«Isernia? No, non ci sono mai stato». Oppure: «Isernia? Uhmmmm… Ma dov’è?». Un gioco che avevo inventato prima della mia partenza per il Molise, in pratica chiedevo ad amici e conoscenti se conoscessero questo capoluogo di provincia - 20mila abitanti quindi non certo una metropoli, perdipiù un po’ sfuggente perché lontano dalle direttrici di traffico Nord-Sud - aveva fornito il seguente risultato: nessuno, tra decine di persone, aveva avuto modo di visitare la città, se non Stefano, il mio carrozziere di fiducia: «Isernia? La conosco. È carina, ci sono stato anni fa a suonare quando facevo anche il batterista in una band».
Isernia è invero più che carina, con la sua Fontana Fraterna, la Cattedrale, il preservato centro storico che racchiude un’identità salda, la gente e le botteghe, lo struscio e il caffè in piazza, una dimensione di tranquillità spontanea che s’accorda con il territorio prospicente, giacché l’abitato “è custode di bellezze naturali ancora intatte e di testimonianze significative di una lunga storia di civiltà” disse l’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi nel conferirle la Medaglia d'oro al valor civile. Proprio sulle bellezze naturali occorre soffermarsi: è infatti, tra i 112 capoluoghi del nostro Paese, quello “più naturale”, ossia quello che è riuscito a mantenere meglio un ambiente ricco di biodiversità.
AUSA
Noi non eravamo però a Isernia per ammirarne monumenti e panorami, ma per ragioni golose, che peraltro ben s’accoppiano – come vedremo – con la succitata biodiversità. L’obiettivo nostro era realizzare un video che raccontasse
Ausa, chef
Anisia Cafiero e
Pasquale De Biase, un ristorantino nuovo nuovo e bellissimo, elegante, una bella sfida di due giovanissimi e persino una doppia sfida, perché loro han deciso di proporvi una cucina vegetariana. Ce l’aveva segnalato un mostro sacro,
Niko Romito, con parole minimal come suo stile («
Gli chef fanno un ristorante al 100% vegetale, con una bella carta dei vini»), mentre lo candidava all’edizione 2024 dei
TheFork Awards by Identità Golose, che avrebbero assegnato ad
Ausa un riconoscimento prestigioso, il
Premio Cucina Sostenibile, promosso da
Eni Plenitude, questa la motivazione: “A chiacchiere siamo un po’ tutti sostenibili, o attenti alla sostenibilità. Però questa va praticata davvero: come fa una giovane coppia di chef, che ha scelto di aprire in una città periferica il suo ristorante di cucina vegetariana. Qui niente viene buttato, e soprattutto non viene gettato via il sapore: si mangia benissimo”.

Dettagli dei tavoli all'Ausa
Quel “si mangia benissimo” è giudizio che ben si può attribuire al sottoscritto. Intanto, passo indietro: il ristorante, aperto il 29 giugno scorso, è davvero un gioiellino di legno, mattoni, maioliche, vetro e metallo, nasce dal recupero di un vecchio fondaco in disuso al limite del centro storico, poi tutto è stato realizzato in proprio, la posatura delle resine sui pavimenti o delle mattonelle nel laboratorio della panificazione, il recupero delle sedie, la realizzazione di ceramiche (con l’aiuto di un artigiano locale), lampade, posaposate… Qui entra in gioco
Enzo Cafiero, papà di
Anisia: già commercialista e revisore di conti oggi in pensione, gourmet e appassionato di vini, ha realizzato di propria mano molti di questi oggetti, a iniziare dai tavoli, fascinosi, in assi di noce recuperata con inserti di ferro battuto. Gli abbiamo fatto i complimenti per questo, prima della cena, ma tanto ce lo saremmo ritrovato poco dopo in sala, come sommelier empatico e preparatissimo, discreto ed elegante, «quali vini seleziono? Quelli che piacciono a me». Ha ottimi gusti.

Anisia Cafiero e Pasquale De Biase
Dato a
Enzo ciò che è di
Enzo, passiamo alla figlia
Anisia e a
Pasquale. Sono proprio bravi. Insieme totalizzano 56 anni d’età – lei è una classe 1997, lui un 1995 –, sono coppia nella vita e nel lavoro, formatisi alla scuola romitiana, entrambi con la cucina nell’imprinting personale, l’isernina
Anisia per via del padre buongustaio come abbiamo già visto, il napoletano
Pasquale perché suo nonno –
Pasquale pure lui – era panificatore e aprì nella capitale del Sud un tarallificio, negli anni Cinquanta.

Orzo, biete, mela verde e mandorle: orzo bio mantecato in crema di bietoline verde, pasta di mandorla, estratto di mela verde, maggiorana fresca. Foto Tanio Liotta

Cappelletti, zucca, ricotta e aglio arrostito: cappelletti di semola rimacinata bio, ripieni di ricotta di bufala campana, estratto di zucca delica, crema all’aglio arrostito, olio al dragoncello, liquirizia. Foto Tanio Liotta

Patata arrosto, nocciola, yogurt, menta e caffè: patata in tre passaggi (al vapore, fritta e alla brace), pasta di nocciola, melassa di caffè e yogurt greco, olio alla menta ed estratto di patata (dagli scarti). Foto Tanio Liotta
In cucina fan tutto da soli, insieme gioendo e bisticciando com’è giusto che sia. L’esito è di assoluta armonia:
Scarola, fagioli e limone è leggiadro, con il tocco citrico che emerge qua e là, per dare discontinuità di sapore;
Orzo, biete, mela verde e mandorle a sua volta eccellente, con la maggiorana ad apportare più profondità e la crema di mandorle una ulteriore variazione gustativa; ancor meglio sono i
Cappelletti, ricotta, zucca e aglio arrostito, la pasta perfetta, l’aglio perfetto, la zucca non dolciastra (quindi perfetta), persino la nuance della liquirizia… perfetta. Una citazione ancora merita il pane, profumato e fragrante (lievito madre, 85% di idratazione, farina tipo 2 macinata a pietra, farina di Solina di Miranda, farina d'orzo); ne è artefice
Pasquale, s'accompagna con un burro locale da slurp con polvere di tè nero e camomilla, mentre
Anisia sovrintende i dolci (sia
Gelato alle foglie di fico, mirtilli e granola che
Pan brioche, gelato alla vaniglia e uva nera sono notevoli), mentre sulla cucina salata si dividono i compiti 50/50.

Cipolla, pane, papacella e basilico: è una fusione tra Campania e Molise. Classica genovese di Napoli, salsa al basilico, pane di recupero tostato in forno con papacella napoletana. Foto Tanio Liotta

Gelato alle foglie di fico, mirtilli e granola: con le foglie si ottiene un estratto per il gelato, con gli scarti un olio verde che va a condire. Foto Tanio Liotta
Noi, di
Ausa, ci siamo proprio innamorati.
LOCANDA MAMMÌ

La brigata di Locanda Mammì
Però: come una rondine non fa primavera, un solo ristorante non fa meta gourmet,
Ausa insomma non basta. Per fortuna Isernia ne vanta almeno due di insegne notevoli, una ve l’abbiamo appena raccontata, l’altra è balzata agli onori delle cronache di recente, “Dopo 20 anni in Molise torna a brillare una stella Michelin” titolavano quotidiani e siti poco più di un mese fa, riprendendo paro paro un lancio d’agenzia dell’
Ansa che a noi risulta però errato: spulciando infatti
Le Stelle Michelin in Italia di
Maretti Editore emerge come la
Vecchia Trattoria da Tonino, a Campobasso, chef la compianta
Maria Lombardi, abbia difeso – evidentemente molto sottotraccia - fino al 2011 il proprio macaron conquistato nel 1995, quindi di anni ne sono trascorsi “solo” 14. Prima ancora, stellati erano stati pure il
San Carlo di Termoli (Campobasso), dal 1991 al 1994, e il
Ribo di Guglionesi (Campobasso) dal 1997 al 2002.
A conti fatti, il Locanda Mammì – di questo locale stiamo ora parlando, come avrete intuito - è in assoluto il primo ristorante della storia a ricevere la stella nella provincia di Isernia, il quarto in regione da sempre, dopo un vuoto di quasi tre lustri.
Per la verità non siamo esattamente a Isernia, ma nel suo territorio, ad Agnone a essere precisi, ossia verso l’Adriatico: in linea d’aria la distanza dal capoluogo è quasi risibile, poco più di 26 chilometri, ma la viabilità è quella che è, il percorso stradale è di 41 chilometri, ci si mette poco più di mezz’ora. Quello di
Locanda Mammì è un successo diremmo annunciato, perché l’insegna è retta da un altro duo formidabile, un’altra
coppia-nella-vita-e-sul-lavoro, quella costituita dalla chef
Stefania Di Pasquo e dal marito
Tomas Torsiello, quest'ultimo già ben conosciuto dai buongustai come
dominus della sala e della cantina quando, col fratello
Cristian in cucina, era stato protagonista dell’ascesa della loro
Osteria Arbustico, allora Valva, nell'Alta Valle del Sele, in provincia di Salerno, oggi nella più abbordabile Capaccio Paestum (
Osteria Arbustico era stato il primo ristorante in assoluto mdi Valva.
Tomas è abbonato ai primati, insomma).

Un signature di Locanda Mammì: Tortelli, mandorla e brodo di aringa affumicata (omaggio a Niko Romito)
Aveva dichiarato
Stefania, alla consegna del riconoscimento: «Sono 12 anni che lavoriamo su questo progetto, è un’emozione grandissima soprattutto riportare in Molise una stella che mancava da tanti, troppi anni. Ora possiamo finalmente dire: ci siamo anche noi. Abbiamo ripreso il casale di famiglia, di mia nonna, e parallelamente in cucina riprendiamo i piatti tradizionali rendendoli più moderni. Punto su tutto quello che ci dà il territorio, vado molto sul chilometro zero e alla ricerca di ciò che si era perso. La mia è una cucina del ricordo».

Un altro classico della Di Pasquo: Agnello, cime di rapa e arachidi
Noi abbiamo incontrato
Stefania e
Tomas pochi giorni dopo la premiazione, erano impegnati in una trasferta milanese, lei ai fornelli e lui in cantina per raccontare la loro regione nel corso di una serata appositamente dedicata alla gastronomia molisana e apparecchiata al
Caruso Nuovo, l’area bistronomica del rinomato
Grand Hotel et de Milan. Palleggiandosi la palla, ai fornelli, col resident chef del
Caruso, ossia il bravo
Francesco Potenza (che buono il suo
Raviolo di stracciata ed erbe amare con pomodori secchi, origano di montagna e tartufo nero del Molise, goloso ma non banale), la
Di Pasquo ci aveva servito una tradizionalissima
Pallotta cacio e ova, nulla da dire, poi una raffinata
Trota, mandorla e vinaigrette di carote, soave, per finire con un suo dessert signature,
Pane, vino a caciocavallo.
Esito: ci era (ci è) tornata la voglia di ripartire per il Molise. Ancora.