C’è un luogo tra le colline del Monferrato dove non accadono miracoli, ma accade qualcosa di ancora più raro: il silenzio diventa gusto. Niente effetti speciali, niente proclami, solo un ritmo diverso, più lento, come se la terra stessa avesse deciso di riposare un momento.
Cà del Profeta nasce così, quasi per caso o, meglio, per desiderio. Quello del calciatore brasiliano Anderson Hernanes — soprannominato Il Profeta — che in queste colline voleva soltanto un rifugio, un posto dove portare la famiglia, guardare le stagioni e fare vino. Ma come spesso accade quando si costruisce qualcosa con amore e generosità, il sogno ha trovato gambe proprie e si è fatto accoglienza, bellezza, progetto. Oggi Cà del Profeta è un altrove gentile: cinque camere silenziose, una spa, una piscina e una cantina viva, e un ristorante che non è un accessorio, ma il cuore vero di tutto. È lì che si compie, ogni giorno, una piccola forma di poesia: quella scritta da Antonio Di Leo, cuoco di misura e di sostanza.

Anderson Hernanes e Antonio Di Leo
Lui, classe 1984, torinese d’anagrafe ma con radici pugliesi e siciliane, non è uno chef che entra nel saloon dando un calcio al cancelletto. Potrebbe, intendiamoci: le mani, le idee, la tecnica ci sono tutte, ma sceglie un’altra strada, più difficile, più nobile. Quella della pulizia, della “drittezza” dei piatti che arrivano senza giri di parole. Lo guardi in cucina e ti sembra un artigiano, uno di quelli che conosce il mestiere da sempre, ma non te lo dice. Uno che lavora in sottrazione, come gli scultori: togliendo il superfluo per lasciare solo ciò che conta. Bastano pochi bocconi per sapere che sei nel posto giusto.

Carciofo - Da cuore a cuore: cuore di carciofo cotto in olio di prezzemolo, panure al prezzemolo e salsa di robiola di Roccaverano e aglio orsino
La sua cucina è identitaria senza essere localista, raffinata senza diventare manierista. Prende la materia prima e la porta dove vuole, con gesti netti e pensiero lungo. È una cucina che racconta storie, ma lo fa in silenzio. Una cucina che lavora sulla soglia: tra memoria e invenzione, tra Piemonte e Mediterraneo. Prendete il
Carciofo – Da cuore a cuore: titolo da romanzo epistolare per un piatto che parla di anatomie e fragilità. Il cuore vegetale, cotto in olio di prezzemolo, convive con il cuore animale, marinato in lavanda e sale. In mezzo, una salsa di robiola di Roccaverano e aglio orsino che tiene tutto insieme come un pensiero felice. E poi il gambo, servito a parte, è un altro racconto: acqua e zucchero, cipolla bruciata, polline e bottarga. Sembra un solo ingrediente, ma è una tavolozza di sfumature. Una poesia in minore.
I Plin con coda di bue, salsa al midollo e olio al dragoncello sono una dichiarazione d’intenti: nessun vezzo, nessun effetto, solo profondità. L’inizio di un dialogo con la tradizione che Di Leo non idolatra, ma onora cogliendone lo spirito, più che le regole. E poi ci sono i gesti: lo Gnocco di pane con brodo di Parmigiano 36 mesi, borragine e olio di foglia di fico è un piatto che cambia sotto i denti. Che ti dice che anche la morbidezza può avere grinta, che anche la dolcezza sa sorprendere; in perfetto stile dello chef. Gli Spaghetti al limone, latticello, capperi e peperoncino sono un inno alla semplicità consapevole. Arrivano in bocca come una carezza, ma dentro hanno la forza delle cose ben fatte. Rappresentano bene quella cucina che non cerca l’applauso, ma lo ottiene. Che non strilla, ma resta.

Cipolla: variazione di testure sul bulbo… profumi e sapori

Diaframma cotto alla brace, con fondo al caffè, acciughe e ortaggi
Infine, il diaframma. Sì, finalmente non il solito filetto.
Diaframma cotto alla brace, con fondo al caffè, acciughe e ortaggi; è un piatto che rispetta il prodotto, che sa di mestiere, di memoria, di mani esperte.

Barbabietola & latte di capra, un dessert
Tutto questo accade dentro uno spazio che non è mai solo interno o solo esterno; una soglia. Ma non una soglia come passaggio frettoloso, come punto da oltrepassare, questa soglia è permanenza, è luogo. È modo di stare.
Cà del Profeta si rivela come una grande
engawa, e non è un paragone preso a prestito per fare colpo, ma una autentica chiave di lettura. Nella cultura giapponese, l’
engawa è la fascia che corre lungo il perimetro della casa, uno spazio di transizione in cui si prende fiato prima di entrare. Dove si lascia ciò che si è stati e si accoglie ciò che si sta per essere; è un luogo che non impone, ma dispone, e questa è la sensazione precisa che si prova sedendosi qui, siamo a Montaldo Scarampi (Asti). Non c’è una frattura tra il dentro e il fuori: la vigna entra in sala, il silenzio si mescola alle voci, la luce filtra dalle grandi vetrate come un pensiero leggero. La soglia si fa atmosfera. E diventa quasi spirituale, nel modo in cui ti chiede di metterti in ascolto, di rallentare il battito, di sintonizzarti.
In un mondo che corre, qui il tempo si distende. E in questo tempo dilatato, anche la cucina di
Di Leo trova la sua cassa di risonanza ideale. È come se i suoi piatti non potessero esistere altrove: hanno bisogno di quel respiro, di quella soglia ampia. Il significato dell’
engawa, e di
Cà del Profeta, sta tutto lì: in quel sentirsi al sicuro senza essere isolati. In quella consapevolezza che per tornare a sé stessi, a volte, basta uno spazio dove potersi fermare prima di entrare. O prima di uscire.
Cà del Profeta
Via Montaldino 19 - Montaldo Scarampi (Asti)
Tel: +39 375 6265750
cadelprofeta.com
Menu degustazione a 80 e 105 euro
Aperto solo a cena, dal venerdì alla domenica anche a pranzo
Chiuso lunedì e martedì