Foto PA Joergensen
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Padovano di Mestrino, classe 1985, dopo il diploma all’alberghiero di Abano Terme lavora a lungo col pasticciere Luigi Biasetto, al fianco del suo capo-operazioni Ivan Centeleghe, che era anche capo-pasticciere di Gualtiero Marchesi agli inizi dell’avventura di Erbusco. «A 19 anni ero all’Albereta, al fianco di Fabrizio Molteni, tecnicamente uno dei più grandi cuochi mai conosciuti», rammenta Canella. A 23 anni, la svolta alle Calandre: 3 mesi da stagista più altri 3 mesi dagli Alajmo a Rubano, a 3 km dal mio paese natale. «Massimiliano mi ha insegnato tantissimo. Ha una modalità ludica e personalissima di intendere la cucina. È nemico del superfluo, va dritto al cuore delle cose. I suoi piatti non nascono da un’idea ma da un’emozione». A un certo punto, Riccardo è chiamato a lavorare per 3 mesi in un bistrot di un fiordo norvegese a sud di Oslo, «Era una bellissima casa in mezzo al bosco. Preparavo salmoni all’aneto in quantità. Ho messo via i soldi che avrei speso nei primi 7 mesi di lavoro a Copenhagen». Entra al Noma da stagista nel settembre 2014. «All’epoca avevo una passione parallela: suonavo la batteria col mio fratello gemello, che si applicava al sintetizzatore. Facevamo musica sperimentale. Mi venne in mente una frase di Gualtiero Marchesi: ‘Ho iniziato a fare sul serio con la cucina quando ho smesso di suonare il piano’».
«All’inizio al Noma per me fu un trauma. Occorreva superare i pregiudizi che gravano su noi italiani. Dicono che siamo indolenti e che non abbiamo voglia di imparare l’inglese. E spesso hanno ragione». Lo fa così bene che il 28 dicembre 2015, il boss Rene Redzepi lo prende da parte: «Vuoi fare il sous chef l’anno prossimo? Mi piace molto il tuo palato e il tuo senso di leadership. Potresti fare il capopartita in tutti i ristoranti del mondo». L’ultimo giorno del servizio al pop-up di Sydney ufficializza la sua promozione davanti a 60 persone: «Un momento che non scorderò mai».
Fino alla chiusura della prima sede del Noma (24 febbraio 2017), Canella è sous chef della cucina di servizio: «Ero responsabile di tutte le guarnizioni del main course, dovevo stare in servizio e fare in modo che la qualità delle materie prime sia ineccepibile. Se il test kitchen fa un piatto 10 volte, Rene poi lo assaggiava e io avevo il compito di rifinirlo e replicarlo sempre in maniera perfetta. Sono un manager di cucina: devo tenere una visione globale su tutto, risolvere i problemi velocemente». Doti che ha replicato alla successiva apertura del Noma 2.0. E il futuro? «Come tutti i cuochi, vorrei aprirmi un posto mio. Applicare tutto quello che ho imparato alle fantastiche materie prime italiane». Detto fatto: Riccardo è diventato nel 2022 chef del ristorante Oro all'interno dello storico hotel Belmond Cipriani, a Venezia.
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classe 1973, laurea in Filosofia, coordina la Guida ai Ristoranti di Identità Golose e tiene lezioni di storia della gastronomia presso istituti e università. instagram @gabrielezanatt
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