteine locali, verdure subartiche e Mediterranee e pizza scrocchiarella a pranzo. Tornare a casa? «È un desiderio ricorrente quando parlo con mia moglie Maira, che è di Marano Vicentino, e la nostra bimba. Ma per ora va bene così». La seconda stella è un’ossessione? «Non ci penso. E, anche se fosse, è come Voldemort in Harry Potter: non bisogna mai nominarla».
SAVAGE, MENU FINE ESTATE 2025

L'ingresso del ristorante, contenuto nel Revier hotel, nel distretto di Kvadraruen, in pieno centro a Oslo. Due i menu degustazione di Savage: "Shapes of Nature" (18/21 piatti per 2.750 corone norvegesi, circa 230 euro) e il menu dei "Classici" (1.850 corone, 150 euro per 13 portate). Per il Wine Pairing 2.300, Premium Pairing 4.900 (195 e 415 euro)

Due dei quattro appetizer che si godono seduti nella Green Room, appena dopo l'ingresso del ristorante.
A sinistra Sunflower (foto Henriette Sagfjord), un microbite a forma di girasole stretto tra emulsione d'ostrica, gel di champagne e caviale n°25. Selvaggini è un cultore del caviale: l'N25 è prodotto in Cina e maturato in Germania da un ibrido tra kaluga e schrenkii. Un umami spiccato e una croccantezza delle uova esagerata.
A destra, Hanasand Tomato e Tuna, un taco che trattiene l'amore viscerale del ragazzo per la pasta al tonno e pomodoro: la corazza del taco è pasta stracotta in sugo di pomodoro con un mix di amidi (tapioca, maizena...) poi frullata, stesa, seccata, infornata e spennellata con nero di seppia per generare l'effetto corallo. E' infine passata alla brace per caramellizare gli zuccheri. Nella farcia ci sono i pomodori sem-dry della farm Hanasand, la parte magra del tonno, maionese di peperoncini affumati, cipolla rossa, prezzemolo, basilico. Tre mondi in un assaggio

A sinistra Lobster e pink pepper, una deliziosa tartelletta/pancake pressata in una macchina da taco. Contiene un'insalata fredda di astice norvegese, preparata tipo un astice alla catalana ma con l'aggiunta di pesche svedesi grigliate e disidratate. Un'emulsione di pepe rosa aggiunge una gradita piccantezza. L'insieme richiama alla lontana una salsa cocktail
A destra Langoustine Claw, mushroom, spruce, koji. Dopo l'aragosta, lo scampo in un viaggio sul registro "mari&monti". Il cuoco utilizza qui le code nella loro integrità per una mousseline cremosa, inserita in uno stampo al silicone a forma di chela, poi spennellata in un fudge di peperoncini ammollato in un bagno di acqua vodka, una panatura piuttosto eterea. Nell'intingolo accanto c'è del gel di germogli di pino, rømme (panna acida a fermentazione naturale, preparazione norvegese) e un'emulsione di porcini

A sinistra, nella foto di Christian Remde, il tradizionale Skagen norvegese, sandwich aperto con un'insalata di gamberetti e normalmente aneto, erba cipollina, salsa ricca tipo creme fraiche o maionese e del succo di limone. Nella rilettura di Selvaggini, il piane bianco del supporto è in realtà una meringa di mela, evidente omaggio agli anni di praticantato in Spagna da Quique Dacosta, a Denia.
A destra, il geniale Mochi brioche, ricotta, sourdough miso toffee. Sono ciambelle con una base di riso glutinoso, alla maniera di un mochi. Per enfatizzare lo spessore del morso hanno sostituito nell’impasto la parte di farina con l’amido di tapioca. La brioches è cotta al vapore e poi fritta e unita a una fettina di lardo affumicato della Valdres farm, miele fermentato di Bio Tape e polvere di mirtilli rossi. Sotto c’è una salsa che rimemora il binomio sacro delle origini ricotta/miele, con invece del miso di pane di lievito madre. Tre morsi dalla voluttuosità stellare

Lamb, Cherries, Chantarelle
L'agnello è un vanto del paniere norvegese, soprattutto quello autunnale, ricco di acidi grassi e umami, figlio di una dieta molto ricca e varia in termini aromatici. Quest'esemplare viene dalle Nyyyt Farm, vicino a Stavanger, sulla costa Ovest, è stagionato una settimana e dimenticato sopra a un barbecue dalle 15 del pomeriggio. Prima del servizio è unito a finferli alla Careme e porcini grigliati alla brace e finito con foglie di betulla e una finta foglia di cliegia. La salsa è un fondo classico di ossa, pepe nero fermentato e succo di ciliegia e un burro di nocciolo di ciliegia

Daisy, walnuts, grilled apricoat. Sotto ai petali di meringa della margherita, c'è un pralinato di noci tostate e albicocche norvegesi grigliate lentamente e glassate con riduzione di albicocca e amaretto