Nel cuore di uno studio fotografico milanese, mentre Oliviero Toscani gli diceva di togliersi la camicia, Paolo Parisi teneva in mano un uovo. Già contadino-allevatore, Parisi non era ancora “quello delle uova”. Ma quel momento immortalato dal fotografo che più di ogni altro ha incarnato la trasgressione, divenne un tassello fondamentale per raccontare la visione che stava già incubando: restituire dignità a un alimento dato per scontato ed elevarlo da alimento popolare a soglia gastronomica.
L'allevamento come scelta culturale
Dietro la visione di Parisi c’era un concetto preciso di allevamento, un’intuizione culturale prima ancora che agricola. Per lui le galline non erano animali da sfruttare, e l’uovo sarebbe stato migliore solo dando loro il meglio per vivere e non per essere “macchine da uova”. Per questo le sue galline bevono latte, razzolano a terra, vivono in paddock ampi e, soprattutto, seguono il ritmo naturale della luce. «L’uovo non è una cosa che si standardizza: è il riflesso della vita della gallina», spiega ancora adesso Parisi presentando la nuova immagine delle uova che sono entrate dalla porta principale nelle cucine di chi ha compreso che un uovo non vale l’altro.
Un packaging che racconta una storia
Oggi sul packaging delle Uova Parisi c’è Paolo Parisi con una gallina sulla testa. È una provocazione e un gioco firmata Studio Cucù, che però mantiene l’eredità di Toscani rilanciando la domanda: «È nato prima l’uovo o Paolo Parisi?». Di sicuro l’uovo assoluto, quello di Parisi per intenderci, è l’uovo che reagisce all’umore della gallina, all’umidità dell’aria, alla stagione del pascolo. È l’uovo che cambia colore perché non è stato addizionato con beta-carotene. È l’uovo che sa di latte perché la gallina cerca le proteine come farebbe in natura. «Cerco di rispettare quello che la natura mi offre», dice ancora Parisi entrato con le sue uova nelle cucine d’autore prima ancora di farsi conoscere nel marketing.

Tre generazioni della famiglia Parisi
Con Filippo e Chiara nel segno della continuità
Alla base di tutto c’è la realtà agricola di Usigliano di Lari (Pisa) che Paolo Parisi ha creato con sua moglie, oggi portata avanti dal figlio Filippo e da sua moglie Chiara: Le Macchie. Come papà Paolo, Filippo non accetta compromessi. La sua è la continuità generazionale della visione di un luogo che non nasce per essere azienda, ma fattoria. Non perché suoni più romantico, ma perché lo è davvero. I bovini vivono al pascolo su 80 ettari senza stabulazione, alimentati secondo un modello rigenerativo che permette al terreno di fissare carbonio. I maiali non ci sono più, «perché sono degenerativi», dice Filippo Parisi con franchezza, e c’è la volontà costante di fare ogni scelta secondo un equilibrio tra produzione, tempo e benessere animale. «Col tempo impari che fare meno, ma meglio, è l’unico modo per restare coerente», sottolinea infatti Filippo.
Una scelta di vita, non di mercato
Per la seconda generazione di Parisi, l’obiettivo non è industrializzare la qualità. «Non siamo sul mercato per crescere, ma per vivere», dice chiaramente Filippo. Le uova, che siano 600 o 800 a settimana, vengono distribuite senza rete commerciale, portate direttamente ai clienti come Roscioli - Salumeria con cucina, a Roma. Se ne avanzano vengono trasformate in pasta. Se mancano, semplicemente non si possono avere. La logistica è interna, curata da Chiara, perché anche l’uovo migliore perde senso se arriva in ritardo o mal conservato. «La qualità senza organizzazione non serve a niente».

Il nuovo packaging delle Uova Parisi
Sostenibilità radicale
La visione della famiglia Parisi rifiuta gli standard: a partire dal colore non può esserci controllo su ogni variabile (salvo, ovviamente, quelli sanitari). «Noi ci vantiamo di non avere uno standard», spiega Filippo. E in effetti ogni uovo fa storia a sé: a volte più pallido, a volte più rosso, sempre diverso. E se oggi sostenibilità è diventata una parola d’ordine anche nelle cucine d’alta gamma, quella di Paolo e Filippo Parisi resta una sostenibilità radicale, che parte dal rifiuto di alcune logiche anche rassicuranti: come quella del biologico, «solo una certificazione che non garantisce nulla». Anzi potrebbe essere un problema per chi, come Filippo, preferisce sapere da dove arriva il mangime per essere sicuro che sia Ogm Free. «Più che di etichette - conclude Filippo - serve una coscienza». Anche quando si parla di uova.