“Le sue parole sono misurate; indugia poco sullo straordinario cammino fatto; il tempo preferito è il futuro. Gli unici superlativi sono per i tanti prodotti di eccellenza del suo Abruzzo (…) Tutto ciò che lo riguarda e lo circonda è proiettato nel futuro: la materia prima è studio e ricerca per la cucina che verrà; la scuola di formazione è funzionale al futuro economico dell’Abruzzo; il vigneto sperimentale di Pecorino, il più alto d’Abruzzo con i suoi 890 metri di altitudine, traccia una strada alle nuove frontiere dei vini abruzzesi; l’orto come pensatoio e metafora culturale.
Casadonna, insomma, non solo come laboratorio e atelier di cucina, ma anche prototipo e fucina d’idee per l’Abruzzo”. Così scrive
Luciano Bertello, presidente dell’
Enoteca Regionale del Roero, lucida testa pensante e infaticabile braccio organizzativo («Uno come lui non l’abbiamo neanche in Langa!»,
Angelo Gaja) de “Roero: orti e frutteti. Un paesaggio di casa”. Ossia il premio, giunto all’ottava edizione, che incorona lo chef capace di valorizzare il suo territorio e che quest’anno ha preso la strada di Castel di Sangro, poiché ha celebrato
Niko Romito “per aver cercato e raggiunto l’essenza dei sapori e dei valori della civiltà della tavola d’Abruzzo, componendoli in un quadro di armonia e nobilitandoli attraverso un moderno gusto del design e del colore”, recita la motivazione. Succede a un certo
René Redzepi.

Luciano Bertello premia Romito per il suo ruolo nella valorizzazione del "territorio della tavola", in questo caso l'Abruzzo (foto Bruno Murialdo).
A Canale, sede dell’Enoteca in tanti hanno reso onore allo chef: sul palco il premiato,
Bertello,
Enzo Vizzari e il critico letterario
Giovanni Tesio, autore con il presidente dell’Enoteca dei testi di un libretto - le foto sono di
Bruno Murialdo - che celebra questo fascinoso laureato in Economia convertito ai fornelli. Uno che, quando la morte prematura del padre lasciò in eredità il ristorante di famiglia a lui e alle sue sorelle
Cristiana (
alter ego: «Mentre io sono in giro a ritirare riconoscimenti lei è là a lavorare»),
Sabrina e
Debora, tornò a Rivisondoli deciso a vendere tutto…
E’ solo uno degli aneddoti che Niko racconta con gusto. Quella volta che, deciso infine a fare il cuoco, s’iscrive a una delle poche scuole dell’epoca, la romana di
Antonino Sciullo, per scoprire che è amico di famiglia, originario della vicina Roccaraso. Quella volta che va a lavorare a Montemerano,
Da Caino di
Valeria Piccini (a proposito: entrambi laureati, cuochi per caso, portabandiera del loro territorio, con l’indirizzo principale nella campagna profonda, alle prese con un’apertura in città, come abbiamo raccontato
qui e
qui) e quando torna cambia il volto al ristorante, perdendo i clienti («Ordinavano l’agnello alla brace. Non lo facevamo più. Il mio primo menu degustazione è del 2005: 35 euro e non lo voleva nessuno»). Ci sono le difficoltà («Ho dovuto anche chiedere soldi a mia madre per pagare i fornitori») ma la tenacia («Ero convinto ed entusiasta»). Ci sono i primi successi e le tentazioni («Mi contattarono per andare a guidare la cucina del
Bulgari di Tokyo, brigata e stipendio stellare. Rifiutai. Pensarono fossi pazzo». Al Bulgari hanno cercato una buona alternativa, come abbiamo raccontato
qui). C’è il passaggio da Rivisondoli a Castel di Sangro, per un progetto ambizioso, visionario, considerato addirittura presuntuoso. Ha avuto ragione lui.

I vigneti di Niko, in Abruzzo.
Vizzari dice che
Niko «non ha mai messo in tavola un’abruzzesità da cartolina». Lui conferma: «Non faccio cucina regionale ma italiana contemporanea, dal punto di vista del mio territorio, della mia cultura, dei miei prodotti». Che sono il carciofo, la cipolla, la lingua, tanto per citare alcuni suoi feticci ormai storici che esalta con uno stile personale «lavorando su due fronti: chi ha poca esperienza riconosce il gusto primordiale, chi ce l’ha riesce a cogliervi la tecnica» profonda ma facilmente replicabile: «Un mio piatto richiede mesi di studio ma poi ha una grammatica semplice».
Maurizio Bertera cita
l’intervento di
Romito all’ultimo
Identità Milano,
Tesio lo definisce «un “emigrante locale”: resta sulla sua terra ma all’apice di un percorso che gli permette di andare oltre». Ed elenca le “parole di
Niko”:
leggerezza, essenzialità, semplicità, trasparenza, originalità. Intanto in cucina
Massimo Dellaferrera,
Massimo Corso,
Ugo Alciati,
Maurilio Garola e il padrone di casa
Davide Palluda (buonissime le
Tagliatelle con sugo di beccaccia di quest’ultimo e il
Cilindro croccante di mousse di marron glacé, gelato di castagne, cachi e noci, di
Garola) preparano un pranzo in suo onore: cinque chef quanti sono gli altri abruzzesi stellati nel 2015; quando
Romito prese la prima stella, nel 2007, era l'unico, come notava argutamente
Alessandra Meldolesi raccontando il recente
Meet in Cucina. «Si sente un po’ il padre di questo fenomeno? Il punto di riferimento?», chiediamo. Si schernisce: «No, sono tutte insegne che c’erano già prima… Diciamo che ho acceso la luce: i critici hanno iniziato a venire in Abruzzo da me e allora si sono accorti anche delle altre eccellenze». Una sorta di
riflettore elettroNIKO.