Trenta e uno. I primi sono gli anni della “nuova vita” del Pelaverga di Verduno nel segno della Doc, in un’epoca propizia per farne apprezzare le peculiarità. "Uno", invece, come la sua unicità, legata a un territorio che forgia nella storia e nella terra questo vino: basta arrivare tra i vigneti, perdersi nel loro silenzio incantato, quasi staccati dal resto del mondo, e afferrare il filo di questa identità che si ritrova tutta nel bicchiere. Il rosso rubino cattura subito lo sguardo e la nota di spezie scaturisce proprio da una magia, pari a quella di questo meraviglioso paese piemontese con quasi 600 anime: quella della molecola del Rotundone, elemento vincente il germogliamento tardivo.

Uno scorcio dei vigneti a Verduno
Il 2025 ha portato un compleanno importante dunque per il
Pelaverga Piccolo (come viene chiamato distinguendolo da quello
Grosso di Saluzzo, per le dimensioni dell’acino), con l’associazione –
Verduno è uno - impegnata a diffondere in modo capillare la sua conoscenza nel nostro Paese ma anche oltre confine. Perché il
Verduno Pelaverga Doc ha molto, moltissimo da dire, grazie alla sua versatilità e non solo. Ecco perché il presidente
Diego Morra ha tracciato la via: «L’intento collettivo è di lavorare congiuntamente per salvaguardare e custodire l’unicità di questo vino e di questo territorio, anche a fronte delle sfide che ci pone il cambiamento climatico, adattando anzitutto al meglio il lavoro in vigna per poter garantire sempre un’uva di alta qualità; valorizzare le specificità del vitigno
Pelaverga Piccolo, della denominazione e del territorio che ne è patria elettiva». Dietro, e dentro, c’è la volontà di raccontarlo, anche attraverso gli abbinamenti gastronomici, un gioco accattivante grazie alla sua adattabilità, appunto.
Tra i momenti di festa, una masterclass al Real Castello, condotta da Sandro Minella e con Ian d’Agata, nominato araldo della Doc. A portare un saluto è intervenuto anche il presidente del Consorzio di tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani, Sergio Germano.
Perché
Pelaverga, prima di tutto? Ci si riallaccia al latino con
pellis virga, richiamando la tecnica che favoriva la maturazione delle uve, ovvero la parziale pelatura dei ramoscelli della vite.
La linea storica di questo vitigno specifico della zona di Verduno è lunga, lunghissima e parte dal beato Sebastiano Valfrè che l’avrebbe portato a casa dal Saluzzese. Se da allora corriamo avanti nel tempo, a quasi un secolo fa, la "lista dei vini" di una trattoria delle Langhe del 1937 ci narra come il Pelaverga fosse quello più economico: «Il prezzo tradisce un uso quotidiano tra i contadini», è la conclusione condivisa da Minella. Che ricostruisce ancora: pochi ettari, una presenza sussurrata negli anni Sessanta e Settanta, finché il Castello di Verduno implementa i vigneti. Si muovono poi altri viticoltori e nasce nel 1985 l’associazione. Da allora è un susseguirsi di passi. Il Comune di Verduno, autorizza la trasformazione di un terreno in vigna sperimentale con l’impianto di trenta cloni; è il momento del panel di degustazione per “catturare” il quadro organolettico e negli anni Novanta ferve la collaborazione con Cnr e Università di Milano e di Torino. La tesi di Paola Oberto ribadisce i confini tra i Pelaverga. È il segnale: c’è tutto il materiale necessario per chiedere la Denominazione di Origine Controllata; nel 1995 viene istituita.
Ecco allora le linee fissate: la produzione è circoscritta al Comune di Verduno e parte dei Comuni di La Morra e Roddi (gioielli non dotati di minor incantesimo della “sentinella delle Langhe”). Si possono individuare tre macrozone, dalle colline più basse a quelle ripide passando per la vena di gesso - fertilizzante naturale – ma c’è anche un effetto föhn. Consentiti, oltre al Pelaverga Piccolo per l’85% (la tendenza è tuttavia a vinificarlo in purezza), anche vitigni rossi del Piemonte fino al 15%. Resa massima dell’uva 9 t/ha, alcol almeno 11 gradi.

Ian D'Agata, esperto internazionale di vitigni autoctoni, riceve il riconoscimento come "Araldo del Pelaverga"
Un segno particolare, e fondamentale, della carta d’identità è la già citata molecola del Rotundone, che qui sembra essere di casa in senso pieno (come evidenziato anche nello studio del 2021 del ricercatore
Maurizio Petrozziello). Le dobbiamo appunto l’aroma speziato nei vini e in questo
Pelaverga ha una concentrazione pari a 40 ng/l. «La soglia di percezione è di 16 ng/l nel vino, 8ng/l nell’acqua», viene spiegato. Va anche detto che il 20-30% dei degustatori non lo rileva affatto. «Il pepe dipende dall’annata, perché è legato allo stress idrico». Ricordando che in quest’area l’acqua non viene tanto dal cielo, quanto dalle radici e ciò deriva dalla sua morfologia, a partire dall’origine marina. Il Rotundone si accumula maggiormente nella fase avanzata e si intreccia anche alla vigoria. Ma a fare la differenza intervengono pure le tecniche di vinificazione.
Piccolo, ma tenace. Con personalità, ma anche adattabilità. Grazie alla sua identità appunto, e il nome dell’associazione Verduno è uno lo mette in chiaro con tutte le sue sfaccettature: «Ribadisce proprio ambedue i concetti chiave che muovono il nostro operato: l’unicità di questa denominazione e il suo radicamento territoriale a Verduno. Ma altresì la coesione, la determinazione e l’unità di gruppo crescente di produttori locali che – da ormai 30 anni - porta avanti a testa alta il valore di questa denominazione».
Nella vendemmia 2024 sono stati rivendicati a Doc Verduno Pelaverga 1.947 ettolitri, dichiarati da 35 viticoltori, 23 vinificatori e 23 imbottigliatori, il che significa una produzione complessiva di 230.425 bottiglie certificate. Parliamo di un’annata che ha avuto come inizio medio della vendemmia il 12 ottobre, calda ma con pochi picchi termici e 82 giorni di pioggia registrati tra gennaio e ottobre. Il suo percorso ha condotto a gradazioni contenute, buona acidità, stato sanitario delle uve buono e rese ridotte.

Foto di gruppo dei produttori di Pelaverga di Verduno
Attraverso la masterclass è stato interessante il viaggio tra le cantine, tra chi sta esplorando nuove vie e guardando avanti pur nel solco della tradizione, a chi si sta ancora magari un po’ cercando. Segnaliamo in particolare il
Verduno Pelaverga Doc dei
Fratelli Alessandria che fa risaltare con forza l’impronta di pepe dettata dal Rotundone, tanto da battezzarlo in etichetta come
Speziale: è vinificato in acciaio o cemento. Ma anche
Gian Luca Colombo che ha deciso di ricorrere alle anfore e offre un Verduno «ironico quanto basta», come ama dire. Esemplare quello di
Diego Morra – ancora vinificazione in acciaio – con la sua ricchezza di spezie e aromi floreali, che ne dipingono con particolare efficacia il carattere.
Le cantine della degustazione