Discussione con alcuni colleghi (che tra l’altro stimo), qualche giorno fa. Uno mi fa: «Boh! Io la cucina di Heros De Agostinis non la capisco molto. Mi sembra priva di una propria identità». Lo guardo, dubbioso. Rimane la stima, ovviamente, ma la penso esattamente all’opposto: dal mio punto di vista, la cucina di Heros De Agostinis ha, semmai, un’impostazione così forte, specifica, quasi border line e comunque originale da essere quasi eccessivamente sottile nella sua essenza, fin troppo piena di personalità (“troppo” nel senso: in un posto come l’Anantara, dove Heros lavora, occorre anche piacere a una clientela normale, non solo ai palati più allenati). Il mio timore era quindi, tempo fa: avrà un mercato o finirà col far contenti solo noi del settore? Son tornato recentemente al suo ristorante Ineo, mi son guardato attorno: tavoli strapieni, mi dicono che sia sempre così, che le prenotazioni fiocchino, quindi son contento: sì, per fortuna un mercato ce l’ha. Mi sembra che Heros peschi da un target internazionale e curioso – che esiste anche a Roma - abituato a girare per il mondo e, quindi, a godersi senza preconcetti crossover spericolati tra culture gastronomiche. Clienti che, insomma, non si spaventano di fronte a spezie indiane e a suggestioni africane (queste ultime, probabilmente la nuova frontiera del gusto, almeno per gli appassionati).

Heros riscatta dunque la Roma buongustaia dalla pervicace dittatura delle onnipresenti carbonare, delle amatriciane, delle gricie e delle cacio e pepe, che son buonissime, per carità, ma che – suvvia – a questo punto sono diventate quasi delle parodie identitarie, dei feticci
ad usum touristarum, se ci passate l’espressione impropria.
Heros fa tutt’altro e anzi, se dovessimo muovergli un'osservazione è che a volte possa cadere in una certa ripetitività nell'utilizzo di specifici aromi (come sono quelli speziati, ad esempio), forti, caratterizzanti, quando invece la vera forza sta nel dosarli, alternarli e regalare così a ogni assaggio suggestioni diverse. In questo lo chef sa essere unico.
Per capire cosa sia tale unicità, le note bio per una volta non sono un orpello. Heros De Agostinis è figlio di una mamma è eritrea «e lo era anche mia nonna. Mio padre invece è abruzzese. Il mio nonno materno era italiano e viveva in Eritrea da dove fuggì quando vennero cacciati gli italiani e ripiegò nella Capitale con la famiglia. Era il 1971. Io sono romano, figlio di due migrazioni: quella dall’Eritrea all’Italia e quella dall’Abruzzo a Roma». Un mix che non necessariamente poi va a innervare lo stile di cucina, ma nel caso di Heros sì. «Sono il frutto di almeno tre culture diverse che a tavola si intrecciavano per forza ogni giorno. Abitavamo nel luogo che fin dall’inizio del secolo scorso a Roma era meta di emigranti: l’Esquilino. E il mercato di piazza Vittorio era il centro delle mie uscite con la nonna che qui veniva a comprare i polli e le verdure».
Il dato biografico, quindi, ci fornisce una chiave di lettura importante:
De Agostinis, nelle sue espressioni gastronomiche più personali e dunque nitide, sciorina quelle caratteristiche che possiede già nell’imprinting gustativo, una famigliarità con culture gastronomiche ancora in buona parte inesplorate (ossia: le più inesplorate al mondo), quali risultano essere quelle africane ad esempio. In questi ultimi anni abbiamo ampiamente esplorato il Sud America del gusto, e l’Asia in quasi ogni sua espressione (il Medio Oriente e l’Estremo Oriente in particolare, il Sud Est sempre di più. Prima o poi apprenderemo anche la tavola persiana. Statene certi, ci arriveremo, il ritardo è solo dovuto a fattori geopolitici). Il Nord America, Messico escluso, non ha tantissimo da dire, come pure l’Oceania. L’Africa, invece, sì, almeno a livello di prodotti. Già l’esplorazione è iniziata, pensiamo ad
Alexandre Mazzia (
leggi qui) o a
Jeremy Chan (
leggi qui).
Heros è sul pezzo.
Propone una grande cucina di istinto e pensiero. Alterna giustamente proposte più ardite con altre meno esplosive, quasi tranquille, sa essere efficace anche in quelle perché è un gran professionista con tanto Heinz Beck alle spalle. Ma si caratterizza certo grazie alle prime, ci piace l'Heros eroico che osa dove gli altri non sanno arrivare, pensiamo ai suoi iconici Maccheroncini al ferretto in fondo di Madeira, ragù eritreo e parmigiano reggiano 24 mesi, un capolavoro al palato e sintesi armonica, quasi una case history di come mettere insieme diverse culture gastronomiche, tu chiamala se vuoi contaminazione.

Maccheroncini al ferretto in fondo di Madeira, ragù eritreo e parmigiano reggiano 24 mesi. Foto Alberto Blasetti
Sulla stessa lunghezza d’onda sono assaggi come i
Raviolini berlingot di muhammara e frutti di mare con baharat dello chef, che viaggiano tra Medio Oriente e Nord Africa, o la
Picanha di agnello al curry del Kerala, che crea un ponte molto più lungo, tra India e Brasile. E persino
Un ricordo dell’infanzia, ossia gli amuse bouche, sono splendidamente declinati sulla medesima commistione tra radici culinarie, «l’ispirazione viene da nonna
Angelina che comprava il pollo al mercato dell’Esquilino e poi lo cucinava in varie salse», qui il pollo fa da fil rouge ma ogni assaggio rimanda a mondi differenti, c’è la versione che richiama la Caesar Salad e quindi evoca il Nord America, c’è il romanissimo
Pollo e peperoni, c’è il panipuri indiano, c'è la tostada messicana (con pico de gallo, jalapeño e ananas), ci sono le
Chips di pelle con maionese speziata con le quali torniamo nel Vecchissimo Continente…
La Triglia in crosta di pane è di stupefacente eleganza e completezza. Ottimi anche i dessert. La sala e la cantina accompagnano con grande professionalità tanta esuberanza e struttura gustativa. Insomma, ci si diverte.

Negroni al mare: cocktail Negroni (vermuth rosso, Campari e gin) deacolizzato con succo di arancia, con ostriche, cozze, vongole, capesante, fragoline di bosco, mirtilli, brunoise di ravanelli e cetriolini. È un assaggio di bella personalità, a suo modo rigoroso: De Agostinis accetta di rischiare tra freddo, amaro, alcolico smussato dal dolce

Animella di vitello in limone di Amalfi, carciofi e shiso verde: animella di vitello cotta alla brace nel limone di Amalfi, essenza al limone, zest di limoni, carciofi fritti, carciofi arrostiti, crema di carciofi, vinaigrette di shiso verde. Protagonisti sono il condimento allo shiso e il carciofo, oltre alla citricità del limone

Raviolini berlingot di muhammara e frutti di mare con baharat dello chef, piatto ispirato al Medio Oriente e all’Africa: ravioli di muhammara (pasta di peperoni arrosto, noci, pane arrostito e aromatizzato alle erbe, sciroppo di melograno), il baharat è un mix di spezie (cumino, coriandolo, paprika dolce e peperoncino). Altro piatto ambizioso, di carattere, al limite manca un po' di chiusura

Risotto al peperone giallo, scampi e lime nero. Bella forza speziata, cottura e mantecatura perfette

Triglia in crosta di pane: triglia con pane croccante, harissa, salsa di pomodorini datterini, olio evo piccante. Piatto d'eccezionale armonia, sempre ardita

Picanha di agnello al curry del Kerala: la picanha viene marinata con latte di cocco, curry del Kerala (Sudest indiano) con foglie di limone e lemon grass, poi bietola alla soia e composta di fichi. Ottimo, con un rischio: che vi sia un'inversione, con l'agnello che scompare davanti al condimento

Dopo il pre-dessert (Granita di mentuccia romana: brunoise di pesca sciroppata, granita di mentuccia romana e champagne) ecco Ananas, cocco, kiwi: sfera di cioccolato fondente, burro di cacao, ananas confit, quenelle di gelato di cocco, banana e lime. All’interno, a replicare la Piña Colada, un goccio di rum