Diciamocelo: per decenni, la grappa è stata l'eterna Cenerentola dei distillati. L’ammazzacaffè da battaglia, il bicchierino rustico buono per “correggere” l’espresso al bar. Mentre whisky scozzesi e cognac francesi si ammantavano di un'aura aristocratica, lei restava confinata a un ruolo ancillare, figlia di un dio minore e di vinacce spremute. Un retaggio difficile da scrollarsi di dosso, che ancora oggi rende il suo percorso in salita. Ma se c'è un luogo dove questa narrazione è stata riscritta, goccia dopo goccia, botte dopo botte, è tra le colline di Mombaruzzo, provincia di Asti. Qui, nel cuore del Monferrato che, ci tengono a precisare, non sono le Langhe. «Uno straniero che arriva fa fatica a distinguere - ammette Giulia Berta, terza generazione alla guida dell'azienda - Ci dicono tutti che vengono nelle Langhe, e poi vengono da noi!».
Tutto comincia con un'intuizione quasi sovversiva. È il 1947, l'Italia è un paese da ricostruire e la grappa un prodotto da svendere per fare cassa in fretta. Paolo Berta, il fondatore, invece di cedere alla crisi, fa l'esatto contrario: prende il suo distillato e lo mette a riposare in tini di legno. Un'eresia, per l'epoca. Il risultato è una grappa nuova, ambrata, profumata, morbida, che con la ruvida acquavite di allora non ha più nulla a che fare. Nasce una rivoluzione.

Annacarla, Enrico, Simonetta e Giulia Berta
Oggi, a guidare l'azienda
Distillerie Berta c'è la terza generazione, rappresentata da
Giulia e
Annacarla Berta; loro portano avanti un'eredità che va ben oltre il distillato. Perché il mondo
Berta non è solo una distilleria, è un ecosistema. Fulcro di tutto sono le cantine, un labirinto sotterraneo dove il tempo sembra scorrere a un ritmo diverso. Qui, tra tini di rovere di Slavonia e barrique francesi dove la cromoterapia a led si sposa con la musica classica, si compie la magia dell'invecchiamento. È un luogo denso di profumi, dominato da quello che i francesi chiamano romanticamente "lo spirito degli angeli", ossia la parte di alcol che evapora attraverso il legno, un tributo etereo al cielo. «Ma dove ci sono gli angeli, si sa, i diavoli non stanno mai troppo lontani», scherza
Giulia, raccontando del "taglio del diavolo", la quota d'alcol che il legno assorbe e trattiene, la parte che la botte tiene per sé. Angeli e diavoli, dunque, custodi di un'evoluzione lenta e paziente.
Questa capacità di guardare oltre, di non accontentarsi, è il vero motore della famiglia. «Forse la nostra grande forza è quella di non esserci mai posti grandi limiti sull’incontrare e sul viaggiare, sempre alla ricerca di opportunità per imparare qualcosa di nuovo e creare rapporti stimolanti», spiega Giulia Berta. L'accoglienza non è una strategia di marketing, ma una filosofia di vita. Le porte della distilleria sono aperte a visitatori da 70 Paesi (altrettanti sono quelli nei quali il prodotto è esportato) e la famiglia stessa ha sempre la valigia in mano. Ne è nata una costellazione di luoghi unici: la dimora di charme Villa Prato, con la sua spa sotterranea e i trattamenti a base di vinacce; il Relais Villa Castelletto; il recupero di gioielli del territorio come il Castello di Monteu Roero e il Borgo Roccanivo. Un'ospitalità che si traduce in un gesto semplice ma potente: «Qui non c'è una cosa che tu non puoi assaggiare - sottolinea Giulia - Quando un ospite arriva, noi tiriamo fuori tutto».

La sede di Distillerie Berta
L'apice di questa visione "fuori dagli schemi" è forse il progetto più eccentrico e affascinante:
Ditirambo, la prima grappa al mondo "armonizzata" con la musica. L'incontro con
Peppe Vessicchio, musicista e ricercatore di onde sonore scomparso proprio nei giorni scorsi, ha dato vita a un esperimento che suona quasi come una favola. Casse acustiche appoggiate direttamente alle botti, che per una giornata intera vibrano al suono di una melodia composta ad hoc dal maestro, pensata per esaltare l'armonia del distillato. «Il primo test lo facemmo quasi per gioco a
Vinitaly - racconta
Giulia - Prendemmo due bicchieri della stessa grappa, uno armonizzato e l'altro no. Il risultato fu che erano incredibilmente diversi. Lì capimmo di avere tra le mani qualcosa di speciale». Un progetto che sfida le convenzioni e spinge i confini della percezione sensoriale.

Il maestro Peppe Vessicchio. È venuto a mancare l'8 novembre scorso
Eppure, nonostante tutto, la sfida rimane. Come spiega
Enrico Berta, la seconda generazione, il consumo sta cambiando: «Il vino, per i ventenni, è quasi una bevanda da anziani». In questo scenario, la grappa deve combattere contro i retaggi del passato e un mercato dominato da mode effimere.
Giulia, però, non si tira indietro e aggiunge una riflessione autocritica su tutto il mondo del vino e dei distillati: «Secondo me, c'è da fare anche un mea culpa, perché si è tirato un po' troppo la corda». Un punto di vista che spiega molto del disinteresse giovanile.
Ma i
Berta non si arrendono. Continuano a sperimentare, a lanciare progetti di sostenibilità come
Elisi e Unica per l'acqua in collaborazione con
WAMI - Water with a Mission; a salvare tradizioni artigianali come quella degli amaretti
Moriondo Carlo; e a investire nella formazione con la
Fondazione SoloPerGian, un'iniziativa che aiuta gli artigiani in difficoltà e insegna un mestiere ai giovani.
Visitare le Distillerie Berta non è semplicemente fare una degustazione. È entrare in una storia, in una visione del mondo dove la qualità del prodotto è inscindibile dalla qualità della relazione umana. È capire che dietro ogni bottiglia non c'è solo vinaccia, alambicchi e legno, ma un'incessante curiosità. Come diceva Umberto Eco, e come ama ripetere Giulia: «Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita. Chi legge, avrà vissuto 5000 anni. Lo stesso vale per chi si apre al mondo, viaggiando e accogliendo persone». E a Mombaruzzo, in questo angolo di Monferrato, di vite se ne vivono davvero tante. Una per ogni goccia di grappa.