«…e proprio oggi inauguriamo il nuovo menu», spiegava il maître Marco Masera qualche giorno fa allo Spazio 7 di Torino, chi scrive si era appena accomodato a tavola. Son quelle circostanze nelle quali non sai mai se sia una fortuna o una iattura: essere contenti perché si provano piatti nuovi o diffidenti perché, insomma, aumenta la percentuale di rischio che non siano tutti sufficientemente testati, rodati?

Il bravo maître Marco Masera
Prevalse il primo sentimento, perché lo chef
Alessandro Mecca è un fior di professionista, me ne accorsi la prima volta a Villanova d’Asti, nel 2013, capitato un po’ per caso all’
Estate di San Martino dove feci la prima conoscenza con questo torinese classe 1984. Scrissi per l’occasione, sulla
Guida Identità Golose 2014, ancora in versione cartacea: “
Mecca adotta uno stile sobrio, ha mano felice nel trattare prodotti di qualità impeccabile con una pulizia di tratto che regala preparazioni in buon equilibrio tra sapidità ed eleganza; non urla al vento la propria abilità tecnica, la lascia filtrare sottovoce”. E’ così anche ora.
Così sintetizzava la propria carriera: «Papà (è figlio d’arte, babbo
Donato Mecca impiatta al
Crocetta di Torino dal 1981,
ndr) mi ha inculcato il rispetto per la materia prima, la disciplina e la professionalità; da
Guido (ossia dagli
Alciati, a Santo Stefano Belbo) ha visto per la prima volta come si conduce un grande ristorante;
Luisa Valazza (del
Sorriso, nel quasi omonimo comune novarese) mi ha insegnato quelle basi di cucina francese che mi mancavano; infine da
Alex (
Atala, del
Dom di San Paolo) ho appreso l’importanza della fantasia, della creatività e della valorizzazione del territorio».

La brigata: da sinistra Fabrizio Cavassa (classe 1993), Federico Caldara (1993), Michele Tomatis (1994), Andrea Coletta (1994) e lo chef Mecca. Completano la squadra il nuovo bartender Antonio Masi
Tutte esperienze che ora
Mecca jr mette a frutto nel suo indirizzo sabaudo all’interno della
Fondazione Sandretto Re Rebaudengo per l’arte contemporanea, dove è approdato nel 2015 quasi in punta di piedi, garbatamente, com’è suo stile. Sono passati due anni e vi dispiega ora senza tentennamenti la propria cifra, che è di alto livello. Ha mantenuto quella sobrietà di mano che rende i suoi piatti comprensibili e gentili, strutturati senza essere rumorosi.
In più, vi affianca una anche maggiore finezza, soprattutto estetica, in una pulsione continua a un minimalismo non di maniera, ma che fa parte del suo dna: «Tolgo elementi, faccio pulizia. Esageravo coi fiori eduli, oggi per comprarli spendo 800 euro al mese in meno, mi concentro piuttosto sulla materia. Da cosa mi arriva l’ispirazione? Mi guardo attorno, osservo le opere della Fondazione, parlo con i loro autori. E poi mi basta sfogliare qualche numero storico di Grand Gourmet, ripassare i piatti di Gualtiero Marchesi. Penso poi a Bottura, a Romito: mi piace l’idea di creare una preparazione che possa andare oltre al tempo, alle mode».
E’ uno chef contemporaneo, che ama le scale di dolce, amaro, acido.
Cavallito, Lamacchia e Vizzari jr in un
loro recente libro lo collocano tra i
viaggiatori, “amanuensi che trattengono il sapere e con l’ibridazione muovono verso il futuro il nostro mondo provinciale”. Sia come sia, è
Mecca è oggi uno chef giovane e maturo, nel pieno della crescita. Sta sviluppando un proprio stile personale, profondamente italiano anche se con echi francesi e orientali.
Alcuni piatti del nostro pasto (vedere la fotogallery di Tanio Liotta) sono stati davvero squisiti: Cioccolatino di cacao amaro, fassona e salsa acida, Raviolo di coda alla vaccinara con crema di melanzane e la sua salsa, Zucchine matita, barracuda marinato e tenerume, Lattughino, olive, semi di zucca, insalata liquida e fettunta, Risotto all’acqua, uovo e uova, ma anche il classico piccione e i dolci, che rileggono la tradizione piemontese con grazia e grande intelligenza.