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Essere Vincenzo Tiri vuol dire produrre il panettone forse più buono d’Italia e quindi del mondo (sul sistema solare non giureremmo). Non lo diciamo mica noi ma le varie graduatorie che prima di Natale mettono a confronto le migliori produzioni nazionali e i differenti stili panettonistici. Vuol dire sfornare leggende in forma di dolce e fregarsene abbastanza del marketing. Perché lui il panettone lo fa in scala artigianale e non industriale in una piccola pasticceria-laboratorio in un paese sperduto in un ripostiglio d’Italia che ci assicurano proprio che esista: Acerenza, in Basilicata.
Vincenzo, classe 1981, ne produce poche decine al giorno, al massimo un centinaio o due, e sì che ha richieste da tutta Italia e da tutto il mondo (pare che in Giappone spopoli), e volendo potrebbe aprire altri laboratori e inondare l’orbe terracqueo ma lui preferisce così. Così il suo è il Gronchi Rosa dei panettoni, perché non vende online, non smercia nei negozi, accetta prenotazioni ma in genere fino a inizio dicembre, poi si smaltiscono gli ordini. Così che vuole un suo panettone nel periodo natalizio (per fortuna lo fa tutto l’anno e anche d’estate, quando lo consiglia in abbinamento a del buon gelato) deve mettersi in fila davanti al negozio, a volte anche all’alba, manco fossero i biglietti per il Coldplay. E l’ente locale del turismo ha commissionato una statua davanti alla cattedrale perché se Acerenza esiste sui navigatori è anche grazie a questo pasticciere ostinato.
Lui vuol vendere a qualcuno fortemente motivato ad assaggiare quel panettone prodotto con 72 ore di lievitazione (e non le 24 della produzione industriale) e con tre impasti (e non i due classici della scuola milanese), ciò che gli dona una morbidezza impareggiabile, e con una presenza moderata di uvette e canditi, peraltro realizzati rigorosamente con frutta lucana come le arance di Tursi. E nel poco tempo libero evade dalla Basilicata e va in giro per imparare, raccontare e trasmettere la sua arte, sedurre Gualtiero Marchesi, dialogare con Iginio Massari, discettare di lievito madre con Rolando Morandin. Per dire.
di
Romano ma ora a Milano, sommelier, è inviato del quotidiano Il Giornale. Racconta da anni i sapori che incontra
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