19-06-2021

La storia sulla tavola: vi raccontiamo i 18 piatti di 14 leggende scelti da Bottura per il suo nuovo menu, lui compreso

Il Risotto alla Bergese, il Savarin di Riso di Cantarelli, il Riso, Oro e Zafferano di Marchesi, e poi Santini, Corelli, Assenza, Tassa... La nostra storia golosa, proposta ora alla Francescana

I piatti del nuovo menu dell'Osteria Francesca

I piatti del nuovo menu dell'Osteria Francescana, che celebra la grande cucina italiana degli ultimi decenni. Massimo Bottura lo presenta così: «È un omaggio ai più grandi cuochi d'Italia dagli anni '50 ai giorni nostri. Artigiani ma soprattutto amici che ci hanno ispirato e continueranno ad ispirarci con creazioni senza tempo»

Il titolo del nuovo menù di Massimo Bottura all’Osteria Francescana non è cambiato. Si chiama sempre With a little help from my friends, ma i Beatles, e i piatti ispirati dalle loro musiche e parole, hanno lasciato spazio a tutt’altro. Dai quattro di Liverpool si è passati, in via Stella 22 a Modena, ai 13 + 1, per un totale di 14, numeri che vanno spiegati. Bottura ha infatti confezionato un menù che è un omaggio alla cucina italiana d’autore, a quei suoi colleghi che secondo lui hanno illuminato più di tutti gli altri la scena negli ultimi sessant’anni. E le sorprese non mancano in questo costruire una Nuova Tradizione Italiana.

Gli omaggi non sono mai mancati e mai mancheranno. Hanno soprattutto valore tra due colleghi di pari fama, come segno di stima, oppure quando è un simbolo che rende onore a un giovane, a chi non è ancora arrivato all’apice della carriera ma la sua cifra è già chiara, almeno a chi sa leggere le cose senza pregiudizi. Sovente sono sviolinate di chi, piccino di suo, cerca pubblicità e a me interessano ben poco.

Il modenese non è nemmeno nuovo in materia. Nel novembre del 2017 uno apriva la carta della Francescana e, alla voce antipasti, leggeva Omaggio a Ciro Oliva, il Ciro Oliva di Napoli, un gnocco fritto alla salsa di pomodoro, con crema di scamorza, acciughe, pomodoro e basilico. Ecco, se pensiamo a questo precedente, ma anche senza tale riferimento, nel pantheon di Bottura manca un pizzaiolo e, di conseguenza, una pizza.

Il nuovo menu dell'Osteria Francescana di Modena

Il nuovo menu dell'Osteria Francescana di Modena

Non vedo l’ora arrivi il 23 giugno per gustare il menù e chiedere a Massimo i perché delle scelte. Ci sono molte vie per arrivare a comporre un elenco, motivare delle scelte. Diciotto piatti smontati e rimontati, che dalle foto circolate in questi giorni si capisce che sono proposti mediati dall’universo Bottura, ripensati come se visti da tot chilometri lontani dalla superficie terrestre. Non saprei nemmeno dire quanto sia immediato ricondurli all’originale senza avere il menù davanti a sé.

Diciotto ricette ma non altrettanti cuochi e altrettante cuoche. Siamo davanti a tredici chef, quattordici con lo stesso modenese che si è tenuto l’ultimo atto con il Camouflage, la cui primissima versione risale al 2012. Primissimo passo con Ciccio Sultano che, giusto ricordarlo, con Massimo nel 2006 firmò il libro il PRO. Attraverso tradizione & innovazione. Seguono Giancarlo Perbellini, Fabio Picchi, Salvatore Tassa, Gualtiero Marchesi, Fulvio Pierangelini, Nino Bergese, Mirella Cantarelli, alle quale si devono le due creazioni più lontane nel tempo, il Savarin di riso e la Farona alla creta, entrambe del 1963, Igles Corelli, Gianfranco Vissani, la Famiglia Santini e non la sola Nadia Santini, perché i Tortelli di zucca in quella casa appartengono a ogni generazione, Corrado Assenza e, infine, Gennaro Esposito. Doppia scelta per quattro di loro: Marchesi, Bergese, Cantarelli e Corelli. E il padrone di casa, posso assicurarlo letti i nomi, non si è fatto influenzare da personali simpatie e antipatie. Ha guardato diritto ai piatti.

Paolo Marchi
Schede di Annalisa Cavaleri, Marialuisa Iannuzzi, Carlo Passera, Niccolò Vecchia e Gabriele Zanatta.

 

Volevo Essere Fritto nell'illustrazione di Fabrizio Foti

Volevo Essere Fritto nell'illustrazione di Fabrizio Foti

Volevo Essere Fritto di Ciccio Sultano – 2010
«Volevo essere fritto lo dice il gambero crudo – spiega lo chef Ciccio Sultano – perché, essendo posato sulla cialda fritta del cannolo, una volta gustato pare fritto anche lui. In questa ricetta, la logica degli strati esalta il contrasto e prepara l’effetto finale che è di una dolcezza che definirei conturbante. Va gustato come si fa con il cannolo tradizionale, lasciando sciogliere in bocca prima il caviale, che sta al posto della ciliegina. Dopodiché si mangia in un boccone». Nella ricetta, le code dei gamberi vengono condite con olio e limone, e poi messe in frigorifero. Le teste vengono schiacciate per estrarne i coralli, a loro volta frullati con succo di limone e peperoncino. I cannoli si riempiono con la ricotta, le erbe aromatiche e qualche goccia di salsa di coralli. Si completa il piatto con le code di gamberi e caviale.

 

Il Wafer si Veste D’oro

Il Wafer si Veste D’oro

Il Wafer si Veste D’oro di Giancarlo Perbellini - 2003
«Il Wafer nasce nel 2003 come un biscotto croccante al sesamo montato in vari strati, proprio come un wafer, in cui si alternano formaggio caprino e tartare di branzino – spiega lo chef Giancarlo Perbellini - Ma sentivo che mancava qualcosa, mancava la scintilla. Dopo molte prove, ho avuto un’illuminazione: la liquirizia. Non avendola a disposizione, corsi alla pasticceria limitrofa al ristorante e presi una caramella Sperlari, lo ricordo come se fosse ieri. Quel cuore di liquirizia, messo sul cucchiaio, si sposava perfettamente col Wafer… Ecco la scintilla! In questo piatto, al primo boccone si sente la liquirizia, poi il sesamo, a seguire l’acidità del caprino e infine la delicatezza della tartare di branzino, per terminare nuovamente con una sensazione di liquirizia. Cinque sapori ben distinti che tornano in un eterno rimando circolare».

 

Minestra di Pane

Minestra di Pane

Minestra di Pane di Fabio Picchi - 1979
«Per anni non ho mai fatto la Minestra di pane perché avevo un ricordo di quella che, secondo me, era la migliore in assoluto, cioè quella di Luigi, cuoco della trattoria Antico Fattore – spiega lo chef Fabio Picchi - Poi un giorno Luigi mi venne a trovare, si sentiva “senza eredi” e così mi raccontò storia e segreti di quel piatto. Mi accorsi che con il pane che producevamo noi al ristorante, quel piatto veniva ancora più buono di quello che era impresso nella mia memoria. Ecco perché mi decisi a metterlo in carta. Il segreto della Minestra di pane sta proprio nel pane toscano che prepariamo artigianalmente con grani dell’entroterra da campi non azotati, che ha sfumature diverse a seconda delle stagioni, vanno dall’albicocca alla pesca, dal miele al propoli. La spiga attrae i raggi solari e assorbe la salinità dell’aria marina». Si prepara un soffritto in olio evo dei colli fiorentini. «Quando diventa color rame si aggiunge una manciata di aglio tritato, una punta di peperoncino, due cotiche di un prosciutto del Casentino, un mazzetto di pepolino, cioè il timo, e tre pomodori pelati, possibilmente di Donoratico, dolcissimi. Si aggiungono poi le verdure: carote, sedano, porri, cavolo verza, patate e cavolo nero, che deve aver subito il freddo novembrino. Si fa sobbollire per circa 3 ore e, quando la verdura diventa morbida, si possono aggiungere i fagioli passati con la loro acqua di cottura, lasciandone qualcuno intero. Solo a questo punto si aggiunge il pane toscano raffermo di due o tre giorni».

 

La Cipolla Fondente

La Cipolla Fondente

La Cipolla Fondente di Salvatore Tassa - 1990
«È un piatto che nacque nel bel mezzo della cultura edonista che caratterizzava la cucina italiana - racconta di questa sua creazione Salvatore Tassa, chef delle Colline Ciociare - La mia idea partì dalla semplicità e dai ricordi casalinghi, dalle memorie delle cipolle alla brace che preparavano i miei nonni: da quel pensiero sono arrivato a perfezionare la mia Cipolla fondente. Mi ricordo che la prima volta in cui la misi su un piatto il cameriere non voleva portarla al tavolo, gli sembrava brutta da vedere: lo obbligai a farlo e quando tornò mi disse che i clienti erano entusiasti. In quel momento capii che quel piatto poteva avere un futuro, anche se non mi immaginavo che avesse una storia lunga trent’anni! Lo spunto arrivò da un ricordo d’infanzia, per poi proseguire con il mio desiderio di proporre piatti semplici, puliti, all’epoca in totale controtendenza: ci volle un po’ di coraggio per farlo».

 

Insalata di Spaghetti al Caviale

Insalata di Spaghetti al Caviale

Insalata di Spaghetti al Caviale di Gualtiero Marchesi - 1985
Insieme a Riso, oro e zafferano, altrettanto presente nel menu proposto da Bottura, è il piatto più conosciuto e celebrato del maestro della cucina italiana Gualtiero Marchesi (1930-2017). Un piatto sicuramente coraggioso e visionario, che portava la pasta secca nell’alta cucina, dove veniva considerata un prodotto di second’ordine, inoltre servendola fredda, accompagnata da pochissimi ingredienti: scalogno, erba cipollina, caviale. Forse anche per questo Marchesi, a distanza di molti anni, lo considerava la sua invenzione più riuscita. Per celebrare il suo ottantacinquesimo compleanno, sulle pagine di Identità Golose diceva così a Carlo Passera: «Ritengo che l'Insalata di spaghetti al caviale sia il mio capolavoro massimo. Lì l’elemento forte non è il caviale, sono gli spaghetti! Pensi che io stesso l’ho capito col tempo».

 

Capesante con mortadella, mele e finocchi (prima versione, 2005). Foto di Bob Noto

Capesante con mortadella, mele e finocchi (prima versione, 2005). Foto di Bob Noto

Le Capesante Ripiene di Mortadella di Fulvio Pierangelini - 2005
Siamo di fronte a uno di quei piatti in cui lo chef Fulvio Pierangelini esprime la libertà di accostare ingredienti solo apparentemente discordanti che, in questo caso, avvicinano il mare di San Vincenzo a un’asserzione, neanche così limitata, della carne. Un piatto che al suo celebre Gambero Rosso di San Vincenzo, in provincia di Livorno, variava di anno in anno, pur restando pressoché immutati alcuni elementi: un dado di mortadella nel cuore di una capasanta, quasi a condire il mollusco con la sua sapidità e, ad accompagnarla, una purea di mela, quindi freschezza e acidità contrapposta dalla dolcezza del finocchio.

 

Il Controfiletto del San Domenico nella versione proposta da Max Mascia a Identità Golose Milano

Il Controfiletto del San Domenico nella versione proposta da Max Mascia a Identità Golose Milano

Controfiletto del San Domenico di Nino Bergese - 1975
Piatto storico di Nino Bergese da Saluzzo (1904-1977), "cuoco dei re e re dei cuochi" che dopo essere stato al servizio di grandi famiglie, conquistò nel 1969 la doppia Stella Michelin (quando in Italia era il top, visto che non esistevano tristellati) con il suo locale La Santa a Genova. Bissò il riconoscimento, nel 1975, alla guida del San Domenico di Imola, dove ancora ne preservano l'eredità gastronomica. Ci ha raccontato Max Mascia, ora alla guida del locale imolese: «È un piatto che è cambiato nel tempo. Un tempo era una sella di vitello che veniva tagliata a fette, oggi facciamo la monoporzione, con cottura iniziale a bassa temperatura e rosolatura finale». Invece la salsa è sempre lei: guanciale affumicato che soffrigge con spuntature del vitello, alloro e pepe nero, poi un po' di vodka «per una glassatura secca», infine crema di latte. «Una classica salsa anni Settanta».

 

Savarin di Riso

Savarin di Riso

Savarin di Riso di Mirella Cantarelli - 1963
Una bontà leggendaria di un luogo del gusto leggendario (che abbiamo recentemente raccontato qui: Storia e mito della trattoria Cantarelli, ossia di come Peppino e Mirella han influito sulla tavola contemporanea) questo Savarin di riso, oggi diremmo il signature dish di Mirella Cantarelli (1927-1986). Si trattava di un miracolo d'armonia, d'ispirazione francese ma poi rivisto dalla grande cuoca: uno sformato di riso Carnaroli perfettamente tirato alla parmigiana, condito a strati con un sugo di porcini secchi di Borgotaro, ricoperto di lingua salmistrata e arricchito al centro, nel foro in mezzo, con polpette di filetto di manzo (selezionato dal marito Peppino con la solita attenzione) triturato con verdure, Parmigiano, uova di pollaio, prezzemolo e salsiccia (in rapporto di 1 a 3 con il filetto), prima passate nel pane grattato, poi fritte e aggiunte al sugo dei porcini. Spiegò Mirella: «Nacque tra il ‘60 e il ‘61. Avevo preso l’idea da una rivista di cucina, poi l’ho modificata pian piano, fin che è stata a punto per i clienti». Oggi diremmo: un piatto creativo, e i puristi della tradizione storcerebbero il naso. Peppino lo serviva col Lambrusco della casa, col Grignolino oppure, quando aveva conosciuto e valutato l’ospite, coi grandi cru francesi.

 

Mirella Cantarelli con Mario Soldati durante le riprese di Viaggio nella valle del Po

Mirella Cantarelli con Mario Soldati durante le riprese di Viaggio nella valle del Po

Nino Bergese nella cucina de La Santa, anno 1966, foto di William M. Zanca

Nino Bergese nella cucina de La Santa, anno 1966, foto di William M. Zanca

Faraona alla Creta di Mirella Cantarelli - 1963
& Risotto alla Bergese di Nino Bergese - 1974
In un solo piatto botturiano, due capisaldi della grande cucina italiana a cavallo tra anni Sessanta e Settanta. Il primo: che il menu recitasse Faraona alla creta o farcita ai carciofi o ai funghi, alla Trattoria Cantarelli era sempre una festa. Mirella Cantarelli spiegò questo piatto anche allo scrittore Mario Soldati di fronte alle telecamere, nel 1958, nella trasmissione televisiva Viaggio nella valle del Po, primo reportage enogastronomico della Rai (vedi qui su Raiplay): «Adopero rosmarino, salvia, ginepro, un pizzico di spezie e sale, tutto dentro alla faraona, per dare la "concia"». Quindi burro o olio, e il tutto va «nella carta oleata e poi in una carta bagnata con pane e pasta comune». Si lega con un filo e lo si avvolge nella creta, prima di essere messo in forno dalle 4 alle 5 ore. Piatto da prenotare e da gustare appena sfornato, sottolineava la Cantarelli, «è buono fatto e mangiato». Ha avuto modo di spiegare lo stesso Bottura: «Probabilmente la mia Faraona non arrosto viene da Mirella; c’è l’idea di una memoria vista in chiave critica e non nostalgica, c’è il rimando alla Francia con la farcia di fegatini nella coscia e di foie gras nel sottocoscia e c’è la presenza di salse».

Nel mito è anche il Risotto alla Bergese, dal nome del suo ideatore, Nino Bergese. Il Risotto alla Bergese è uno dei suoi piatti classici. Si tratta di un risotto “condito” con fondo bruno di vitello e attentamente mantecato; ciò conferiva una pienezza di sapore unico a questo piatto di rara compiutezza, di chiara ispirazione francese come non poteva che essere per il primo chef italiano ad aver importato nel nostro Paese l'haute cuisine. Così lo descrisse il grande gastronomo Marco Guarnaschelli Gotti: «Del riso sento ancora la consistenza e la magica legatura vellutata tra chicco e chicco. Quella che i francesi chiamano onctuosité, ma che nulla ha a che fare con l'unto».

 

Germano Ripieno di Anguilla

Germano Ripieno di Anguilla

Germano Ripieno di Anguilla di Igles Corelli - 1985
Lo chef che con Il Trigabolo, aperto nella natia Argenta (Ferrara), fu un vero pioniere della cucina d’autore italiana, oggi racconta così questo storico piatto: «L'idea nacque da un ricordo legato a mio nonno, che era pescatore e cacciatore, quindi anguilla e germano erano ingredienti nelle mie corde. Ho pensato di farli incontrare perché entrambi mi davano questa sensazione di selvatico. Pensai al germano farcito con l'anguilla, e poi avvolto nella rete di maiale, perché avevo bisogno anche di una nota più saporita. Poi pensai a una salsa con more e bacche di sambuco, perché il germano mangia anche questi piccoli frutti. Infine c'erano degli ingredienti che completavano il piatto, come uno sformatino di zucca. Al tempo era sicuramente una scelta coraggiosa e infatti all’inizio fu parecchio difficile riuscire a farlo assaggiare alle persone, che erano dubbiose di fronte a quell’accostamento strano e innovativo. Ricordo però che Luigi Veronelli fu tra i primi a provarlo e ne fu entusiasta. Così insistemmo, eravamo convinti che il piatto fosse buono e avesse un suo significato: dopo un paio d’anni iniziò ad avere successo e oggi lo propongo ancora...».



Budino di cipolla

Budino di cipolla

Budino di Cipolla di Igles Corelli - 1983
«Questo piatto ha una storia simpatica - ricorda Igles Corelli - e credo rappresenti da parte mia uno spartiacque fra la cucina degli anni ‘80 e l’avanguardia. L’origine del piatto è il fegato alla veneziana, interpretato con consistenze totalmente diverse: quindi abbiamo un crème caramel di cipolla, con la salsa di fegato grasso e diverse spezie. Nella mia vita ho partecipato a due concorsi in tutto, e con questo vinsi un premio, la Cipolla d’oro, la gara si svolgeva a Sermide. Mi ricordo di essere arrivato in questo stanzone dove c'erano gli altri cuochi: c’era chi aveva fatto una Torre degli asinelli tutta in burro e ci aveva messo intorno dei tortelli di cipolla, chi aveva fatto una bocca di leone in ghiaccio con dentro altre cose...io avevo questo piccolo piatto Ginori, con il budino, la salsa, dei porri fritti e del Sauternes in abbinamento. Il direttore di sala mi vide e venne da me, chiedendomi dove pensassi di andare con quel piatto, di guardare gli altri cosa avevano preparato. Io ero sicuro di me perché sapevo di aver appena preparato quel budino, l’equilibrio dei sapori c’era, e quelle cose estetiche, che comunque trovavo un po’ kitsch, le avevo fatte lavorando in nave. Sapevo che andavano preparate con molto anticipo e che il gusto non poteva essere davvero buono. Il mio piatto vinse il concorso e quando il direttore di sala tornò da me mi disse che sicuramente avevo pagato la giuria, non c’erano altre spiegazioni. Succedeva proprio in quel momento in cui ci lasciammo alle spalle quel tipo di cucina per abbracciarne una molto più innovativa e per la storia del Trigabolo sicuramente questo è uno dei piatti che tracciò la via da percorrere».

 

Zuppa fredda di Carbonara

Zuppa fredda di Carbonara

Zuppa fredda di Carbonara di Gianfranco Vissani - 2020
La Carbonara è un piatto irruento, di grande spessore per il palato, un primo di carattere che a casa Vissani si evolve e diviene sana provocazione. È “l’altro lato” della Carbonara, una coccola per concludere il pasto in dolcezza e curiosità. Si tratta di una crema all’uovo che segue tutti i crismi della Carbonara, solo in chiave dolce: lo zucchero sostituisce il sale, concentrato invece in una sfoglia di guanciale croccante. A chiudere la nota aromatica dei chicchi di caffè.

 

Tortelli di Zucca

Tortelli di Zucca

Tortelli di Zucca della famiglia Santini, “da sempre”
C’è un piatto che segna in modo più importante di questo il quadrilatero padano compreso tra Crema, Mantova, Ferrara e Parma? Probabilmente no, e il merito è da ascrivere a tutte le varianti di questo classico intramontabile. Le 5 “caramelle” preparate al Pescatore di Canneto da Giovanni e Nadia Santini sono frutto di uno studio meticoloso tra le proporzioni della pasta e della farcia. Quest’ultima racchiude zucca mantovana, briciole di amaretto, mostarda senapata autoprodotta, Parmigiano Reggiano 24 mesi, noce moscata, chiodi di garofano, cannella. Un vero dessert, retrocesso a primo piatto (e infatti Massimo Bottura, per la prevalenza del gusto dolce, lo confina quasi in fondo al suo menu).

 

Riso Oro e Zafferano

Riso Oro e Zafferano

Riso oro e zafferano di Gualtiero Marchesi - 1981
Simbolo tra i simboli del maestro Gualtiero Marchesi (1930-2017), questo risotto assegna una dignità regale a piatto della tradizione popolare meneghina, attraverso l’aggiunta di una foglia quadrata d’oro al centro e un impiattamento su un piatto dal bordo cerchiato di nero. Tecnicamente, «è eseguito alla rovescia», stupiva il cuoco. Infatti, invece di tostare il riso nel fondo di cipolla con vino bianco, cuoceva la cipolla con un po’ di burro e qualche goccia di vino bianco e da questa otteneva un burro acido, tipo beurre blanc, che conservava per mantecare il risotto alla fine, con poco parmigiano. Spiegava Marchesi: «Il riso va lasciato riposare 2 minuti, perché la cottura genera sempre violenza sugli ingredienti». E ancora: «L’oro è impalpabile - amava dire - ma sono certo faccia bene ai dolori reumatici».

 

Cannolo

Cannolo

Cannolo di Corrado Assenza - 1985
Il 1985 è l’anno in cui Corrado Assenza assume la conduzione del laboratorio del Caffè Sicilia dalle mani del suo maestro Roberto Giusto. Il cannolo di Assenza spicca per alcune caratteristiche: è identitario, essenziale, asciutto. «La sfida più grande per me - ci spiega - è trovare l’alchimia perfetta tra due elementi: la cialda e il ripieno. La prima, fritta nello strutto, è croccante, leggera, friabile, quasi impalpabile. La ricotta ovina esprime invece la materia grassa, il profumo del latte e il gusto animale. Che cambia con le stagioni perché la pecora è transumante e quindi cambia spesso alimentazione. È un capolavoro del pastore, che traduce in ricotta gli umori del suo territorio».

 

Babà

Babà

Babà di Gennaro Esposito - 1994
Di babà ce ne sono tanti. Ma è difficile pareggiare la bontà di quello napoletano con crema pasticcera e fragoline di bosco che Gennaro Esposito prepara a Vico Equense, nella Penisola Sorrentina. Dalla forma caratteristica a 14 angoli, minimo per due persone, utilizza lievito di birra e si sottopone a una doppia lievitazione, accorgimento necessario per fare tornare “la spugna” alla postazione originaria, anche dopo essere stata immersa nella bagna di rhum. Un gioco perfettamente calibrato tra prepotenza e dolcezza, con la crema e le fragoline del monte Faito che fanno il resto. È il centrotavola finale della Torre del Saracino.

 

Camouflage

Camouflage

Camouflage di Massimo Bottura - 2012
L’unica autocitazione è anche il piatto che conclude il menu 2021 di Massimo Bottura. Camouflage, sottotitolo “La lepre nel bosco”, è un disegno mimetico che nasce dal civet de lièvre, una ricetta medioevale, resa celebre dalla scuola classica francese. Un piatto originariamente in umido, ottenuto facendo rapprendere sul fuoco sangue e ossa di lepre. La versione della Francescana è una metamorfosi dal sapido al dolce e ha assunto nel tempo diverse forme. Quella originale prevedeva un’emulsione di salsa civet, foie gras, cioccolato criollo, la schiuma di un espresso all’italiana e cristalli di zucchero. Ma l’effetto scenico più intrigante è dato dalle polveri di erbe fresche e bruciate, radici e spezie che disegnano una coltre mimetica. Dal piatto è nato anche un magnifico video, un’ode visuale firmata dal regista Andrea Marini.


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