25-10-2025

Il futuro del vino è innanzitutto cultura, parola di Guido Martinetti di Mura Mura

Il rispetto dell'attività agricola e la conoscenza del suolo e dei territori sono tasselli indispensabili per il domani del vino secondo il patron del Relais Le Marne, nel Monferrato, dove vive anche la cantina, co-fondata con il socio amico Federico Grom

L'imprenditore Guido Martinetti. Foto di V.Ber

L'imprenditore Guido Martinetti. Foto di V.Berlanda

Arrivare a Le Marne Relais è come sfogliare un libro di paesaggi del Monferrato che identificano un luogo agreste, pregno di elementi rurali che scaldano il cuore.

Il Relais Le Marne, a Costigliole d'Asti 

Il Relais Le Marne, a Costigliole d'Asti 

L’arte, il rispetto della materia prima, la ricerca dei dettagli di ogni elemento, costituiscono una struttura singolare fatta di elementi che ti permetto di sentirti “a casa”. Guido Martinetti e la moglie Martina hanno saputo concertare tutto questo proprio con un luogo di accoglienza luminoso, poetico e forse fuori dal tempo.

L'universo Mura Mura

L'universo Mura Mura

Vigneti, alberi da frutta e una cantina, Mura Mura che proprio Martinetti condivide con il suo amico e socio di sempre, Federico Grom. All’interno della struttura un luogo di ristoro che oggi è guidato dal giovane Mykyta Bida, trentunenne. Il nome ci attesta non essere italiano; arriva dall’Ucraina ma ha militato in cucine di alto livello, da Cannavacciuolo alla corte dello chef Enrico Crippa come capo partita a Piazza Duomo.

La sala del ristorante Radici in vigna

La sala del ristorante Radici in vigna

Poi arriva l’incontro con Guido Martinetti e nasce un nuovo corso di Radici in vigna con una cucina che guarda al Piemonte con rispetto, creatività e un pizzico di esterofilia ben dosata, per svelare una tavola fatta di piatti dal gusto intenso.

Tajarin 30 tuorli

Tajarin 30 tuorli

Un grande lavoro sui panificati, cottura impeccabile dei classici Tajarin locali, originali gli Agnolotti della tasca con spinacio e rafano e la volontà di lavorare a testa bassa, per portare in questa porzione di Monferrato una cucina di conforto con l’accezione più estesa di questo vocabolo di origine anglofona. In italiano questa espressione è un calco semantico del termine “Comfort food”, pietanze che Mykyta crea per svelare una sicurezza emotiva del cibo non comune, con una quadratura del gusto in evoluzione.

Quaglia in tre servizi

Quaglia in tre servizi

Con il tuo amico socio Federico Grom avete cambiato il modo in cui gli italiani (e non solo) pensano al gelato. Con Mura Mura state cercando di fare lo stesso con la terra. Quando immagini Mura Mura tra 20 anni, lo vedete come un modello replicabile, una provocazione culturale o un’eredità personale?
«Un modello culturale, sia per il prodotto che per la squadra. Il senso del terroir per ciò che riguarda il prodotto, la capacità di valorizzare una collina con il massimo rispetto della vite e dell’acino maturo raccolto in vigna, che poi viene portato in cantina. Un senso del rispetto che mi appartiene. In parallelo esiste il concetto delle persone esattamente come nella gastronomia si è sviluppata nel corso degli ultimi vent’anni, una dicotomia assurda - che va corretta - tra chi lavora in cantina e chi lavora in vigna. Proprio come chi lavora in cucina e chi lavora in sala, il concetto che passa è di avere un ruolo più o meno nobile di queste figure che non hanno differenza in realtà, ma deve esserci interazione e, mi ripeto, rispetto reciproco dei ruoli. Chi lavora in vigna e chi lavora in cantina incarnano ruoli essenziali per la realizzazione di un vino. L’identità culturale che mi piacerebbe lasciare con Mura Mura è il rispetto, dell’attività agricola in primis».

Martinetti assieme al socio amico Federico Grom

Martinetti assieme al socio amico Federico Grom

Come cambierà il modo di bere vino per le nuove generazioni?
«Dal mio punto di vista si abbasseranno i prezzi pensando al mercato dell’Europa. Dipende molto dalla fascia culturale più che economica. Ci sono delle persone che vedono il vino come fonte di alcool e altri che lo percepiscono in maniera edonistica, con curiosità verso i territori. L’Italia ne esce benissimo per tutte le età. A livello mondo, penso all’Asia e al Sud America che approcciano un consumo di vino in maniera più responsabile. Credo che la cultura potrà essere, come sempre accade, l’ingrediente essenziale per costruire un percorso vincente».

 

Il vino sta perdendo appeal tra i giovani rispetto a birra artigianale o cocktail: come può riconquistare il suo spazio?
«Tutti i momenti di “fatica” portano nuovi progetti e stimoli per disegnare un cambiamento. Intanto si devono avere ottimi prodotti al prezzo corretto. Sono più in difficoltà i vitigni internazionali e non credo alla riduzione dell’alcool nei vini, un processo ottenuto grazie a lavorazioni fisico-chimiche che non trovo utili. Serve generare il consumo del vino come patrimonio culturale e non ridurlo al tema alcolico».

 

C’è qualcosa che il mondo del vino dovrebbe imparare dal mondo del gelato?
«Si, il gelato mi ha consentito di vedere l’agricoltura con sfaccettature e aspetti diversi. Il fatto di misurarti culturalmente con differenti espressioni agricole, ti permette di leggere l’annata di un vino in maniera più profonda. Se conosci i suoli, le tue vigne e il tuo obiettivo, devi osservare e intervenire in maniera mirata. Saper leggere la pedologia è essenziale per il mio lavoro. La migliore espressione di una vite è data da quattro elementi: la qualità del terreno, la mineralità – strettamente legata a quanto le radici lavorano, assorbendo minerali che poi vengono trasferiti al frutto e di conseguenza al vino -, l’acidità e la gestione delle nuove foglie con cimature ideali per la vita della pianta e, in ultimo, i profumi: più hai fotosintesi e più hai aromi».

 

Qual è il vino del futuro secondo Guido Martinetti?
«Io ho una passione per il Grignolino perché dal punto di vista viticolo è molto complicato, un prodotto discontinuo, dal momento che anche nello stesso grappolo puoi trovare acini diversi. Ha un profilo aromatico che si fonde tra potenza ed eleganza, incontro tra frutto e spezia che il Grignolino possiede. Questo vino mi affascina e penso possa essere, anzi me lo auguro, un vino del futuro».

 

All’inizio c’era la terra. Poi sono arrivate l’estetica e l’etica. Ora con Le Marne Relais e il ristorante siete entrati nel mondo dell’accoglienza e dell’esperienza. In questo percorso, quale valore guida il progetto?
«Il progetto è guidato dall’estetica della povertà. Cinquant’anni fa questi luoghi erano considerati poveri e qui abbiamo fatto dei restauri conservativi che hanno comportato costi e tempi di realizzo elevati - ben quattro anni e mezzo, mattone per mattone. Qui c’erano due cascine, dei ruderi - del 1878 e del 1815 -: assieme a mia moglie, con grande visione, ne abbiamo ribaltato la fruizione degli spazi. E con la cantina abbiamo scavato a mano la terra per ricavarne un luogo che incarna il nostro ideale di come produrre e conservare il vino. Se conosci le tue radici, puoi affermare dove vuoi andare e cosa vuoi essere, se le trascuri ti manca sempre un pezzo. Se rispondi alla domanda: perché il vino viene fatto con l’uva? Semplicemente perché esiste una relazione acqua su alcool/zucchero molto più elevata di altri frutti. Una soluzione funzionale. Tutto ciò che abbiamo alle nostre spalle ci permette di guardare al futuro in maniera costruttiva».


In cantina

Storie di uomini, donne e bottiglie che fanno grande la galassia del vino, in Italia e nel mondo

Cinzia Benzi

di

Cinzia Benzi

laureata in psicologia, è stata rapita dalla galassia di Identità Golose. Se lo studio del vino è la sua vita, la vocazione di buongustaia è una scoperta in evoluzione

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