Ci sono cucine che non hanno bisogno di numeri da circo per farsi notare. Non puntano agli effetti speciali, né cercano applausi immediati, ma convincono perché parlano lo stesso linguaggio di chi le prepara. A fine pasto non lasciano stanchezza o confusione, ma un ricordo limpido e fresco. È questa la cucina che oggi si mangia da Rezzano Cucina e Vino, a Sestri Levante: solida, fresca e accogliente.
Dietro questo nome che sa di “casa” corre un filo che unisce tre generazioni. Dalla leggendaria Fiammenghilla dei Fieschi, guidata da Gabriella Paganini e Giancarlo Rezzano – lei tra le prime donne stellate d’Italia – fino al presente, passando per la figlia Silvia e poi per il nipote Matteo. Entrato nel 2015 come sommelier e catturato dai fornelli nel 2019, oggi condivide il progetto con la moglie Ilaria Grando, anima discreta e precisa della sala. Una storia che non pesa come un’eredità, ma che diventa terreno fertile. Zero nostalgia: qui le radici servono solo a dare slancio al presente.
Ed è proprio il presente, nel 2025, ad accogliere Jorg Giubbani. Dopo l’esperienza all’Orto di Moneglia, qui ha trovato un luogo dove la cucina smette di dover stupire a tutti i costi e sceglie, invece, di raccontarsi con onestà. Mettendosi a nudo, ha abbandonato molta della scenografia per concentrarsi sull’essenziale, consapevole che l’ingrediente più raro è la sincerità. Insomma, come i serpenti intelligenti, ha cambiato pelle senza rinnegare la sua natura e lo ha fatto aprendosi a nuove contaminazioni.
Ma l’approdo, in un certo senso, non è soltanto suo: accanto a lui c’è Matteo, che non si limita a dare continuità, bensì traccia una direzione. È lui a spingere verso cambiamenti decisivi, esattamente come nel pianoforte a quattro mani il tema è sostenuto dall’armonia, e non importa chi suoni cosa. Il risultato è una partitura condivisa, tanto che non c’è più lo Jorg di Orto, ma neppure il Matteo del “vecchio” Rezzano: c’è una cucina nuova, frutto della loro fusione.
Giubbani, quindi, diviene parte di una famiglia, di una squadra vera.
Con Matteo Rezzano forma una brigata a più teste che lavorano in equilibrio, senza assoli da palcoscenico: un piccolo miracolo, in un mondo dove l’ego spesso pesa più dell’osmio.
All’inizio della collaborazione, le diverse mani - e soprattutto le teste - si sentivano. Ma in soli sei mesi la cucina di Rezzano si è assestata, trovando una voce comune: riconoscibile, certo, per l’impronta “jorghesca”, ma caratterizzata dagli interventi decisi di Matteo. Non è un gioco a somma zero, ma un dialogo continuo tra velluti e inseparabili spigoli. Nessuna cucina mentale, niente palati stremati da degustazioni infinite, bensì una proposta lineare e senza complicazioni, eppure con una sua complessità di fondo.
Qui si mangia prima e si ragiona dopo — se proprio si vuole. Perché i piatti non chiedono interpretazioni, ma attenzione.
La Liguria è ovunque, e non per forza nei codici. È nel carattere: piatti scomodi il giusto, che accarezzano e schiaffeggiano insieme. Acidità che non feriscono, ma che tengono svegli, che sembrano dirti “arveite figgeu” (svegliati ragazzo, in genovese); dolcezze trattenute, grassezze e oleosità che confortano senza appesantire, come le cipolle di Zerli che ungono con cortesia.

Cipolla di Zerli, olio al pomodoro, senape
E poi c’è la leggerezza: non quella che vola via, ma quella che cammina con te. La sensazione che, finito il pasto, non serva un digestivo per riprendersi; digeribilità sia fisiologica che mentale.
È raro vedere due cuochi che riescano a sciogliersi in un progetto comune senza annullarsi. Qui accade.
Giubbani ha portato il tocco sottile — leggibile, netto e personale — la precisione, l’acidità calibrata; Rezzano affonda colpi decisi, che talvolta spostano l’asse di un piatto. Ma non c’è contrapposizione: è la loro squisita dinamica, dove il piatto emerge dall’intreccio. Evidente nella Capponadda, che da signature dish di Jorg ha smesso i panni da diva per diventare racconto corale: lo sgombro non è più scottato ma sott’olio (Matteo), e il piatto acquista profondità, presenza e persino lunghezza. Non è un cedimento, né tantomeno un compromesso, ma maturità condivisa: si cresce cambiando, altrimenti si invecchia soltanto.

Giardino di mare (crudo di pesce, ventresca scottata, crema di lattuga)

Gallina e gallinella - Plin ripieni di gallina, jus di gallinella e gallinella scottata
E poi i pesci, ma anche le proteine in generale, che si fanno da parte per lasciare scena ai vegetali. I carboidrati che diventano punti di pausa, piatti di mezzo e non solo trionfi di gola.

Spaghettini, pesca arrosto, bisque di scampi, basilico
Gli Spaghetti con pesca grigliata, voluti da Giubbani e completati da Matteo con la bisque, mangiati a metà percorso e poi richiesti di nuovo come pre-dessert, funzionano come un vero reset: rimettono in asse, ricaricano e fanno venire voglia di ripartire con curiosità, senza fatica.
Certo, a sei mesi dal nuovo assetto in cucina, non tutto è già a punto.
Alcune erbette, seminate con entusiasmo, rischiano l’effetto déjà-vu. «Le erbette sono come il porno», dice qualcuno che conosce la casa: «ogni tanto ci stanno, ma se ne vedi troppe si assomigliano tutte». Ironia a parte, qualche piatto si sbilancia: l’animella, ad esempio, che fatica al morso per tessuto adiposo ostinato; o il trittico coniglio-triglia-albicocca che non trova una vera ragione d’essere, se non l’albicocca, capace almeno di scuotere l’insieme con un guizzo inatteso.
Sono imperfezioni vere, non vanità maldestre. E in fondo hanno un valore: raccontano di una cucina che non si accontenta di ripetere schemi sicuri, ma si mette in gioco, anche a costo di inciampare. Perché un menu che osa sbagliare è sempre più interessante di uno che non rischia nulla.
C’è una firma ben visibile in questa cucina, e si chiama acidità. È un punto di vista, la lente attraverso cui Matteo e Jorg obbligano a leggere il loro lavoro.

Muscoli e Careghe: tubetti al burro acido, cozze e aglio di Vessalico
Giubbani lavora le acidità come un vinificatore fa con la freschezza: le declina, le misura, le stratifica. Sono pungenti, ma educate, memorabili nell’istante, senza rimanere invadenti.

Bagnun di acciughe bottoni, datterino giallo, parsillade XO
Nei Bottoni al bagnun, nei Tubetti acido-lattici, nel Gambero servito insieme a pomodori e fragoline, c’è una pulizia che non è rigore accademico, ma chiarezza.

Bottoni di bietola, primosale, alga e salsa al pigato
E quando l’acidità diventa quasi metallica e tagliente, un'asprezza pulita - come nei Bottoni di bietola al nasturzio - allora è chiaro che qui non si mangia soltanto, ma si comunica, si gioca e si aprono nuove prospettive per intendere i gusti.
Rezzano è un luogo dove ci si rilassa, si sorride e ci si confronta con piatti che dicono qualcosa senza per forza ostentarlo. Un ristorante che non obbliga a capire, ma che invita a fare quel passo in avanti, suggerendo di sentire.

Oh Belin! Mi è caduta la pinolata! Abbiamo già conosciuto questo piatto di cui vi abbiamo proposto la ricetta qualche mese fa
Jorg e Matteo non hanno ancora firmato un capolavoro definitivo, ma hanno già fatto qualcosa di più raro: hanno messo insieme una cucina con una visione comune. Il bello è che tra loro non si somigliano, e proprio per questo si ascoltano - e si confrontano - con oggettività. Qui si assaggia una Liguria che non ha bisogno di cartoline: viva, contraddittoria, ruvida e concreta, come la voce di chi sa dove vuole andare.
E allora meglio così. Meglio un ristorante che cambia pelle, piuttosto che uno che si riveste sempre della stessa. Perché, come direbbe Darwin - e come dimostrano insieme Giubbani e Rezzano - non vince il più forte, ma chi sa adattarsi.