09-04-2025

Olimpiadi: tra sostenibilità e aperitivi in quota, Bitto e Casera son già sul podio

Verso Milano-Cortina '26: alla scoperta di due prodotti simbolo della Valtellina, in crescita anche grazie a iniziative come l'aperitivo in quota. I segreti del successo? Benessere animale, sostenibilità e sinergia tra filiere. Le iniziative del Consorzio

Lo Spritz del Passo abbinato a una degustazione di

Lo Spritz del Passo abbinato a una degustazione di Valtellina Casera in purezza da noi provato allo Chalet Heaven a quota 3.000 metri a Bormio: è una delle tante iniziative promosse dal Consorzio di tutela dei formaggi Dop Valtellina Casera e Bitto in vista delle Olimpiadi Milano-Cortina 2026

Sostenersi a vicenda. Territorio e prodotti Dop. Crescere insieme in una valorizzazione reciproca perché un elemento diventa parte integrante dell'altro. Per dirla come un vecchio spot, due è meglio di uno. E allora ecco che siamo andati a conoscere la sinergia tra il Consorzio di tutela dei formaggi Dop Valtellina Casera e Bitto e la Valtellina, che nel 2026 si prepara ad ospitare le prossime Olimpiadi invernali: saranno un evento sportivo mondiale ma anche un momento di conoscenza e crescita del territorio anche dal punto enogastronomico grazie agli oltre 2 milioni di spettatori attesi tra Veneto e Lombardia. Per questo un Consorzio legato a due formaggi Dop simbolo della laboriosità, della sapienza e delle radici di questa terra possono potenziare la magia di 200 km per lo sci nordico e degli oltre 400 km di piste per lo sci alpino. Tante idee, alcune già attive come l'aperitivo in quota in tutti i weekend fino a Pasqua. Sono 12 i locali coinvolti dove si può degustare in purezza uno speciale tagliere a base di Valtellina Casera giovane e stagionato abbinato a uno dei 3 cocktail studiati per l'occasione con ingredienti del territorio: l'Aperitiv del Cascin a base di vermut rosso con l'aggiunta di un liquore di piante aromatiche e un cucchiaio di miele millefiori di Valtellina, lo Spritz del Passo con amaro locale, succo di mela non filtrato, sidro di mela e crema di lamponi e lo Sbagliatissimo con grappa sforzato barricata, bitter rosso e rosso di Valtellina Doc.

Il Bitto si lavora d'estate direttamente in alpeggio e uno dei pochi al mondo che puù raggiungere una stagionatura di 10 anni (e persino oltre)

Il Bitto si lavora d'estate direttamente in alpeggio e uno dei pochi al mondo che puù raggiungere una stagionatura di 10 anni (e persino oltre)

Noi abbiamo testato quello del Cascin a quota 3.012 metri presso lo Chalet Heaven Bormio 3000 e abbiamo goduto di una vista spettacolare sull'intero arco alpino. Naturalmente non ci siamo fermati lì perchè la Polenta con spezzatino di cervo è stata una tentazione irresistibile. Cucina tipicamente del territorio, senza guizzi gourmet ma di sostanza, come è giusto che sia quando si sale a certe quote.

Il Consorzio di tutela Valtellina Casera e Bitto è l'unico in Italia a rappresentare due formaggi che “riempiono” l'anno, alternandosi tra estate e inverno. Il Bitto infatti deriva dalla tradizione celtica (Bitu vuol dire “perenne” e si ri riferisce alla lunga stagionatura) di sfruttare i pascoli naturali estivi (da giugno a fine settembre) e di trasformare il latte vaccino appena munto in formaggi a lunga conservazione con la tradizionale lavorazione nelle calécc' (piccole capanne casearie distribuite direttamente sugli alpeggi tra i 1.400 e i 2.300 metri), mentre l'origine del Valtellina Casera è legata alle prime latterie turnarie della provincia di Sondrio che raccoglievano il latte dalle vacche di razza bruno alpina scese a fondovalle per poi lavorarlo d'inverno, quando per il 75% si concentra la sua produzione. E nel gioco degli opposti mentre il Bitto è uno dei rari formaggi al mondo che può persino oltrepassare i 10 anni di stagionatura ed è l'unico Dop prodotto esclusivamente con latte d'alpeggio, il Valtellina Casera è invece un formaggio di latteria, a pasta semicotta e semidura, per un uso quotidiano nella sua versione giovane (70 giorni) o stagionata (da 6 mesi ad oltre 10 mesi).

Marco Deghi, presidente del Consorzio di tutela dei formaggi Dop Valtellina Casera e Bitto, ha sottolineato con orgoglio come l'anno scorso le vendite abbiano registrato un +5,7% rispetto al 2023

Marco Deghi, presidente del Consorzio di tutela dei formaggi Dop Valtellina Casera e Bitto, ha sottolineato con orgoglio come l'anno scorso le vendite abbiano registrato un +5,7% rispetto al 2023

Tra l'altro continuare a produrre questi formaggi secondo le tradizioni antiche è strumento fondamentale per preservare il sistema alpino e una rete di strade mulattiere e sentieri tra gli alpeggi, dove l'agricoltore valtellinese ha fissato il suo terreno di lavoro e la sua stabilità economica. Continuare a fare le cose per bene e in modo sostenibile ha confermato anche un deciso incremento di vendita sia del Valtellina Casera sia del Bitto, rappresentando un motore per l'economia della valle: nell'ultimo anno con 14,6 milioni di euro di valore alla produzione i due formaggi hanno messo a segno un +5,7% sul 2023, «a conferma – come ha sottolineato Marco Deghi, presidente del Consorzio – di un’affezione progressiva da parte dei consumatori a due formaggi fortemente identitari, sempre più apprezzati per la loro peculiarità, il fascino della loro produzione e le loro storie, tra quota e valle. Quello che abbiamo raggiunto non è un punto di arrivo, ma uno stimolo a crescere ulteriormente. Guardiamo all’annata 2025 con l’obiettivo di portare ancora più valore aggiunto ai nostri prodotti».

Continuare a produrre il Bitto e il Valtellina Casera secondo le tradizioni antiche è anche un modo per preservare "il sistema montagna" e tenerlo come motore dell'economia del territorio

Continuare a produrre il Bitto e il Valtellina Casera secondo le tradizioni antiche è anche un modo per preservare "il sistema montagna" e tenerlo come motore dell'economia del territorio

Il Consorzio opera dal 1995 in provincia di Sondrio e conta circa 160 soci che appartengono alle due filiere produttive, Valtellina Casera e Bitto: ci sono allevatori, produttori e stagionatori, piccole e grandi aziende zootecniche, latterie di paese e moderni caseifici, tutti insieme capaci di fare sistema. E di resistere, perché oggi chi opera nel settore agroalimentare non ha vita facile, complici le normative europee e una burocrazia sempre più esasperante. Ma lo spirito è rimasto quello tenace e combattivo degli avi, come racconta Andrea Pedranzini dell'Azienda agricola Pedranzini di Bormio, ultimo di 8 fratelli. «La nostra è un'azienda di famiglia – spiega –, nata dalla passione per la terra di Maria ed Ernesto che negli anni '70 non si sono fatti attrarre dal boom edilizio che aveva coinvolto Bormio, ma hanno seguito con caparbietà la loro indole puntando alla creazione di un'azienda agricola di montagna, dove tutte le materie prime prodotte, carni e latte, vengono trasformate in salumi e formaggi». Per Andrea e i suoi fratelli è stato naturale avvicinarsi a quel mondo: finita la scuola, la “vacanza” estiva era sull'alpeggio che la famiglia ha ormai da 74 anni. Andrea spiega come «un tempo a Bormio ogni famiglia aveva 2 o 5 vacche per casa e il latte veniva portato alla latteria per fare tutti insieme il formaggio». Oggi molto è cambiato, la tecnologia è diventata un aiuto ma la filosofia è rimasta uguale con l'allevamento di bovini e suini alimentati con prodotti naturali e il fieno dell'alpeggio, garantendo così carni e latte di qualità superiore. Rinomata è la loro bresaola, ma qui lavorano 120-130 quintali di latte dal lunedì al venerdi trasformati poi in formaggi. La parte del leone la fanno il Bitto (per una forma da 10 chili occorrono 100 litri di latte, ma le forme possono arrivare fino a 25 chili di peso) e il Valtellina Casera, ma molto richiesto è anche lo scimudin, formaggio a rapida maturazione, a pasta morbida che in passato le donne erano solite fare in casa tra maggio e gli inizi di giugno quando la latteria era chiusa. «Siccome erano piccolini – spiega Pedranzini – venivano chiamati scimudin, che in dialetto significa piccolo formaggio. Mentre la scimuda è la versione più grande».

La bottega dei Fratelli Ciapponi, aperta nel 1883 a Morbegno, è un museo di profumi e ricordi. Qui è possibile assaggiare il Bitto stagionato a 10 anni, dal sapore estremamente forte

La bottega dei Fratelli Ciapponi, aperta nel 1883 a Morbegno, è un museo di profumi e ricordi. Qui è possibile assaggiare il Bitto stagionato a 10 anni, dal sapore estremamente forte

In Valtellina la prima cosa che avverti parlando nelle aziende agricole è il rispetto assoluto per i propri allevamenti. Solo se le vacche stanno bene, si possono avere carne e latte buoni e salubri. Una conferma arriva da La Fiorida, il primo agriturismo d’Italia con la stella verde Michelin. Nei circa 20 ettari occupati dall'agriturismo si tocca con mano la filiera a metro zero e i buongustai ne sanno qualcosa perché qui c'è la cucina stellata dello chef Gianni Tarabini. Il merito di una struttura “visionaria” è stato della famiglia Vanini, capitanata da Plinio che ha saputo vedere oltre l'asticella in tempi non sospetti. Due ristoranti, 29 camere con tanto di Spa (tra i trattamenti anche il bagno nel latte di mucca), uno spaccio, un caseificio e un macello interno costituiscono una piccola cittadella della sostenibilità. Qui tutti vengono a vedere la nuova stalla, inaugurata nel 2022, frutto di studi laboriosi e viaggi di aggiornamento in Israele, Olanda e Centro America.

L'agriturismo La Fiorida è il primo d'Italia premiato con una stella verde Michelin. Qui è imperdibile una visita alla nuova stalla dove ogni mucca è come se vivesse in piena libertà in un monolocale. C'è anche un caseificio e un macello interno che danno prodotti a metro zero all'annesso ristorante stellato guidato dallo chef Gianni Tarabini

L'agriturismo La Fiorida è il primo d'Italia premiato con una stella verde Michelin. Qui è imperdibile una visita alla nuova stalla dove ogni mucca è come se vivesse in piena libertà in un monolocale. C'è anche un caseificio e un macello interno che danno prodotti a metro zero all'annesso ristorante stellato guidato dallo chef Gianni Tarabini

E' visitabile attraverso un camminamento sopraelevato dal quale è possibile vedere come 240 mucche di razza bruna vivono in uno spazio di 6.500 metri: ognuna di loro ha a disposizione 22 mq, pari a un piccolo monolocale. Ogni particolare è studiato per il loro benessere, così le mucche appoggiano sulla sabbia che inibisce la proliferazione di batteri e quindi il propagarsi di possibili infezioni. La sabbia viene pulita una volta al giorno da un apposito macchinario e smossa un paio di volte così da restare sempre asciutta. La stalla non è chiusa da pareti ed è piena di luce. La cosa straordinaria è che qui le mucche non vengono munte, come da tradizione, due volte al giorno ad orari fissi. «No, qui c'è piena libertà, vanno ai robot di mungitura quando ne sentono il bisogno, fino a un massimo di sei volte al giorno (la media è di tre volte, ndr) – spiega Beatrice Colzani, operatrice nel settore Didattica de La Fiorida -. Tramite un personale microchip è possibile respingerle se oltrepassano le sesta volta, calcolare la quantità di latte prodotta e accorgersi tempestivamente se c'è un'infezione in corso». Anche l'alimentazione è gestita da un robot che corre su un binario e distribuisce il cibo dove non c'è, con 17 passaggi al giorno. E poi c'è la musica classica, Mozart in particolare, a fare da sottofondo perché aiuta gli animali a produrre l'ossitocina, ormone che facilita la produzione di latte. Ma la cosa divertente è che «se le mucche gradiscono Mozart – sottolinea Beatrice - non è così per chi lavora nella stalla che giudicano stressante la filodiffusione continua. E così non è bastato abbassare il volume, si è proprio dovuto ridurre il numero di ore di musica trasmessa». Nel caseificio interno ogni mattina, di buon ora, il casaro Sergio trasforma la produzione di latte giornaliero in formaggi freschi o da avviare a stagionatura, come il Valtellina Casera Dop, il tutto venduto nel proprio spaccio. 

Il Valtellina Casera si prepara quando le mandrie sono ancora a fondo valle, ha una stagionatura giovane a 70 giorni per arrivare fino a 10 mesi. È il formaggio principe dei piatti tradizionali, primi tra tutti i pizzoccheri

Il Valtellina Casera si prepara quando le mandrie sono ancora a fondo valle, ha una stagionatura giovane a 70 giorni per arrivare fino a 10 mesi. È il formaggio principe dei piatti tradizionali, primi tra tutti i pizzoccheri

La Valtellina ha anche una bottega storica per la vendita dei propri prodotti, dove i formaggi sono un museo nel museo. È quella dei Fratelli Ciapponi aperta nel 1883 nel centro di Morbegno, il paese del Bitto: ad oggi è una drogheria ricca di storia, profumi e ricordi. A guidarla ci sono due fratelli, Alberto, che si occupa soprattutto dei vini, e Paolo, il re dei formaggi che qui “abitano” dopo una stagionatura fatta direttamente in alpeggio a 1.100 metri e una volta pronte le forme scendono... in bottega. Una bottega che è pure un labrinto di cantine sotterranee, dove sono esposte forme di Bitto d'epoca, con stagionature fino a 20 anni. Paolo che in bottega fa assaggiare le varie stagionature del Bitto, consiglia quella a 3 anni, ma c'è chi va dai Ciapponi anche per acquistare Bitti di 10 anni, dal sapore estremamente intenso e con il prezzo che dai consueti 30 euro al chilo schizza a 69 euro. 

Da sinistra, Angela, Liliana e Ida Pelacchi, le tre sorelle scarellatrici che preparano i pizzoccheri artigianalmente seguendo la ricetta originale dell'Accademia del Pizzocchero di Teglio

Da sinistra, Angela, Liliana e Ida Pelacchi, le tre sorelle scarellatrici che preparano i pizzoccheri artigianalmente seguendo la ricetta originale dell'Accademia del Pizzocchero di Teglio

La Valtellina tiene molto ai suoi formaggi e da sempre stimola all'aggregazione dell'intera filiera. La Latteria di Chiuro, per esempio, nel 1957 è stata la prima cooperativa lattiero-casearia a produrre e distribuire latte alimentare sul territorio, fondata da un gruppo di piccoli allevatori, decisi a costruire insieme una strada verso il futuro. Oggi i soci conferenti sono cresciuti di numero (dai 18 iniziali ai 30 attuali) ma restano tutti valtellinesi e sono attivamente coinvolti nel funzionamento della Latteria. Sono 11 milioni i litri di latte 100% valtellinese raccolti ogni anno che poi diventano quello che possiamo vedere nello spaccio della cooperativa, situato nella sede storica: Bitto, Valtellina Casera, altri formaggi e un occhio di riguardo allo yogurt che sta assumendo sempre più valore (dal 2005 ad oggi ha sestuplicato il fatturato a parità di produzione animale). Lo stesso vale per la Latteria Sociale Valtellina, nata nel 1969 dall’esperienza delle latterie turnarie: è una cooperativa agricola che si occupa della raccolta e della trasformazione del latte vaccino e caprino proveniente da aziende agricole e nel punto vendita di Delebio si svolge ancora l'antico rito quotidiano di andare a prendere il latte appena munto. Oggi questa cooperativa è la principale produttrice di Valtellina Casera con 159 mila forme all'anno da 8 chili l'una. 

È sufficiente fare tappa in un giorno qualsiasi in una delle varie cooperative per capire come siano il punto di riferimento sopratutto degli abitanti locali che qui si fidano e affidano nella scelta. Una presenza fedele e quotidiana ispirata a quello che poi metteranno in tavola. E se il top per il Bitto è degustarlo in purezza abbinato a un vino rosso importante come lo Sfurzat della Valtellina, il Barolo o il Brunello di Montalcino, per il Valtellina Casera si apre il ricettario della tradizione che, ovviamente, culmina con i pizzoccheri che noi abbiamo provato nella ricetta originale dell'Accademia del Pizzocchero di Teglio nella spettacolare cornice dello chalet Baita del Sole a Prato Valentino, a 1.700 metri, con Ida, Angela e Liliana Pelacchi, tre storiche sorelle scarellatrici (ovvero le donne che fanno i pizzoccheri a mano secondo il sapere antico), a prepararceli dal vivo. I segreti? Tanto burro, uno spicchio d'aglio e, per 4 persone, 250 grammi di Valtellina Casera Dop giovane. Un primo piatto già sul podio... olimpico.


Dall'Italia

Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose

Paola Pellai

di

Paola Pellai

giornalista professionista, nata in un'annata di vino buono. Ha spaziato in ogni settore, dallo sport alla politica perché far volare in alto la curiosità è il sistema migliore per non annoiare e non annoiarsi. Non ha nessuna allergia né preconcetto alimentare, quindi fatele assaggiare di tutto. E se volete renderla felice, leggete il suo libro di fotostorie, Il tempo di uno sguardo

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