Quelli dell’House of Ronin, dopo qualche stop-and-go, han trovato la formula giusta per far(ci) felici al primo piano del loro palazzo neo-liberty di via Vittorio Alfieri 17, piena Chinatown milanese (sotto, a livello della strada, c’è il Piccolo Ronin, lo spazio più easy, sorta di bistrot di cucina panasiatica. Sopra, invece, ci sono il cocktail & karaoke bar Madame Cheng’s insieme al ristorante omakase Hatsune Ronin e lassù, al terzo e ultimo piano, il club privato Arcade). Ma non divaghiamo. L’insegna recita: Ronin Robata. Ma nella comunicazione aggiungono: “Vol. 2”. È infatti lo sviluppo del progetto iniziale, che non convinceva più di tanto; ora invece hanno sterzato e messo le ali. Al Ronin Robata si sta benissimo.

Il palazzo dell'House of Ronin, nella Chinatown milanese

Soffitti alti e a specchio: ci si diverte!
Concettualmente è una
Langosteria traslata nel mondo della carne e poi portata in Oriente (o viceversa: portata in Oriente e poi traslata nel mondo della carne). Quindi: locale bellissimo – d’altra parte bello lo era fin dall’apertura – con piatti a base di gran materia prima addentati da una clientela variegata. Ossia: un buongustaio al termine della cena esce con la voglia di tornarci presto, perché il cibo è di alta qualità, il servizio affabile, l’atmosfera serena e conviviale. Ma accanto a noi ecco il tavolo di uomini d’affari stranieri (americani?), e più in là marito e moglie/amante discutono a voce un po’ alta, lui un po’ ganassa, lei che vuole intanto bere bene (si può, tra ottimi cocktail,
li recensiamo anche sulla nostra Guida, e una bella cantina). È insomma un ristorante di livello ma per tutti, un po’ come
Langosteria o come
Iyo della non lontana Via Piero della Francesca.
È un mix che funziona e diverte, intanto. Noi potevamo avere qualche pregiudizio sulla cucina: spazzato via dagli assaggi. Il menu prevede lo Yakiniku, figlio di quella immigrazione coreana in Giappone che a partire dal Secondo Dopoguerra diffuse sempre più nell’isola la cultura della carne alla griglia, in un Paese, come quello del Sol Levante, in cui il suo consumo era addirittura proibito fino a ottant’anni prima.
Yakiniku è un metodo di cottura, ma
yakiniku è anche il nome della griglietta che, come fosse un oblò, è stata incastonata al centro di ciascun tavolo. I tagli di carne arrivano in successione, ognuno se li cuoce e accompagna a piacere – immancabili le tante verdure e salse a contorno. Si sceglie la razza (Black angus statunitense, Prussiana, WagyÅ« spagnolo, WagyÅ« australiano o WagyÅ« giaponese) o persino la selezione (tre sono made in Japan, ci sono quelle del Consorzio di Kobe, la Sendai o quella dell’allevatore
Muhenaru Ozaki) e il taglio. Ha senso optare per il mix offerto dal percorso
Yakiniku, compresi
Verdure namasu, una sorta di giardiniera,
Riso integrale con furikake e
Kimchi con yuzu e limone candito, oppure direttamente i menu degustazione, che pescano qua e là, con tanti assaggi che valgono ampiamente il prezzo, 80 o 125 euro.

Degustazione di quattro tagli di Wagyū (scamone, noce, reale, petto/brisket) di Muhenaru Ozaki

WagyÅ« “Pardoo” australiano
Noi, ad esempio, ci siamo gustati, quattro tagli di Wagyū (scamone, noce, reale, petto/brisket, tutto di
Ozaki) più un quinto a parte (un WagyÅ« “Pardoo” australiano, tagliato un po’ più spesso) in match con
Miso sarada di lattuga (cuore di lattuga con dressing al miso, alga nori, ravanelli e panko),
Bieta oitashi (bieta marinata in dashi),
Cavolo liscio (con salsa e semi di sesamo e scorza di yuzu), oltre agli accompagnamenti standard dei quali vi dicevamo sopra, più salsa ponzu e salsa gomadare (ossia di sesamo con un goccio di succo di yuzu). Tutto eccellente, davvero; noi preferiamo marezzature non estreme, specie in un percorso degustazione, ma è questione di gusti.

Gamberi rossi di Mazara, verdure, cipolla marinata e yuzu

Gyoza di melanzane affumicate con yuzu, dengaku e sesamo

Tartare di Wagyū in pasta phillo, shoyu tamago e insalata al tosazu

Sashimi di ricciola con tosajoyu e porro
Prima ancora, ci eravamo concessi qualche antipasto:
Gamberi rossi di Mazara, verdure, cipolla marinata e yuzu (classico, normale, buono),
Gyoza di melanzane affumicate con yuzu, dengaku e sesamo (molto buoni, ben croccanti all’esterno),
Tartare di Wagyū in pasta phillo, shoyu tamago e insalata al tosazu (una specie di cannolo ripieno di tartare. Buonissimo, anzi squisito) e
Sashimi di ricciola con tosajoyu e porro (anche qui classico, con ottima materia prima).
Dolci un gradino sotto il resto, ma lo zucchero filato che arriva prima del commiato aiuta a uscire satolli e gioiosi.