Davide Caranchini

Brambilla-Serrani

Brambilla-Serrani

Materia

via Cinque Giornate 32 - Cernobbio (Como)
tel. +39 031 2075548

L’esordio su questo sito di quel tale sconosciuto ragazzo avvenne nel dicembre 2014, lui giovanissimo ma non imberbe, già portava infatti una certa peluria sottomento: Davide Caranchini, comasco classe 1990, era alla sua prima esperienza da chef – al ristorante Acquadolce di Carate Urio (Como) – e s’era presentato a un concorso di abbinamento cibo-birra (non lo vinse), noi demmo notizia del suo piatto, Agnolotti ripieni di salmone e granchio su purea di coriandolo e mirin con salsa alla birra, a leggerlo ora già molto evoluto non c’è che dire. La Provincia, il quotidiano della sua città, a sua volta raccontò la cosa e sparò un titolo mica male, non sappiamo se figlio di una forzatura del titolista o dell'esuberanza del titolato: «Io, chef di 23 anni, conquisterò il mondo».

Non son insomma mai mancati carattere e ambizione a Caranchini, ha sempre avuto quell’aria da primo della classe che, a non assaggiare i suoi piatti persin dell’inizio, uno poteva pensare: “Che si crede d’essere?”. Poi assaggiavi, e capivi che poteva permetterselo, era un predestinato che grondava talento. Ma non era neppure della risma di quei ragazzi che magari hanno, come lui, i numeri per esplodere, lo sanno, e allora iniziano anzitempo a amarsi fin troppo, a specchiarsi tutto il tempo: no, Caranchini è sempre stato uno sgobbone, ha fatto la gavetta (da Gordon Ramsay al Maze, a Le Gavroche da Michel Roux Jr e all'Apsleys di Londra con Heinz Beck, stage al Noma di Copenaghen e una breve parentesi all'Enoteca Pinchiorri), e poi – dato ancor più significativo – non ha cercato di infilarsi in qualche progetto megagalattico e metropolitano dove far furore per diventare chefstar, non ha scelto la via semplice: lui è rimasto fedele al proprio territorio, che oggi è diventata meta gourmet, allora non se lo filava proprio nessuno. Prima s’è trasferito al Casa Santo Stefano di Cernobbio; poi, nel 2016, ha aperto il suo Materia, nella stessa cittadina lacustre, un ristorantino che dir minimale è poco: posto anonimo, tavolini piccoli, spazi stretti, che ci si chiede sempre come faccia il servizio, guidato da una Ambra Sberna in vena di miracoli, a non collassare. Ma a Caranchini andava (e va) bene così: lui lì è anche il patron, così non deve scendere a compromessi. Come dire: voglio proporre la mia cucina, se mi volete sono qui.

Lo vogliamo, perché lui è bravissimo, la sua tavola una cornucopia di idee tra il geniale e solo il fantastico quando son robe minori. Si poggia su alcuni pilastri, lo spiegò nel 2021 anche a due congressi internazionali, uno a Madrid (venne presentato come «uno dei cuochi che più efficacemente stanno innovando la cucina italiana»: sì, gli spagnoli son sempre un passo avanti a noi) e l’altro a Bogotà, c’era per l’occasione anche lo scrivente intento a schivare le insidie del Covid: contaminazione delle idee, come prima cosa, quindi lo scambio con le altre culture; poi la sensibilità, mettere le mani e il cuore in quello che si fa; e il pensiero, ossia avanguardia non è questione di tecniche, ma di idee. Con alcuni corollari: non porsi troppo il tema della bellezza estetica del piatto, ché tanto la percezione della bellezza è condizionata dal momento storico; sentirsi liberi di proporre anche prodotti non usuali per il contesto, chi se ne frega, basta che vinca il gusto; e giocare con un’apparente semplicità che nasconda però la concentrazione di sapori senza compromessi.

Teorizzazioni che diventano pratica quotidiana al Materia. Il lago è lì, ma lui a volte gli volta le spalle per vedere cosa trova nelle montagne retrostanti, o in campagna. Ha strutturato sempre più una propria dimensione personale, identitaria, originale, autentica perché figlia del luogo nel quale è nato e opera. «Troppe volte venivamo associati al Noma, "tu fai quella cucina" e non era vero, mi sentivo come mi ponessero dei paletti entro ai quali operare. Ora mi sento più libero, il mio stile non è cambiato, mantiene le sue caratteristiche, la nota amara, l'acidità... Ma credo si sia evoluto in una maniera più elegante, meno brutale. Abbiamo pure messo le tovaglie!».

Ha partecipato a

Identità Milano


a cura di

Carlo Passera

classe 1974, milanese orgoglioso di esserlo, giornalista professionista dal 1999, ossia un millennio fa, si è a lungo occupato di politica e nel tempo libero di cibo. Ora fa l'opposto ed è assai contento così. Appena può, si butta su viaggi e buona tavola. Coordinatore della redazione di identitagolose.it e curatore della Guida di Identità Golose alle Pizzerie e Cocktail Bar d'autore. Instagram: carlopassera