Esistono i bullinianos, così definiti da elBulli Foundation: “Son todas aquellas personas que han participado en proyectos promovidos por Ferran Adrià, Albert Adrià y Juli Soler”. Ci sono i Marchesi Boys, li abbiamo raccontati tutti insieme qui. Prima ancora, ormai un po’ scoloriti, trovavamo Les Disciples d’Auguste Escoffier. Adesso parlare di santubertiani o di niederkofleriani pare davvero brutto, chiamiamoli pure “figli di Cook the Mountains”, anche se poi hanno sviluppato percorsi davvero diversi tra loro, anche distanti da quello della casa madre della quale però rimane un imprinting di fondo, l’attenzione massima al territorio come ecosistema e fonte di identità culturale e gastronomica, il focus sulla biodiversità circostante, sul ritmo delle stagioni e sulla riscoperta di varietà dimenticate, con approccio etico che unisce sostenibilità, economia locale, rispetto dell’ambiente e memoria delle tradizioni. Ecco, per esempio: c’è stato un momento in cui la brigata del St. Hubertus era frequentata dal toscano Ariel Hagen, che ora applica nella campagna senese i principi appresi in Alta Badia; dal siciliano Dario Pandolfo, che addirittura li ha portati davanti al mare di Cefalù; dal veneto Alberto Toè, che dopo la parentesi milanese sta scaldando i muscoli per la sua nuova avventura sudtirolese, al Castel Badia, nei pressi di Brunico; e da Federico Rovacchi, più di tutti i precedenti calatosi negli ultimi anni in quella dimensione montana diventata suo innesto identitario – lui è originario di Reggio Emilia – che dà anima alla cucina del luogo dove lavora da un quadriennio, la Baita Piè Tofana a Cortina d’Ampezzo (Belluno).


La sala del Baita Piè Tofana
Rovacchi è dunque figlio di
Cook the Mountains (è stato al
St. Hubertus per sei anni, anche come sous) ma a sua volta anche di più, sviluppa uno stile personale in fieri che racconta influenze francesi e asiatiche, innamoramenti mediterranei e la lezione veg di
Enrico Crippa, presso il quale pure ha lavorato. Ma torneremo su questo punto. Intanto, è importante il luogo dove opera: da Olimpiade a Olimpiade, la
Baita Piè Tofana diventa il fil rouge di una storia che cuce insieme passato e futuro, come sta accadendo in tante perle di Cortina, leggi ad esempio
Ancora Cortina, rinascita di un’icona: com’è l'hotel-gioiello delle Dolomiti (e cosa si mangia). La struttura che oggi accoglie
Baita Piè Tofana nasce in occasione delle Olimpiadi del 1956 come rifugio per i cronometristi, a 1.700 metri di quota, accanto alla seggiovia Piè Tofana - Duca d’Aosta, con terrazza che si tuffa nella pista che è ancora oggi tappa della Coppa del Mondo femminile di sci e che sarà protagonista dei prossimi Giochi Olimpici Invernali Milano-Cortina 2026. Qui gli anni Ottanta son trascorsi a loro modo, simbolo è che proprio tra queste pareti sia stata girata una delle scene cult del famoso (o famigerato?) film
Vacanze di Natale, anno 1983, con
Christian De Sica e
Karina Huff, e pure successivi sequel -
Vacanze di Natale 2000 e
Vacanze di Natale a Cortina del 2011.

Ricordo di Vacanze di Natale alle pareti del Baita Piè Tofana
Poi, la decadenza, anche questa legata a una Cortina incapace a lungo di rinnovarsi. L’aria fresca è tornata quando nel 2019 l’imprenditore cortinese
Michel Oberhammer, con una lunga esperienza nel mondo del vino, ha rilevato e rinnovato l’insegna, preservando l’essenza originale del luogo e dando vita a un ristorante elegante ma non troppo formale, basta e avanza la vista mozzafiato sulle Tofane.

Federico Rovacchi, classe 1992 da Reggio Emilia. Ha iniziato al Cà Matilde con Andrea Incerti Vezzani, per poi passare al Magnolia di Cesenatico con Alberto Faccani. Quindi Enrico Crippa e Norbert Niederkofler
La scelta di chiamare
Rovacchi è stata consequenziale: ha significato riprendere una continuità ideale e territoriale ma donarle una foggia di contemporaneità, anche in cucina. Lo chef ha apportato tutto il suo bagaglio di conoscenze che partono dalla selezione dei fornitori, quindi le carni della macelleria
Dal Farra di Belluno e del
Maso Pretzhof di Vipiteno, i formaggi di
Sanwido, il pesce di montagna come trote e salmerini, ma anche il pregiato Maiale Grigio del Casentino (magnifico il lardo di
Paolo Landi), la selvaggina di
Zivieri, gli ortaggi dell’orto maison gestito dall’azienda agricola
Borgo Dus tra il Piave e il Montello, e così via.

Patron Michel Oberhammer, chef Federico Rovacchi, la maître Elisa Prudente e la sous chef Nicole Groff
Rovacchi plasma tale materia prima eccellente seguendo la stella polare del
cucinare la montagna ma – lo abbiamo visto – apportandovi molto del suo percorso, in qualche modo contaminandola, fornendole una lettura personale e originale. È un approccio che deve sedimentarsi per bene, cui manca ancora una sintesi stilistica definitiva – lo chef è giovane, classe 1992 – ma che già mostra talento ed energia, capacità creativa e di costruzione del sapore. Prova ne sia uno dei piatti simbolo, che è anche tra quelli che più abbiamo apprezzato, ossia
Millefoglie, che cambia in base alla stagione, con foglie diverse (per noi bietole, ma possono essere di shiso, spinacio, cavolo nero, buon enrico…) passate in padella per renderle croccanti, poi alternate a strati con una maionese di levistico, sottili fette di mela verde, formaggio comté, insalatina fresca, noci e crème fraîche. Sulla stessa lunghezza d’onda – dunque piatto compiuto, completo, impeccabile nella propria identità ed essenzialità – abbiamo
Insalata di pasta, ossia il carboidrato che sale in cima.

Dopo gli appetizer (Arlette salata con misto di insalate fresche ed erbe di montagna, pecorino grattugiato e lardo; Fico impanato e fritto con salsa shichimi tōgarashi (“Peperoncino ai sette sapori”); Gazpacho di fragole alla brace, pomodoro alla brace e peperone rosso, olio alla menta) il primo piatto del nostro percorso è Ostrica alla brace, ormai una proposta signature: ostrica cotta alla brace e affumicata, lardo, gel di ponzu

Millefoglie di bietole, mela verde, formaggio comté, crema alla noci, salsa di levistico

Insalata di pasta: viene preparato uno spaghetto alla chitarra verde con alloro e aglio orsino, mantecato con una crema di scarola, aglio orsino e erbe amare di montagna passate alla brace. Sopra c’è un olio di fico, foglio di finocchio marino sott'aceto e foglie di cappero sott'olio. Alla base del piatto c’è una chiffonade di scarola e acetosa. Nel piatto dominano acido e amaro
Eccellenti anche
Ostrica alla brace, ormai un signature di
Rovacchi (ostrica cotta alla brace, affumicata, condita con lardo e gel di ponzu), e
Animella di vitello (animella nappata nel burro alla brace su pentola di ghisa, gremolada di cetriolini e pomodoro verde, spuma di salsa Choron).

Animella di vitello: animella nappata nel burro alla brace su pentola di ghisa, gremolada di cetriolini e pomodoro verde, spuma di salsa Choron

Risotto, caprino, crespino ed elicriso. Il caprino viene da San Vito di Cadore, azienda San Guido. Il riso viene mantecato con burro di capra e caprino fresco, il piatto è completato da una riduzione di elicriso – pianta di montagna dal profumo intenso e una nota di liquirizia – e da una polvere di crespino, bacca alpina estremamente acida, che aggiunge tensione e verticalità
Il
Risotto, caprino, crespino ed elicriso mostra per noi una cottura imperfetta ma regala nel contempo grande aromaticità in un ensemble classico tra acidità e grassezza.

Rossini al mare: pan brioche alle alghe, filetto di manzo alla brace, foglia di spinacio, seppiolina alla brace, scaloppa di foie gras, salsa teriyaki

Cosce di ninfa alla Bella Aurora: «Riprendiamo un grande classico di Escoffier, l’aveva servito per il principe di Scozia, quindi coscia di rana con una salsa classica. Abbiamo lavorato molto su pomodori in varie consistenze e acidità, abbiamo creato uno gnocco di pomodoro ripieno di salsa Aurora (datterino alla brace, creme fraiche e mascarpone) e un beurre blanc all’acqua di pomodoro»
Rossini al mare è piatto di gola e di mestiere, suadente e piacione;
Cosce di ninfa alla Bella Aurora (coscetta di rana da intingere in una salsa Aurora della quale sono ripieni finti pomodorini, in realtà gnocchi di pomodoro) ci sembra un'idea interessante con singoli assaggi ottimi, ma un po’ slegati tra di loro.
Rovacchi potrà lavorarci ancora, magari insieme alla brillante e giovanissima sua sous chef, la trentina
Nicole Groff, classe 1999, anche lei una ex del
St. Hubertus.