Tornare alla Cucina di Rho a distanza di qualche mese significa entrare in un nuovo ristorante, con un nuovo volto e un menù modificato. Eppure sul ponte di comando ci sono sempre loro. Gaetano Marinaccio e Nadia Petronio, una coppia che da quattro anni, giorno dopo giorno, appoggia mattoncino su mattoncino per arrivare a realizzare definitivamente il suo sogno del perfetto fine dining made in Rho. Se il livello della perfezione non è ancora stato raggiunto, la strada intrapresa è quella buona.
È stata un’estate di trasformazione alla cucina. Ha salutato lo chef Alfonso Daviducci e allora Marinaccio ha preso in mano la situazione. È tornato in cucina, dove aveva iniziato nel 2020, continua a ideare i suoi piatti ma li realizza anche al cento per cento. Per un po’ si è sdoppiato come un modello Clark Kent, dentro e fuori dalla cucina, poi ha lasciato lo scettro della sala a Nadia, dedicandosi a quella che è sempre stata la sua passione.

Gaetano Marinaccio e Nadia Petronio
Rispetto al passato, la cucina non ha cambiato indirizzo. C’è sempre molta eredità campana come è normale che sia per uno chef-patron che arriva proprio da quella regione. Però
Gaetano vive da parecchio tempo a Milano e dintorni, ama molto la contaminazione tra ingredienti del nord e ingredienti della sua zona d’origine. Il rapporto con
Daviducci, sia pure in qualche momento un po’ conflittuale, ha comunque fruttato a
Marinaccio qualche asset in più per far sentire a proprio agio i suoi clienti. La differenza in fondo non si nota, rispetto a un anno fa.

Risotto giallo con polline e zafferano di Cornaredo
Nuovo è anche l’ambiente, potenzialmente un luogo del cuore con le sue luci soffuse, la sua musica sommessamente melodica, i suoi spazi comodi. Nella sua nuova configurazione prevede 18 coperti. Alla fondazione erano il doppio, ma il locale era partito con un indirizzo completamente diverso. Adesso deve essere la mèta a cui si pensa quando l’idea non è semplicemente “voglio mangiare bene”, ma in senso più esteso “voglio mangiare bene, stare bene e uscire con un sorriso”.

Crudo di giovenca sannita con uovo fritto e parmigiano
Il menù prevede una carta e diversi menù degustazione, che vanno dai 50 ai 95 euro in base al numero di portate e alla difficoltà di esecuzione. La base della cucina resta la tradizione campana, dalla quale lo chef patron (“executive chef” per l’esattezza) non potrebbe mai separarsi. L’addio di Daviducci ovviamente ha portato qualche piccola correzione rispetto al passato. Il
Risotto giallo, che è fatto con zafferano biologico coltivato a Cornaredo (pochi chilometri di distanza) ed è arricchito con del polline che gli dà una nota inimitabile, è diventato più leggero e cremoso, decisamente più vicino ai parametri dei grandi chef lombardi.

Picanha di giovenca sannita
Ci sono due punti del menù su cui
Marinaccio è intervenuto in maniera molto marcante e continuano a essere punti di forza. Il primo è quello dei panificati, che sono completamente cambiati rispetto al passato, vengono realizzati tutti con il lievito madre e arrivano al tavolo con una fragranza che stordisce. Impossibile lasciare una briciola. L’altra specialità dell’executive chef è la cottura delle carni. Al limite del maniacale la cura con cui verifica al millesimo di secondo che la
Picanha (il nome brasiliano fa esotico ma è uno splendido codone di giovenca sannitica) abbia le giuste tonalità di rosa che la rendono irresistibile. La giovenca sannita è anche uno degli antipasti, questa volta nella versione tartare con uovo fritto e fonduta di parmigiano.
Molta Campania risiede anche nel settore dei primi piatti. Nella modalità pasta troviamo il cosiddetto
Cavolisciore, piatto introdotto in carta nel 2024, che si compone di pasta mista di Gragnano accompagnata da una crema di cavolfiore e da un ragù di quaglia. Si sta perfezionando. Praticamente perfetto, pur essendo datato 2025,
Un asino alla genovese, che rivisita la cosiddetta “genovese” (la straordinaria specialità napoletana a base di carne e cipolla) sostituendo la carne di maiale con una tenerissima carne d’asino.

Un asino alla genovese, ravioli ripieni e conditi con la famosa genovese
Si chiama
Bab(b)à una versione meno aggressiva del classico babà napoletano, un po’ meno alcolico, realizzato con lievito madre e “mascherato” da delizia al limone con una delicata glassatura, arricchito poi con un’essenza di amarena. Con o senza caffè, è cura del patron servire i dolcini di arrivederci, alcuni dei quali restano nella memoria a lungo, soprattutto il biscotto al caffè morbido e croccante allo stesso tempo, ma anche la pralina di cioccolato bianco e cocco. Già al dessert si uscirebbe felici, con il post-dessert si esce definitivamente conquistati. Immaginando che alla prossima visita si troverà qualcosa di nuovo.
La Cucina, Non il solito ristorante
Via Porta Ronca, 86
Rho (Milano)
+39.02.87178606
info@cucinadirho.it
Chiuso sempre a pranzo e l'intera domenica