Leila Salimbeni, per noi di Bollicine del mondo, è comunicatrice 2025, premiata con questa menzione: «Toscana d’origine e di adozione bolognese, una laurea in Linguistica alla Sapienza di Roma e una in Semiotica a Bologna, viaggia e degusta vini e bollicine in giro per il mondo narrando con acume e talento. Direttore editoriale di Spirito diVino. Con i suoi viaggi e le degustazioni narra il mondo enoico e non solo».
Parlare con Leila Salimbeni significa attraversare i confini tra parola e sapore, tra analisi e istinto. Salimbeni con la sua scrittura è affilata, ironica, densa di riferimenti: in questa conversazione ci offre il suo sguardo sul vino, l’importanza della formazione, e sull’Intelligenza Artificiale.
Quando e come si è avvicinata al mondo del vino?
«Il vino ha sempre abitato la mia esistenza, anche in tenera età. Quello che non sapevo era che, tramite esso, avrei potuto assecondare una passione che non credevo potesse mantenermi all’altezza delle mie aspettative. Questo vino, che oggi mi ha letteralmente travolta, me lo ha consentito, instradandomi verso un percorso molto lineare, direi fin felice, posto che per i primi dieci anni sono stata sempre, e pacificamente, nell’ombra. Tutto è cominciato subito dopo la laurea quando, dopo un incontro abbastanza rocambolesco con
Andrea Grignaffini, nel 2009 ho cominciato a curare le rubriche
Perlage e Rossi & Co di
Spirito diVino, magazine di cui lui era allora direttore. All’epoca, il mio rapporto col vino era di puro edonismo, ma le conoscenze che avevo in materia le avevo mutuate da una frequentazione che, soprattutto sui blasoni, mi aveva molto ben formata. Tornando ad
Andrea, il suo approccio con me fu di tipo maieutico: io scrivevo per lui prima ancora che per il magazine, e scrivevo di tutto – principalmente di vino, ovviamente, ma non solo. Mi affidava ogni tipo di argomento, talvolta anche semplici dissertazioni attorno alle tematiche più attuali di quel momento storico. Così, dopo dieci anni trascorsi a scrivere con questa libertà e, al contempo, per questa illustre committenza, ho imparato a scrivere per me stessa, isolando il mio stile e, con esso, la mia persona».
Il suo percorso formativo ed esperienziale è stato utile alla sua attuale occupazione?
«Il mio percorso precedente è stato più che utile, direi addirittura essenziale alla mia occupazione odierna, tanto che per molti anni – forse anche peccando di superbia – ho pensato di poter vivere della rendita acquisita all’università, soprattutto grazie alla filosofia del linguaggio e alla semiotica, che per lunghi anni m’hanno dato l’illusione di poter scrivere sempre qualcosa di interessante, su qualunque argomento. A poco a poco, però, il vino mi ha addomesticata: ho scoperto che dovevo tornare a studiare e, soprattutto, che anche coi miei scarsi mezzi di ventitreenne dovevo trovare il modo di degustare tutto il possibile – se non tutto lo scibile. Oggi il vino ha preso molto dello spazio disponibile nella mia esistenza, occupando anche la vita privata, e mentirei se dicessi che, dopo tanti anni, la mia passione per lui sia scemata. Anzi, è montata anche una gratitudine che infonde di senso ogni giorno della mia esistenza».

Un altro momento della premiazione a Milano
Esiste un suo modello di ispirazione?
«Se per ispirazione s’intende quel moto che è alla base di ogni processo creativo – che nel mio caso coincide da sempre con l’esercizio della scrittura – ebbene, l’ispirazione in questione me la fornisce ancora una volta il vino: la quantità di storie in esso contenute, la multidisciplinarietà che esige, la sensibilità che richiede ogni degustazione e, non ultima – e mi sento di enfatizzare questo punto – perfino quella punta di ebrezza che investe chi lo assaggia anche senza deglutirlo, quella leggerissima alterazione dei sensi che è prerogativa di molte delle sostanze che usiamo per rendere più accettabile la vita. Ebbene, anche quella – se non proprio quella – è alla base del mio processo di ispirazione. Ed è curioso quanto il vino insegni al bevitore a replicarla, quell’ebrezza, anche da sobri, ogni qualvolta si viene irretiti da un’esperienza di natura estetica».

«Il vino ha sempre abitato la mia esistenza. Quello che non sapevo era che, tramite esso, avrei potuto assecondare una passione che non credevo potesse mantenermi all’altezza delle mie aspettative
Il mondo delle bollicine d’Italia è adeguatamente riconosciuto nel nostro settore a livello internazionale oppure resta molto nazionalista?
«Credo che il mondo delle bollicine italiane sia felicemente rappresentato all’estero, anche grazie a quel fenomeno trascinante che è stato il mondo del
Prosecco a tutte le latitudini. Senza la sua forza di traino, sarebbe stato più difficile penetrare i mercati per le bollicine italiane, che senza dubbio godono di miglior salute, oggi, di molti dei nostri grandi rossi nazionali. Allo stesso tempo, però, se parliamo di
Metodo Classico, molti dei nostri territori potrebbero godere di maggior attenzione, a patto che siano in grado di trovare una strada espressiva autonoma e ben riconoscibile rispetto al grande, imbattuto competitor costituito dallo
Champagne».

La motivazione del premio: «Con i suoi viaggi e le degustazioni narra il mondo enoico e non solo»
Come pensa, sul piano della comunicazione e formazione, al supporto dell’AI? Ha fatto o sta facendo progetti “vino” con il supporto dell’AI?
«L’AI, allo stato attuale delle cose, è per me un prezioso alleato. Finora le ho delegato la preparazione di analisi di vario genere, anche di mercato, l’elaborazione di business plan e di progetti editoriali. Molte volte la interrogo su questioni epistemologiche (l’ultima volta in occasione di un consesso sulla critica cui ero invitata: le ho chiesto cosa fosse la critica per un’AI, appunto, con esiti molto edificanti per articolare il mio pensiero su essa) o esistenziali (giacché mi divertono le sue risposte), ma non le ho mai permesso di scrivere al posto mio – anche se, come tutti, ho ceduto alla tentazione di chiederle di scrivere qualcosa come se fossi stata io a farlo. Ebbene, i suoi testi sono stati sorprendentemente illuminanti: è stato come guardarsi riflessi nella stanza degli specchi al Luna Park e, per questo – per ciò che mi ha permesso di vedere della sottoscritta – le sono particolarmente grata».