C’è lavoro, studio, creatività e un pizzico di sana follia nelle scelte dell’imprenditore della ristorazione Franco Virga che – in una Palermo a lungo piuttosto negletta dalla tavola d’autore – negli ultimi anni non ha mai mancato di sorprenderci. Al suo Gagini aperto nel novembre 2011, dopo gli inizi con Gianni Lettica e poi il lungo regno in cucina di Gioacchino Gaglio, già nel 2019 Virga aveva scompaginato le carte, chiamando ai fornelli il marchigiano Massimiliano Mandozzi con la moglie, la pastry Elnava De Rosa, prelevati direttamente da un hotel di lusso sul Lago di Como. Innesto non ben riuscito; così dall’anno seguente erano partiti i veri fuochi d’artificio, che da allora han sempre seguito la medesima scia: smuovere le acque nel capoluogo siciliano, apportare idee “da fuori”, vivificare una scena un po’ stagnante, fornire stimoli all’ambiente tutto, ma in primis a sé stessi. Ecco allora l’arrivo inatteso del brasiliano Maurizio Zillo, e - in una delle altre insegne del gruppo, Stazione Vucciria - quelli ancor più incredibili del belga Kobe Desramaults e poi del giapponese Yoji Tokuyoshi, mentre nel frattempo Virga coccolava giovani talenti (Tiziana Francoforte alla trattoria di mare Aja Mola) e ne recuperava uno di valore ma un po’ dimenticato (Enrico Zanirato da poco nuovo head chef al Buatta di Torino, con la supervisione dall’isola dell’executive Fabio Cardilio).

Franco Virga con la moglie Stefania Milano
Con queste premesse, intuire chi avrebbe incarnato il nuovo corso del
Gagini post-
Zillo sarebbe equivalso a vincere al Superenalotto. Il tagliando vincente l’ha strappato
Marco Massaia, a lungo corteggiato anche in passato a testimonianza che
Virga, di cucina, ne capisce, e inoltre possiede una lucida fantasia per ribaltare gli scenari. Perché
Massaia, torinese di bella presenza, classe 1987, una laurea in Giurisprudenza, già quando lavorava con
Guido Martinetti e
Federico Grom al
Radici nel Monferrato dava l’impressione di poter spiccare il volo. Penso che il magnetismo della terra sicula possa fargli da ulteriore trampolino.
“A lungo corteggiato”, ho appena scritto: perché l’approdo di
Massaia stava per concretizzarsi già appena prima del Covid, «Palermo l’ho amata follemente fin dalla prima volta in cui la vidi e da allora ho sempre avuto una certezza, ossia che prima o poi sarei venuto a lavorare qui.
Franco, poi, sa essere persuasivo... Ora ho un palcoscenico bellissimo, un ristorante meraviglioso». Lo chef ha firmato il primo menu a fine marzo, poi altri ne sono seguiti man mano che ha potuto immergersi nella realtà locale, ha preso confidenza coi produttori di cose buone, «la Sicilia è complessa per definizione, si ha la possibilità di attingere a una multitudine di ingredienti pazzeschi. Combatti invece con certe dinamiche, come la logistica, la continuità nelle forniture... Diciamo che provo a innestare un po’ di organizzazione sabauda».
Proprio in questa endiade sta l’essenza del nuovo corso del
Gagini: un Piemonte in Sicilia, o meglio una Sicilia con accenni piemontizzanti, mix fertile in cui il continente gastronomico apporta materia prima, ispirazioni, evocazione e tradizione,
Massaia il proprio imprinting intanto territoriale, poi stilistico; i piatti sono nella linea che già gli (ri)conoscevamo, ossia netti, molto puliti, non c’è nulla dell’eccesso isolano, lui dice «faccio poco cinema». Usa con abbondanza e criterio le aromatiche di terra, di costa e di mare (un'antologia infinita di profumi e sapori che va solo dischiusa), ama il quinto quarto, sa riconoscere il buono e costruirci attorno la struttura che lo esalti senza sovrastarlo. È consapevole di essere entrato in una storia - quella del
Gagini – che è già iniziata da tempo ed è da rispettare, ma senza troppi lacci e lacciuoli perché l’identità stessa del locale sta nella sua mutevolezza, nell’essere ogni volta uguale a sé stesso eppure inedito insieme.
Nei nostri assaggi, di qualche settimana fa, i piatti che più conseguono da quanto detto, ossia che sono già figli maturi di questa impostazione di ricerca, ci sono apparsi già perfettamente a fuoco, su tutti il Lattume fritto nella semola, bagnetto verde, scorza di limone, salsa di aceto di mele e zucchero muscovado che è elegantissimo, con le note acidule e fruttate della mela e una croccantezza golosa e seducente. Massaia ha mano felice nel trovare l’equilibrio tra gamberi, midollo e salicornia nella pasta ripiena (Tortello di midollo alla brace mantecato con salsa di agrumi tostati, gamberi crudi, fondo di pollo, finocchi di mare in salamoia, emulsione di erbe costiere di Capo Gallo montata con acqua di vongole) e mano leggera per non sovrastare il merluzzo col sugo (Merluzzo e sfincione), là dove s’addentra in una rivisitazione di piatti tradizionali che gli forniranno millemila spunti efficaci. Lui è intelligente e li saprà cogliere.

Carciofo romanesco di Alia, crema di mandorla bianca, ricci di mare, salsa di erbe spontanee, cerfoglio in foglia, mandorle tostate, un piatto fuori carta. Il carciofo romanesco (o mammola) viene da Alia, un paesino vicino a Cefalù «dove ho scoperto - dice lo chef - un posto che si chiama L'Orto delle Meraviglie, lavora straordinariamente bene coi vegetali, irriga pochissimo e quindi la concentrazione dei sapori è notevole»

Lattume fritto nella semola, bagnetto verde leggero, scorza di limone, salsa di aceto di mele e zucchero muscovado. Il bagnetto è in questo caso una salsa di erbe spontanee battute al coltello (drangoncello, melissa, prezzemolo, maggiorana). «Nel piatto riprendo una tradizione palermitana, quella dell’agrodolce, ma gioco con le consistenze, in un misto tra Piemonte e Sicilia»

Roastbeef di cuore alla brace, gelsi neri freschi e fermentati, salsa umeboshi, nocciole, fiori di borragine

Gamberi in due uscite: la prima è questa Testa di gambero fritta in tempura di farina di riso, chutney di nespole, semi di senape, foglie di pepe sancho

Spiedino di polpo alla brace laccato con salsa teriyaki di melassa di carruba, insalatina di puntarelle, mandorle verdi in salamoia, finocchietto selvatico e cerfoglio

Seconda uscita del gambero: Tortello di midollo alla brace mantecato con salsa di agrumi tostati, gamberi crudi, fondo di pollo, finocchi di mare in salamoia, emulsione di erbe costiere di Capo Gallo montata con acqua di vongole

Merluzzo e sfincione: merluzzo cotto alla brace sulla pelle, laccato con estrazione ridotta di pomodorini, cipolla in agrodolce, pomodorini semi-dry maison, caviale di merluzzo, sardella, succo di datterino. «Siamo entrati in un territorio scivolosissimo, Baccalà e sfincione è un piatto della tradizione palermitana nella quale io mi sto ancora addentrando. Ho preferito usare il merluzzo perché ha nuances più delicate»

Maialino dei Nebrodi in tre servizi. Guancia del maialino in lenta cottura («Quasi un brasato, come fossimo in Piemonte») con tahina, insalatina di asparagi e cotenna soffiata. Poi i due side dish sono Sandwich di patate farcito con costina di maiale disossata e sedano fresco e Mangiaebevi di lingua di maiale, cipollotto avvolto nel guanciale e polvere di limone bruciato. «È un piatto nato dall’incontro con Luisa Agostino, ho assaggiato la carne dei suoi maiale, raramente ne avevo ho gustata di così buona»

Gelato al cappero di Salina, crumble all’origano fresco, namelaka di cioccolato di Modica e caffè espresso, capperi disidratati, meringa
Gagini
Via dei Cassari 35, Palermo
Tel. +39 091 589918
gaginirestaurant.com
Chiuso l'intero lunedì e il martedì a pranzo
Menu degustazione a 85, 105, 135 euro