Dal 5 ottobre 1757, data di fondazione del ritorante Del Cambio, tanto è cambiato a Torino. In quegli anni, quasi 3 secoli fa, la città era capitale del Ducato di Savoia, i confini dei domini sabaudi oltrepassavano le Alpi, abbracciavano appunto la Savoia, e poi, a Est, guadavano il Ticino a Est. Poi, nel 1861, quei territori si sono allargati sino a definire il contorno del Regno d’Italia; proprio in questa Piazza Carignano si insediò il primo Parlamento italiano.
Nel contempo, però, Torino ha perso la sua centralità, si è marginalizzata proprio geograficamente, si trova in alto a sinistra nelle cartine che riproducono la Penisola; ma questo locale ha resistito, ha cambiato pelle, ha assunto contorni più contemporanei... Fino al suo ultimo cambiamento. Sì: perché da qualche mese è stato ufficializzato il nuovo chef che prende il posto, alla guida delle storiche cucine, di Matteo Baronetto, che la stella qui l’ha riportata, trattenuta e negli ultimi anni gli calzava pure stretta.
Diego Giglio, piemontese come
Camillo Benso, già da tanti anni in Piazza Carignano, da maggio ha preso il comando della brigata del più importante ristorante cittadino.
La scelta è stata subito ripartire dalla storia, dalla tradizione di questo luogo, riprendendo anche gli accenti francesi che per secoli hanno risuonato tra le sue pareti e anche nella tradizione culinaria. «Del Cambio è un'istituzione gastronomica, rappresenta in qualche modo un omaggio a Torino, celebra questa città a livello internazionale. In questo senso, attraverso il mio lavoro, sento di dovergli questo tributo - dice Diego - Lavorare in uno dei ristoranti più importanti e storici d’Italia è un’opportunità unica: vivi la storia, la respiri e per questo senti il dovere di rispettarla e l’esigenza di raccontarla. Ecco perché sono profondamente legato al territorio e alle sue materie prime; ricerco qui, nella storia della mia terra e di Del Cambio, gli spunti di innovazione per le mie creazioni».

Una sala del Del Cambio con le superfici specchianti disegnate da Michelangelo Pistoletto, prezioso lascito del grande restauro del 2013
I piatti emergono dallo studio delle ricette storiche del ristorante e della cucina piemontese, reinterpretate con la nuova potenzialità tecnica e con tutta l’eccellenza delle materie prime locali e meno locali. Un esempio emblematico delle fonti d'ispirazione è
Il cuoco piemontese perfezionato a Parigi, dall’autore sconosciuto, pubblicato nel 1766 e che rappresenta la prima grande codificazione della cucina regionale piemontese. Quest’opera, la prima in Italia a rifarsi al modello della
Cuisinière bourgeoise di
Menon, edito nel 1746 a Parigi, non si limita a importare i modelli francesi, ma li reinterpreta con tecnica, eleganza e una visione in linea con il fermento dell’epoca, adattandoli alle materie prime del territorio, senza snaturare la tradizione. Quello che si propone anche oggi Giglio, ovviamente in chiave contemporanea.

Il cuoco piemontese perfezionato a Parigi e lo chef al lavoro nella cucina del Del Cambio
Nel piatto gli ingredienti e le ricette recuperano semplicità e pulizia con una interpretazione del peso storico di questi tavoli, insieme all’umiltà e alla delicatezza che lo chef dimostra anche nel modi lievi con cui passa tra i tavoli durante la cena. «Il nostro obiettivo, oggi più che mai, è quello di farci portavoce di questa storia che ci circonda, di rappresentare la tradizione in una versione mai scontata, ma neanche snaturata: come base solida da cui partire per sperimentare, per innovare e continuare a sorprendere».

Agnolotti alla piemontese
Il menu degustazione propone preparazioni come
Seppia, mozzarella e bagnetto rosso o
Scampi e anguria in carpione, dove le assonanze con la tradizione si scolorano e vengono adagiate su vesti nuove. Ma è il menu alla carta quello dove, invece, si dà pieno spazio al classico:
Insalata piemontese, Vitello tonnato, Gofri del Piemonte, Patè di vitello in gelatina, Acciughe al verde, Carne cruda, poi il
Riso Cavour, che parte dal riso venere soffiato e mantecato, insieme a pomodori confit e uova (distante, invero, dalla ricetta che il Conte era solito mangiare in queste sale). O la
Roulade di coniglio con peperoni, dove il peperone è semi-candito, non stufato come nei vecchi manuali, per continuare a valorizzare l’identità delle ricette regionali.

Ostrica gratinata con pane alle erbe e scorza di limone
Si ispirano al libro
Il cuoco piemontese perfezionato a Parigi i particolari di alcuni piatti del menu come l’
Ostrica gratinata con pane alle erbe e scorza di limone, servita nel suo guscio con un fondo di pollo; e ancora la
Lingua alla Persillade: una lingua di vitello in fettine sottilissime accompagnate da una salsa verde a base di prezzemolo, impreziosite da un concassé di lardo in carpione. Ecco poi la
Minestra di riso, un risotto che segue il ritmo delle stagioni, con in superficie un gioco di consistenze e profumi: lamelle di funghi freschi a crudo, tartufo nero e un’emulsione a base di champignon, che conferisce una nota sapida e avvolgente. E ancora il
Piccione alla Marengo che trae ispirazione dalla ricetta
Piccioni con intingolo di gambari dello stesso storico volume (il piatto, a base di piccione, viene valorizzato dalla salsa, che nasce dall’incontro tra un fondo di piccione e una bisque di crostacei, intrecciando i sentori profondi della selvaggina con i sapori del mare. A completare la composizione, una coscia farcita con foie gras e tartufo nero, racchiusa in una panatura croccante).
A chiudere, Bunet Del Cambio (una rivisitazione del classico dolce piemontese, cotto al vapore, con aggiunta di olio di nocciola estratto a freddo) e Zuppa inglese. La carta dei vini (4mila etichette, 16mila bottiglie in cantina) da sola vale la visita.

La brigata guidata da Diego Giglio
Diego Giglio ha lavorato al nuovo menu del
Del Cambio insieme al sous
Francesco Rovai, al restaurant manager
Fabio Furci, alla pastry chef
Giorgia Mazzuferi, al sommelier
Mirko Galasso. «Il
Del Cambio rimane fedele a sé stesso, continuando a evolvere nel tempo», conclude lo chef.