Andare dove vanno tutti è troppo semplice, saper scegliere è più impegnativo ma più gratificante se alla fine puoi dirti: «Ci avevo visto giusto». Il preambolo va raccontato altrimenti non si spiega perché prendo un aereo, atterro a Pescara e vado a cercarmi proprio quel ristorante lì, Bottega Dannunziana, defilato dal centro ma raggiungibile con una bella camminata sul lungomare. Da qualche mese sulle pagine social tenevo d'occhio il ristorante e il suo chef, Daniel Tortella, 26 anni, occhi azzurri e una cuffia invece del tradizionale cappello da cuoco («Ne ho di vari colori – mi racconterà - Non la portava nessuno, l'ho scelta per questo»): in fatto di ambizioni mi pareva proprio nella città giusta, quella nativa di Gabriele D'Annunzio. Anche il locale dove lavora richiama il Vate: la Bottega Dannunziana nasce 5 anni fa con Davide Longo e la moglie Francesca Sfamurri che pensano a un locale dove servire aperitivi-cena e vendere «prodotti di eccellenza, non solo abruzzesi, espressione di autenticità e di carattere», con particolare attenzione ai formaggi e ai vini. Passare da un aperitivo a un fine dining è diventato un punto d'orgoglio con l'arrivo di Tortella nel novembre 2024 e il primo menu importante firmato lo scorso gennaio.

L'eleganza raffinata della Bottega Dannunziana avrebbe messo a suo agio anche il Vate. Preziosa la carta dei vini, servizio attento e gentile
La Bottega Dannunziana è un locale elegante con 37 coperti, un servizio attento e premuroso, una carta vini importante, un cestino di pane e grissini artigianale che diventa il complice ideale alla degustazione d'olio offerta. Gli arredi sono raffinati, una bellezza che avrebbe messo a suo agio anche il Vate: qui il giovane chef ha saputo esprimere e raccontare in libertà il suo concetto di cibo come «cultura, carattere, identità. È la mia voce quando le parole non bastano». Non solo: «La cucina – dice - è l'unico modo che conosco per esprimere i miei pensieri e per dimostrare al mondo che esisto». Longo è stato bravo a lasciargli carta bianca, Tortella lo è stato altrettanto ripagando la fiducia coi risultati. Non capita a tutti gli chef, ancora fuori dal giro stellato e mediatico, di ritrovarsi, a sorpresa, seduto a un tavolo il tristellato Niko Romito. A Daniel è successo lo scorso 25 aprile: «Quando – racconta - mi hanno detto che al ristorante era entrato Romito, ipotizzavo uno scherzo. Quando ho visto che c'era realmente, mi ha preso il panico: non sapevo cosa servirgli. Poi ho pensato che andava trattato come un cliente qualsiasi, altrimenti non sarei stato veritiero. Ho fatto il Daniel Tortella abituale ed è andata bene. Mi ha ringraziato per aver smosso qualcosa in questa città senza più una proposta così identitaria. Quando un Maestro riconosce la tua passione, capisci che ogni sacrificio ha un senso. Le sue parole le ricorderò per sempre».

Cardoncello con rapa, uva fragola ed aneto, una delle creazioni più interessanti dello chef dove il vegetale da contorno passa a piatto portante
Daniel è nato ad Ortona, in provincia di Chieti, e all'esordio in cucina ci è finito per fame: «La maggior parte degli chef racconta di essere cresciuto tra i fornelli con mamma e nonna. Per me è stato il contrario: da bambino non mi piaceva nulla di quello che mi preparavano a casa, così mi sono detto che tanto valeva provarci da solo. A 7 anni cucinai il mio primo piatto, pasta con tonno, olive e cipolle. A volte mi cimentavo anche al pomeriggio, più per noia che per fame. Facevo cose assurde che piacevano solo a me, come le salsicce con la cannella. Mamma e nonna mi lasciavano fare, contente che non stessi tutto il tempo sulla PlayStation». Racconta: «Volevo fare l'avvocato, m'iscrissi al liceo classico ma papà mi fece notare che non era la scelta migliore per uno che i libri di scuola li aveva sempre tenuti incellofanati. Optai per l'ìstituto industriale con l'idea di fare il meccanico come i miei amici, ma a fine estate cambiai ancora decisione: mi piace la cucina, voglio fare l'alberghiero. Terza iscrizione, stavolta definitiva, a Pescara».

Tortello di ricotta dolce di pecora, con fonduta di pecorino, fondo bruno di formaggi e camomilla: una stratificazione di sapori e di profumi
Daniel si ricorda bene quegli inizi: «Non sapevo nulla delle stelle Michelin e del fine dining, mi interessava solo cucinare cose tradizionali, da trattoria. È stato il mio amico Piergiorgio Fava, a cui devo quasi tutto, stimolarmi a pensare più in grande: ci siamo messi in competizione e da lì è partita la voglia di fare sempre meglio anche rispetto agli altri. Poco alla volta i professori mi davano responsabilità in più, quando cucinavo a casa era un trionfo: era la mia strada, finalmente l'avevo capito».

Coniglio con finocchio e soffritto, un omaggio di Daniel Tortella alle nonne Maria e Filomena
Da quel momento Tortella non si è più fermato: «Ho fatto la gavetta classica e a 16 anni ho avuto il casuale battesimo da chef nella classica trattoria di una volta. Ero un aiuto ma quando il cuoco si fratturò un braccio mi ritrovai ad organizzare la brigata, programmare la spesa, fare i menù e cucinare. Sono stati 3 mesi d'inferno, non dormivo più, sognavo quello che avrei dovuto fare il giorno dopo». Poi arrivano esperienze importanti come allo stellato Al Metrò a San Salvo, da Tosto ad Atri e all'Acqua Montis Resort, un 4 stelle superior a Rivisondoli, «dove ho iniziato come capo partita e dopo poco più di un mese ero lo chef. Dal tradizionale menu da mezza pensione siamo passati a quello alla carta per 150 coperti: 10 antipasti, 10 primi, 10 secondi. Anche a colazione era tutto prodotto da noi, con 15 torte al giorno. Mi divertivo ma mi mancava lavorare al ristorante». E così un anno fa inizia la sua avventura alla Bottega Dannunziana con due mantra sempre con lui: «Scarso ci nasci, restarci lo scegli» e «Rabbia, talento e sudore. Da dove vengo, non me lo dimentico».

L'intero staff della Bottega Dannunziana: da sinistra, Diallo Bubacar, Simone Mirra, Daniel Tortella, Davide Longo, Francesca Sfamurri, Giada Di Silvestro.
La sua idea di cucina la racconta con spontaneità disarmante: «Non m'ispiro a nessuno se non alla mia terra, l'Abruzzo, a cui sono molto legato. Sono cresciuto vicino al mare, e quindi al pesce, con le origini di mamma, e in collina, e quindi alla carne, con papà. Ma l'Abruzzo è anche terra di vegetali, la carne in passato era per chi poteva permettersela. Se chiedo a nonna cosa mangiava da giovane, mi parla di legumi e verdure. Per lei la carne era il pollo a Natale, la gallina quando moriva e talvolta il maiale, mentre i vegetali risolvevano pranzo e cena. Io voglio tornare a quelle origini, voglio che nei miei piatti ci sia sempre qualcosa che ricordi casa: una salsa, un soffritto, un fondo, il prezzemolo o il vino bianco nel pesce. Bisogna sempre partire da qualcosa che c'è già per poi costruirci intorno: me lo ha insegnato Lorenzo Cuomo quando nel 2019 andai a mangiare da lui. Ricordo ancora un Tartufo ripieno di ricotta di bufala con crema al cioccolato affumicato che mi riportò a quando con nonno andavo a fare legna per riscaldare e... "affumicare" casa. Se in cucina riusciamo a risvegliare un ricordo siamo arrivati». Allora ecco il Coniglio con finocchi e soffritto che rievoca lo strepitoso Coniglio alla cacciatora delle nonne Maria e Filomena, «una lo faceva solo se l'animale arrivava da mani fidate e l'altra lo cuoceva nel coccio, dove tutto diventava magia. Oggi entrambe sono insieme, in questo piatto».

Maiale nero, zucchine in scapece ed arrosto: sperimentazione e studio per trovare le giuste strutture e consistenze
Daniel ha le idee chiare anche sulle tecniche di cottura: «Per certe cose dobbiamo tornare indietro per fare un passo avanti, su altre dobbiamo per forza fare un passo avanti. Oggi sembra che bisogna servire tutto molle, sfilacciato, scioglievole. Abbiamo perso l'abitudine a masticare che poi è quello che ci consente di individuare e godere al meglio dei sapori. Io studio molto le consistenze, duro all'esterno e morbido all'interno. Lo faccio spesso con i vegetali, dare loro strutture e consistenze particolari è sempre stato un pallino da quando ho capito quanto quel mondo ha in comune con quello animale». La conferma arriva da un Cardoncello con rapa, uva fragola ed aneto «che – spiega lo chef - dopo lavorazioni mirate assume la consistenza di un tentacolo di polpo e viene trattato come tale, battuto con decisione per raggiungere la sua massima tenerezza. E poi viene avvolto in foglie di rapa che imprimono note amare, condito con olio all'aneto e completato con uva fragola». Ci ha colpito tanto anche la Guancia di pata negra con amarone, pinoli, menta, pinoli e sedano rapa, mentre il richiamo all'artigianalità della sua terra è forte e preciso nel Tortello di ricotta dolce di pecora, con fonduta di pecorino, fondo bruno di formaggi, camomilla in una stratificazione di sapori e profumi. C'è l'Abruzzo, ma c'è pure il gourmet. C'è la semplicità degli ingredienti, ma anche un impiattamento da favola.

Seppia sporca, noci, zucca fermentata, cicoria di mare: un piatto dedicato da Daniel Tortella al nonno pescatore
Ma come nasce un suo piatto? «È una scintilla che si accende all'improvviso – mi spiega -. Se mi siedo a tavolino e mi metto a pensare come cambiare il menu, non mi esce nulla. Le idee mi arrivano camminando sulla spiaggia, mentro faccio la spesa, mentre guido o di notte mentre dormo. Allora mi sveglio all'improvviso e dico alla mia compagna di scrivere sul taccuino che tengo sempre sul comodino l'idea su cui lavorare. Poi iniziano le prove in cucina: la ripetizione del gesto all'infinito porta alla ricerca dell'imperfezione, con lo scopo di trovare la perfezione». E aggiunge: «È quello che è successo con il cardoncello, uno dei piatti che mi rappresenta meglio. Volevo evolverlo facendolo diventare da contorno a piatto centrale. Mi sono chiuso in cucina, ho provato e riprovato saltando anche i riposi. Quando ho un'idea voglio realizzarla al meglio per la felicità di chi sceglie la Bottega Dannunziana: fino a poco tempo fa ero terrorizzato dalle critiche, le soffrivo proprio. Ricordo ancora quando per la prima volta mi rimandorono indietro un piatto, era un Angus con miele fermentato: una stilettata, ci ho pianto per 3 giorni ma l'ho tenuto in menu. E così l'iniziale fragilità si è trasformata in più sicurezza. Ora so che non posso piacere a tutti ma questo non attenua la mia fame».

Un secondo piatto che profuma d'Abruzzo: Agnello, spinaci mantecati, burro acido e limone
“Fame” è anche la scritta tatuata sul braccio. «La fame – spiega - è ciò che mi ha sempre mosso. Ho iniziato a cucinare perche avevo fame ed è stata la fame a spingere nonno ad emigrare inseguendo una vita migliore. La fame ci migliora, è la nostra salvezza. Su questo concetto vorrei far nascere un movimento che porti i giovani in cucina per crescere insieme in uno spirito di condivisione, confronto, libertà. Sogno un posto che assomigli a un centro sociale, dove si cucina tutti insieme senza muri: niente ricette scritte, solo istinto, fuoco dentro e mani sporche di vita. Un posto dove ci si possa sfidare per crescere, non per vincere. Vorrei che un giorno quello fosse il mio ristorante, vorrei arrivare lì. So che la ritieni un'utopia, ma a 19 anni per me lo era anche diventare chef e oggi, a 26, posso dire di esserci riuscito. Non mi sono mai posto limiti, dobbiamo essere i primi a credere in ciò che diciamo e ad impegnarci in ciò che vogliamo. Se abbiamo quel coraggio, le cose poi accadono». Se così fosse, siamo certi che prima o poi vedremo in carta anche un suo piatto “impossibile”: «Una Tartare di pollo crudo con un fondo di pollo arrosto. Prima o poi ci riesco: di quel bambino di 7 anni che s'inventava una salsiccia con la cannella mi è rimasta l'incoscienza e la voglia di osare».

Spiedino di polpo, carote e fagioli: anche qui il vegetale è decisivo
Una sicurezza che, per chi lo conosce bene, è uno schermo ad antiche fragilità: «L'alta cucina e il fine dining mi hanno tolto dal vuoto cosmico in cui a volte cadevo. Più di una volta avrei voluto mollare, però vedevo quelli più scarsi di me che non lo facevano e allora tenevo duro. Poi ho trovato una medicina infallibile: mi sono tatuato tre grandi stelle Michelin sul braccio. Voglio arrivare lì, così quando c'è qualcosa che non gira, le guardo e m'impegno più di prima». Tortella non lo nasconde: la sua fame è insaziabile. «L'appetito vien mangiando – sorride - Più fai e più ti viene voglia di raggiungere gli obiettivi preposti. Fa parte della mia personalità esagerare per mimetizzare le mie debolezze, prendere la stella non conterebbe nulla se chi mangia da me non è soddisfatto. Mi sento realizzato ogni volta che qualcuno mi dice che ha mangiato bene e che sono stato bravo. Ma la stella è il sogno di chi, come me, da anni dà tutto se stesso in questo lavoro. Se non dovesse arrivare non mi sentirei un fallito, ma avrei il rimpianto di aver sottratto tempo alla famiglia, agli amici, a chi voglio bene». In realtà una stella c'è già nella sua vita: è Gloria, 23 anni, con la quale convive da 4. «Lei è il mio motore – afferma commosso - È il mio oggi e il mio domani. Le ho chiesto di sposarmi, lo faremo nel 2027. Solo lei conta più della cucina. Per sempre». Sì, quando ho preso quell'aereo ci avevo visto giusto.

Daniel Tortella con il tristellato Niko Romito, ospite a sorpresa alla Bottega Dannunziana lo scorso 25 aprile