"Un surreale giro del Mediterraneo, tra conosciuto e sconosciuto come base di future memorie. Non solo terre che attingono, ma un mare che sprigiona. Fuori dal vincolo delle origini. Pensieri che si nutrono di ciò che è stato, di persone che si incontrano e che immaginano quello che sarà. Manifesto della creolità mediterranea". (La creolità si riferisce a un insieme di fenomeni culturali, linguistici e sociali che emergono da processi di mescolanza e ibridazione tra culture diverse, ndr).
Quello che pare l’incipit di un trattato o, perché no, di un romanzo, in realtà è impresso sulla prima pagina del menu di Sustanza, il ristorante di Marco Ambrosino a Napoli. Molto è già stato scritto su questa frizzante realtà, eppure c’è sempre qualcosa da raccontare, quando si esce da questo angolo della città partenopea. Il punto di partenza può essere proprio quel contrasto tra la Galleria Principe di Napoli, la sede, ferita da impalcature eterne, in attesa di un restauro che sta arrivando lentamente, e i sapori nei piatti di Ambrosino, che sono vivi, lunghi e solari. Si sa, gli opposti si attraggono, quindi tale dicotomia ben si amalgama. Poi c’è un gioco di parole tra sustanza, richiamo alla “stanza di sopra” (infatti il ristorante si trova al primo piano di quella che era una ex tesoreria e vi si accede dal bar ScottoJonno), e “sostanza”, che non manca assolutamente su questa tavola, densa di gusti e pensieri che si intrecciano, talvolta usando i contrasti come filo che li lega.

Chiajozza: crudo di cannocchie, insalata di cavolo cappuccio, olio al pino marittimo, nero di seppia e carapaci cannocchie, gelato ai ricci di mare. Iodio, sale, salmastro, insomma: puramente mare!
Un viaggio nel Mediterraneo che viene infuso in tre percorsi degustazione, che assumono i nomi di altrettante rotte marittime (
Piccolo cabotaggio, Medio raggio, Lungo corso): niente è lasciato al caso. La cucina viaggia “fuori dal vincolo delle origini”, certo, ma è doveroso che parta dalla
Chiajozza, portata omaggio a quello scoglio di Procida tanto caro a chef
Marco, che lo ha visto nascere e muovere i primi passi, anche in acqua, essendo stato giustamente definito dal
New York Times “un tuffo nel mare a bocca aperta”. Da qui, si scrivono e assaggiano pagine edibili, raccontate da una sala che ha il giusto modo di introdurre i concetti.

Pane fatto col grano Tumminia macinato in casa e lievito madre, burro fermentato e affumicato con polvere di cipolla bruciata, origano e olio Incuso
Il grano di Tumminia (antica varietà) per il pane viene macinato in casa e poi impastato dal bravo pastry chef
Federico Andreini: un notevole inizio, abbinato a burro fermentato e affumicato e a origano selvatico con olio
Incuso. Lo stile di
Ambrosino sembra voler fermare il tempo, imprimendo istanti di gusto sul palato, per mezzo anche di antichi metodi che avevano lo stesso scopo: trattenere la freschezza degli elementi il più a lungo possibile. Li conosciamo tutti: sono i fermentati o le conserve, a cui vengono addirittura dedicate due insalate, rispettivamente di cicorie con un brodo di verdure fermentate, rinnovato col metodo Solera (come si fa col vino, aggiungendone di nuovo a una riserva perpetua) o di ortaggi sia di stagione che, appunto, conservati.

Insalata di cicorie, olio alle noci, brodo di verdure fermentate metodo Solera

Insalata di verdure: di stagione crude o cotte, altre fuori stagione in conserva o fermentate, emulsione di tartufo nero, crema di piselli alla brace, noce moscata, polvere di cavolo nero, salsa con acqua di tartufo ed erbe (foto Mary Ianniciello)
Il calore del viaggio nel Mediterraneo arriva anche attraverso gli oggetti posti sulla tavola, come un cucchiaio di legno dedicato alle
Lumachine in crema di mandorle, oppure come un ex voto in metallo battuto a mano su cui poggia parte della piccola pasticceria. Tale sentimento, però, si manifesta pure con la possibilità di mangiare con le mani o di porre al centro, in condivisione, alcune vivande. Il
Fish Offal Feast si rispecchia in questo: quattro preparazioni diverse, che valorizzano il quinto quarto ittico, da assaporare lentamente, immaginandosi in chissà quale angolo del Mare Nostrum. Il tepore, talvolta, vuol dire anche festa, ma non fine a se stessa: chef
Marco vuole riprendere il rito, la sacralità della tavola, in cui ci si sedeva tutti insieme, magari dopo grandi fatiche, per celebrare i frutti del lavoro, degustando cose buone e genuine, come ben fa capire lo
Stracotto di pecora, impreziosito da vari
side, tutti diversi per temperature, forme, origine e consistenze.

Fish Offal Feast: l'idea è di usare il pesce, valorizzandone proprio i cosiddetti scarti (pancia, testa, coda). Coda di alletterato come un prosciutto, gelato di gazpacho di finocchio di mare, salsa al sambuco e rabarbaro; stoccafisso con ceci alla brace in brodo di prosciutto e mais e olio mediterraneo; pance di baccalà, curry mediterraneo e salsa di fegato di alletterato; toast di testa dell’alletterato affumicata e gel di carpione. Imperdibile (foto Mary Ianniciello)

Stracotto di pecora con polenta, more, olio al mirto, polvere limone nero, salsa di rose; Batbout (panino nordafricano) glassato con grasso di pecora, paté di fegato, foglia di vite, gel al marsala; Bocadillo spagnolo farcito con verdure e pomodoro grigliato; Sucuk, salame di origine turca, con radicchio rosso tardivo e angostura. Stesso elemento principale, ma più "vesti": una festa per il palato (foto Mary Ianniciello)
La storia prosegue, affidando alla voce e alla presenza in sala di
Federico Andreini la parte finale, che per il nostro menu si ispira alle ritualità e alle simbologie del ciclo pasquale. Così si scopre che il Carnevale, spesso etichettato come una festa di eccessi e menzogne, in realtà trova in sé la cura della coltivazione del grano. I carri mascherati erano preparati su attrezzi agricoli e il lanciare i coriandoli simboleggiava la semina del grano: da questo, nasce il dessert con pane di Tumminia, inoculato col
penicillium candidum, nespola fresca e fermentata, harissa con limone macerato e sorbetto al lentisco. Veniva poi la Quaresima: non solo periodo di sofferenza spirituale, ma anche agricola. Si doveva andare avanti fino alla primavera, cercando di conservare quello che si aveva già raccolto, con varie tecniche, come già detto in precedenza. Spesso si festeggiava la stagione aprendo quello che era stato messo via con tanta fatica: ecco quindi il
Muhallabiya alle rose (alias, biancomangiare), con i suoi satelliti.

Il Menzognere: pane di Tumminia, inoculato col penicillium candidum, nespola fresca e fermentata, harissa con limone macerato e sorbetto al lentisco

Muhallabiya alle rose (alias, biancomangiare), dattero ossidato, ficoboshi, tapioca in brodo di fori e cera d'api; ricotta di mandorle, sommacco, limone salato, cenere di agrumi; injera al farro monococco e ghiande (foto Mary Ianniciello)
Il bello del finale di
Sustanza è che viaggia in perfetta continuità con quegli stimoli gustativi raccolti nella parte salata, tra onde di acidità, sapidità marine, ma anche aromi di casa, senza eccedere verso un’alluvione di zuccheri. Non è sempre facile descrivere a parole dei piatti che sono veri e propri manifesti di gusto, ma se queste righe non dovessero essere abbastanza chiare, per immergersi nel
Manifesto della creolità mediterranea si può ricorrere anche a delle meravigliose cartoline, lasciate in dono alla fine dell’esperienza. L’autore?
Marco Ambrosino da Procida: cuoco di razza, ma anche fine pensatore e illustratore, scintilla sempre accesa, capace di rischiarare al meglio anche il fascino un po’ decadente della Galleria Principe di Napoli.

Piccola pasticceria, spezie e illustazioni (realizzate da Ambrosino stesso), queste ultime date in dono agli ospiti, per un ricordo più vivo dell'esperienza

Crema di ostrica con cannolicchi, seppia disidratata e trattata come un lardo, fondo di seppia, emulsione di brodo di mare e lavanda, granita al salmoriglio: piatto molto strong, che fa riflettere sulla masticazione (la seppia sembra davvero un lardo tagliato un po' spesso) e sull'equilibrio dei gusti, quest'ultimo volutamente lasciato alla sensibilità di chi degusta, che può giocare come meglio crede alternando gli elementi (foto Mary Ianniciello)

Lumachine in crema di mandorla, verdure alla brace, olio di foglie di olivo e alloro bruciate, Kishk (preparazione libanese con mandorle e grano fermentato). Molto bello l'uso di posate diverse, come questo grande cucchiaio in legno, che trasmette un tepore particolare...

Pesce bianco: dentice frollato 12 giorni, glassato con limoni di Sorrento, passato alla brace. Brunoise di peschiole ed erbe di costiera, crema di arachidi, salsa all'aglio orsino. Bevanda iodata a parte, con infusione di levistico e pul biber (pepe turco) (foto Mary Ianniciello)

Spaghettino cotto in vino ossidativo, olio al ginepro, polvere di scorza di agrumi bruciati, erbe balsamiche: un altro piatto-firma di Ambrosino, lo porta avanti fin dei tempi del 28 Posti a Milano