Igles Corelli sta per compiere 70 anni, cifra tonda, essendo nato ad Argenta (Ferrara) il 15 agosto 1955. È uno dei maestri della cucina italiana, durante la sua carriera è stato insignito di cinque stelle dalla guida Michelin. Dal 1979 stato protagonista della storia del mitico e rivoluzionario Il Trigabolo, nel centro storico del suo paese natale, come chef capo di una brigata che comprendeva anche Gianna Maccarini, Bruno Barbieri, Mauro Gualandi, Marcello Leoni, Italo Bassi, Marco Ghezzi, Sandro Trioschi, Pierluigi Di Diego, Vincenzo Morgia, Elga Cavallini... Nei primi anni 1990, all'apice del successo, il ristorante chiude, proprio quando la Michelin era pronta ad assegnargli la terza stella. Nel 1996 Corelli apre a Ostellato il ristorante Locanda della Tamerice, che riscontra anch'esso un notevole successo, facendogli guadagnare una stella Michelin. Nel 2010 apre il suo terzo ristorante, dal nome Atman, inizialmente collocato nel centro di Pescia (Pistoia), dove otterrà una stella Michelin dopo soli 10 mesi dall'apertura; dal 2015 il ristorante viene trasferito nella vicina Lamporecchio all'interno di Villa Rospigliosi.
Facciamo (in anticipo!) gli auguri a Igles, con il quale abbiamo fatto una bella chiacchierata.

Maestro indiscusso della ristorazione italiana. Igles Corelli compie 70 anni. Abbiamo raggiunto lo chef per una chiacchierata con al centro la cucina italiana di ieri, oggi e domani. Rivoluzionario. Sincero. Un fiume in piena. Un'intervista coinvolgente. Autentica. Piena di racconti emozionanti. Storie personali e vicende mai condivise. Con tanto di materiale fotografico inedito, raccolto dalla collezione personale degli album di Corelli.
Igles, a chi devi dire grazie?
«A Giacinto Rossetti (il fondatore e la mente dello storico e rivoluzionario ristorante Il Trigabolo di Argenta, ndr), a lui sicuramente. Se non ci fosse stato, non avrei fatto questo mestiere, non sarei andato avanti in questo percorso».
Chi ti dovrebbe ringraziare?
(Risata fragorosa, ndr) «Un bel po' di cuochi... però devo dire che tutti lo fanno. Tutti i giorni nelle loro interviste mi citano sempre. La cosa mi fa molto piacere. Anche il mio amico Bruno (Barbieri, ndr), che da giovane è stato il mio delfino, parla sempre bene del Corelli. Gli fa molto onore e lo ringrazio».

Una foto storica e celebre: un giovanissimo Igles Corelli, primo da sinistra, con Marcello Leoni e Bruno Barbieri; al loro fianco il patron Giacinto Rossetti con il maître Bruno Biolcati. Tutti insieme a Il Trigabolo di Argenta, storico e rivoluzionario ristorante. Tutto iniziò nel 1979 quando il rappresentante di giocattoli Rossetti con il socio Gualtiero Musacchi rilevò una pizzeria in piazza Garibaldi 4b, ad Argenta, chiamando un giovane cuoco che aveva lavorato sulle navi, tal Igles Corelli...
Perché hai pianto quando definirono i tuoi piatti barocchi?
«Tantissimi anni fa, quando ho letto l'articolo (di
Renato Fiorentini su
Bargiornale,
ndr), ti giuro: ho pianto davvero tanto. Però è un argomento di cui parlo con piacere. Ho analizzato meglio la mia cucina. L'ho semplificata. C'erano troppi orpelli, ed era vero. Avevano ragione. È stata la leva per migliorare. È stato il mio “asso di briscola”. Un grande insegnamento. Come il voto 11,5/20 dato da
Edoardo Raspelli - all'epoca in cui era a capo della
Guida de l'Espresso - a
Massimiliano Alajmo, che ho visto piangere davanti a me. Però anche in quel caso sono situazioni dove rimboccarsi le maniche».
Hai pianto altre volte?
«Sì, un'altra volta. Diciamo in maniera molto potente. È stato quando ho perso la stella Michelin (anno 2003, alla Locanda della Tamerice di Ostellato, Ferrara). Nessuno lo sa. Avevo firmato per Endemol per partecipare al programma televisivo di Rai 1 “Il Ristorante”. In sostanza dovevo gestire un ristorante a Roma insieme a 12 vip. Proprio poco dall'inizio del programma la sous chef, che avrebbe dovuto coordinare in mia assenza il ristorante, mi dice: «Igles da domani non posso più venire perché ho una malattia importante». La capisco, ci mancherebbe. Allora chiedo al maître, un ragazzo di 25 anni, di gestire il locale. Il problema è che il maître non voleva rimanere al ristorante senza la sous chef. Mi hanno abbandonato. Sono rimasto praticamente senza aiuto. La scelta migliore sarebbe stata chiudere temporaneamente. Certo è che non potevo permettermi di stare chiuso tre mesi. Quindi mi sono affidato ad alcune persone che mi hanno consigliato. È stata una catastrofe! Pensa, ho ancora un fax che mi inviò un cliente deluso. Il testo era chiarissimo: "Caro signor Corelli, sono anni che la seguo. Ho risparmiato un anno per venire nel suo ristorante. Non mi sono trovato bene e ho mangiato malissimo". Il fax ce l'ho ancora. Lo conservo. Un momento davvero no. A dicembre, torno da Roma dopo le puntate del programma tv. Sono in macchina a Ferrara. Prendo in mano il giornale e leggo che la Locanda della Tamerice aveva appena perso la stella Michelin. Nessuno mi aveva avvisato. Avevo 3 bambini piccoli, mia moglie si era ammalata gravemente ed ero completamente solo. Nel cuore di un territorio quasi irraggiungibile. È stata davvero una roba disastrosa. Piano piano ti tiri su le maniche e provi a ripartire, anche se è stata impegnativa. Diciamo impegnativa. (Igles si commuove, ndr). Alla fine c'è sempre il riscatto. Se uno si piange addosso non ne esce più fuori. Questo è uno dei motivi per cui io mi ritengo molto giovane in questo momento».

Altra foto inedita: Corelli (quello più alto) alla mensa buffet degli ufficiali della nave in viaggio verso i Caraibi

Ancora una foto inedita: Igles a New York prima della partenza in nave per le West Indies
Come sei arrivato a cucinare in nave?
«Finita la scuola alberghiera sono andato a lavorare al
Mare Pineta. Diversi cuochi, in inverno, si imbarcavano per lavorare sulle navi. Mi sono lasciato incuriosire dai loro racconti. Chi tornava dalla stagione in nave parlava di ingredienti esotici e di storie interessanti. Allora mi sono subito imbarcato a New York. Mi ricordo che la compagnia si chiamava
Home Lines. Eravamo su una nave di lusso: 1.200 membri dell'equipaggio per 800 clienti».
Al ristorante Adriatico di Alfonsine, il locale dei tuoi genitori, si mangiavano tortellini, tagliatelle, lasagne e arrosti. Oggi apriresti un ristorante proponendo questo menu?
«Si mangiavano anche i maccheroni pasticciati! Era il piatto preferito all'una di notte. Quando uscivi dai locali si andava a mangiare all'Adriatico i maccheroni pasticciati, ragù e panna (risata compiaciuta, ndr). In Italia, oggi, non aprirei alcun ristorante. Con qualsiasi tipo di cucina. Sottolineo in italia. Non ci sono le condizioni per sopravvivere. E poi non c'è personale. Non perché non ci siano ragazzi competenti e professionali. Non c'è personale perché i ristoranti sono quintuplicati negli ultimi 10 anni. Il problema è che ci sono troppi locali. Troppi locali incompetitivi. Pensiamo ai ristoranti stellati a 110 euro. Un ristorante stellato non può vendersi a 110 euro! Perché in questo modo si mettono in cattiva luce tutti gli altri locali. Non si può sopravvivere a 110 euro. È come andare a comprare un vestito firmato Armani e pagarlo 50 euro! Non ha senso».
Ti mancano i piatti della tua famiglia?
«No! Le lasagne e i tortellini li ho migliorati. Anche se i miei figli dicono sempre che sono più buoni i tortellini della nonna. Però lo dicono perché sono ricordi dell'infanzia e quindi rimangono impressi».

Un piatto di Corelli: Lasagnetta croccante con verdure, foie-gras e prosciutto di Praga
L'intelligenza artificiale è sempre più in commistione con la creatività di oggi. Abbiamo chiesto a ChatGpt di proporci un piatto di un immaginario Trigabolo del 2025. La risposta è stata: "Tortello di castagna con cuore di cipolla bruciata, brodo di porcini, aria di alloro e croccante di muschio". Cosa ne pensi?
«No! No! No! ChatGpt ha fatto un
repêchage nella cucina degli anni '80. Non nella mia cucina di oggi. Quindi ti imbroglia perchè pesca dall'esperienza di quell'epoca. Da giovane mettevo un sacco di ingredienti in un piatto. Ora con la maturità gli ingredienti sarebbero tre e non duecento! Sicuramente tre ingredienti di grandissimo livello».
Credi che in futuro si utilizzerà l'intelligenza artificiale nelle cucine dei ristoranti?
«Beh certo. Anzi, beati loro che utilizzano e che utilizzeranno l'intelligenza artificiale. A una condizione però. Essere padroni del mezzo e avere le competenze per sfruttare questa tecnologia. Come dicevo, oggi è tutto omologato. Quindi usare la tecnologia per avere lo stesso risultato non ha senso. Invece, se si utilizzasse nella maniera adeguata, si valorizzerebbe la creatività. L'intelligenza artificiale non è matrix. Dipende dalle persone. Ho sentito che un grande cuoco ha polemizzato su questo argomento. Diceva che non avrebbe mai utilizzato questi strumenti per non scalfire la propria creatività. Tutto questo non è vero! Magari ce l'avessi avuta io tutta questa tecnologia negli anni passati. Avrei risparmiato un sacco di soldi e di tempo per inventare e organizzare Saperi e Sapori (un'associazione culturale con l'obiettivo di promuovere la cultura del piacere a tavola, con tanto di evento annuale, ndr). Diciamo che Saperi e Sapori era il nostro internet!».

Foto inedita: la brigata de Il Trigabolo alla metà degli anni Ottanta
Se avessi la possibilità di creare una nuova edizione di Saperi e Sapori, la organizzeresti?
«Certo, c'era davvero un legame di frattelanza con tutti i cuochi e i protagonisti di quelle edizioni. Dopo rimanevi amico a vita con tutti. Oggi, invece, in tutte le iniziative i cuochi arrivano con tutta la linea pronta. Non c'è più quel gioco, quella sfida. Una volta si arrivava almeno un giorno prima, con tutti gli ingredienti. Si cucinava insieme. Ci si scambiava le idee. Le tecniche. Era una sorta di villeggiatura tra amici. Uno scambio continuo. Una discussione che ti faceva crescere. Sia umanamente sia come cuoco».
Budini, crème caramel, bavaresi. Una passione per il cucchiaio. Come mai?
«È vero. Ho scritto anche un libro sul tema del cucchiaio. Ho fatto una lunga ricerca dedicata a chi non sta bene, per chi ha problemi di afagia. Una ricerca sulle varie consistenze, ovviamente morbide. Tante prove per concentrare i sapori. Il risultato mi è piaciuto molto. Sostenuto anche dal mio amico Tonino Guerra, che purtroppo non c'è più. Immaginava di essere a letto, al buio. Mangiare una zuppa fredda d'estate e calda d'inverno. Una cosa magnifica. Ho sempre collaboratocon tanti artisti. Oltre a Tonino Guerra penso a Mario Schifano, Tono Zancanaro, Simone Cenedese, Riccardo Biavati e molti altri. Uno scambio di visioni e di idee incredibili. È stato molto, molto, bello».
Come fai la prima colazione?
«La mia colazione è una novità. Nel senso che non la faccio da sempre. Faccio colazione da quando mi sono sposato con Helga: corn flakes e un buon caffè. Torrefatto da Orlandi Passion, secondo me è uno dei più buoni caffè che abbiamo in Italia. Arabica pura ovviamente. Poi una manciata di bacche di goji e di frutta secca».

I Garganelli piccanti in salsa d'aglio de Il Trigabolo. Foto Giovanni Panarotto
Ti capita di fare spuntini notturni?
«Adesso no. Da giovane li facevo alla grande! Maccheroncini pasticciati oppure quando eravamo al
Trigabolo facevamo sempre i
Garganelli piccanti in salsa d'aglio. Di una bontà esagerata. Andavamo in discoteca con tutta la brigata. Chi non tornava a casa aveva sicuramente conosciuto una ragazza mentre gli altri facevano una mangiata notturna con i garganelli».
Tornato a casa dopo un servizio serale, a cosa pensi?
«Appena arrivo a casa entro in doccia. Mi rilasso con una doccia bollente. Un momento per riflettere sulla giornata, alle cose che ho fatto».
Quindici anni fa hai previsto che oggi la ristorazione sarebbe tornata alla cucina della tradizione. Penso tu abbia avuto ragione. Dunque ti chiedo come sarà la cucina tra 15 anni?
«Purtoppo! Purtoppo ho avuto ragione. Non era una speranza. Era uno scongiuro. Tra 15 anni si parlerà ancora di tradizione. Ricordiamoci però che la parola tradizione è abusata. Inventata. Se i cuochi italiani si concentreranno sui prodotti italiani ci sarà una vera e propria identità. Altrimenti ci sarà una cucina senza personalità. Anzi una cucina copiata. Un paradosso. Noi italiani dovremmo essere, insieme ai francesi, quelli che guidano la ristorazione mondiale. Purtroppo non è più così. Non c'è più un'identità. Mi ricordo che negli anni '80 chi andava a mangiare da Vissani assaggiava la cucina di Vissani. Chi andava a cenare da Marchesi gustava la cucina di Marchesi. Chi andava a mangiare da Corelli assaporava la cucina di Corelli. In questo momento mi sembra tutto troppo omologato. I format dei ristoranti sono tutti uguali. Chi insegue a esempio la stella deve avere “quei tavoli”, “quel pane”, “quegli ingredienti”, eccetera».

Che rapporto hai con la cucina della tradizione?
«Mia nonna non sapeva cucinare. Mia mamma era molto brava ma aveva a disposizione pochi ingredienti. Non ho ricordi eclatanti. Però sono molto collegato con la cucina tradizionale e con la cucina del territorio. Valorizzare gli ingredienti del territorio è fondamentale. Ad esempio sono molto legato alla cacciagione in quanto mio nonno andava a caccia. Direi che la mia visione di tradizione è sempre in movimento. In molti sostengono che la tradizione sia statica. Non è così».
Budino di storione, salsa di cavolo nero, patate e timo. Hai portato questo piatto alla cena di gala per la nascita di Slow Food a Parigi, nel 1989. Carlin Petrini in quella giornata elogiava la lentezza e il rispetto della cultura dei territori. Ti ritrovi ancora in quelle parole?
«Sì, certamente. Però adesso è cambiato tutto. Andare avanti con la stessa identica filosofia sarebbe una débâcle. I tempi cambiano. Quello è stato un momento dove abbiamo seminato. E si sa che dal seme si genera l'albero. Io sono molto legato a Slow Food. Slow Food è stata, ed è, una sentinella sui prodotti italiani da tutelare e promuovere».

La brigata de Il Trigabolo col cliente "vip" Alberto Tomba
Ti ricordi di quella volta che hai cucinato in Giappone sotto la neve? Ho letto che era presente anche Paolo Marchi.
«Sono passati tanti anni... Eravamo i cuochi ufficiali per la Nazionale italiana di sci. Seguivamo
Alberto Tomba, di cui siamo sempre stati tifosi. Nevicava tantissimo e ci siamo trovati a preparare tortellini con
Casa Modena».
Un articolo diceva che al Trigabolo ignoravate i formaggi, perché?
»È vero. Era una provocazione nei confronti di Gualtiero Marchesi in quanto lui non era molto propenso a servire la pasta. Quindi, di contro, non ci interessava proporre formaggi. Inoltre tutti gli ingredienti che entravano nella nostra cucina dovevano essere lavorati in un certo modo. Siamo sempre stati molto attenti e scrupolosi agli ingredienti e alle materie prime che utilizzavamo».
Ti manca il sapore della frutta di una volta?
«Si, si, si. Il gusto della frutta di una volta mi manca. La gente oggi guarda molto di più all'estetica. Non gradisce la frutta matura. Le persone hanno paura che la frutta matura vada a male subito e quindi non si mangia più frutta decente. Anche nei ristoranti non si trova più. La frutta è stata eliminata. Facciamo l'esempio della mia zona di origine, il Ferrarese. Abbiamo una pera di una bontà esagerata, la pera Opera. Il problema è che quando vai a comprarla al supermercato è una roccia!».
Se dovessi scegliere un solo piatto da mangiare per sempre, quale sceglieresti?
«Aaahhhhh... (Igles è in estasi, ndr). Direi l'Uovo alla fornaia (conosciuto anche come Uovo in raviolo del San Domenico, leggi qui, ndr). Il mio grande sogno era quello di inventare un piatto come questo. Accidenti a Nino Bergese che l'ha inventato e a Valentino Marcattilii che lo porta avanti. Una roba da perdere la testa. Un raviolo con dentro il rosso d'uovo, ricotta, spinaci, tartufo bianco e il burro nocciola. Un piatto geniale! Mamma mia. Lo mangerei sempre, tutti i giorni».

Il Mojito di Parma nella foto di Flavio Signani
Dimmi un piatto che cucineresti per Jannik Sinner, i Pink Floyd e Leone XIV.
«Per
Sinner propongo i tortellini in brodo. Senza ombra di dubbio. Lui è pacato, educato. Il tortellino per lui sarebbe straordinario. Per i
Pink Floyd preparerei il
Mojito di Parma: si tratta di un risotto al Parmigiano Reggiano - in consistenze diverse - con un gelato di Parmigiano, lime e menta. È uno sballo. Per
Leone XIV direi un dolce di cui sono innamorato. Una torta con le visciole insieme a un buon gelato alla crema».
Il tuo rapporto con la fede e con la spiritualità è cambiato durante la tua vita?
«La fede si è rafforzata. Non tanto per le preghiere quanto per la solidarietà. Purtroppo, a volte, si è costretti a dirlo in maniera esplicita. Proprio per promuovere le iniziative benefiche che proponiamo. Come quella di pochi giorni fa a favore dell'Istituto Oncologico Romagnolo. È stata una serata fantastica. Spero di conoscere a breve il nuovo papa. Conobbi anche papa Francesco e mi piacerebbe andare a trovare Leone XIV. Credo sia molto dolce».
Qual è il tuo gusto di gelato preferito (non vale il gusto aceto balsamico, come il tuo storico piatto)?
(Igles ride di gusto, ndr) «No, no, tranquillo. Io sono innamorato del gelato alla crema di Philippe Léveillé. Dico gelato alla crema 100 volte. Philippe fa un gelato da perdere la testa».
Adoro la zuppa inglese, che consiglio daresti per farla perfetta?
«Anche io adoro la zuppa inglese. L'unico segreto è utilizzare un alchermes di altissimo livello. Suggerisco quello di DiBaldo che è inarrivabile. È una roba pazzesca».
Quale progetto speravi di realizzare e sei riuscito a concretizzare?
«Io sono nato a Filo, una frazione di Argenta (Ferrara). Qui si trova un monumento ai caduti. Da piccoli giocavamo sempre a nascondino intorno al monumento. Sul muro, sotto la bandiera italiana, mi ricordo di avere scritto: “Un giorno farò di tutto per farti diventare famoso”, dedicato al mio paese. Ho cercato di valorizzare al meglio Argenta. Penso e spero di aver fatto qualcosa di bello».
Quale gusto dei tuoi ricordi non sei più riuscito a replicare?
«Quando partecipo alle manifestazioni non replico mai il piatto che propongo. Se mi invitano alle iniziative ci credo molto e do realmente importanza all'evento. Non replico mai le ricette perché vorrei lasciare qualcosa di unico alla manifestazione. È un valore che ritengo intimo. Una volta invece ho tentato di creare nuovamente una ricetta che avevo presentato, però senza successo. Mi ricordo che ero ad una edizione del Girotonno. Avevo portato un risotto, utilizzando esclusivamente la testa di un tonno. Tutta la testa, compreso gli occhi. Quel prodotto mi aveva dato un sapore speciale. Il tonno era appena stato pescato... Ho quindi provato a fare quel piatto ma proprio non ci sono riuscito».

A Il Trigabolo durante le "Notti Magiche" di Italia '90
Da bambino andavi matto per...?
«Per il calcio, tifavo Milan. Ora continuo a seguire il Milan, però mi piace il bel gioco. Il bel calcio. Se c'è da tifare Lazio, Napoli o altre squadre non ho problemi. Mi godo lo spettacolo».
Se non avessi fatto lo chef oggi che lavoro faresti?
(Risata titubante, ndr) «Non lo so! Sicuramente ho provato a diventare calciatore. Pensa che ho fatto anche un provino con il Baracca Lugo. Non mi hanno preso, non avevo i piedi buoni. Lo sport mi piace da matti. Purtroppo a livello professionistico non mi è mai riuscito nulla. Gioco a tennis, adoro il tennis, ma non sono un giocatore di alto livello. Ho provato anche a giocare a bocce, a Milano Marittima, ero bravino ma non bravo».
Negli anni '80 hai usato lo zenzero quando ancora in Italia non si conosceva.
«Semplice. Corelli ai Caraibi durante gli anni in nave. Oggi si utilizzano degli ingredienti particolari esclusivamente per avere l'effetto wow. Tra l'altro senza conoscere realmente il prodotto. Capita spesso di dover ricordare ai ragazzi di non sentirsi obbligati ad utilizzare una materia prima “strana” solo per avere visibilità o un like sui social. Non è questa la gastronomia».

Il menu firmato da Igles Corelli e Bruno Barbieri per la prima edizione di Saperi e Sapori, anno 1990. Ringraziamento alla Biblioteca comunale di Argenta
Cosa dovrebbero imparare i cuochi di domani?
«Questo è un discorso proprio centrato. Oggi il mio ruolo è esattamente quello del formatore. Sto lavorando con i giovani e comprendo questo argomento. Faccio una premessa: uno dei temi che non aiuta i ragazzi riguarda tutte le persone che dicono che i giovani non hanno più voglia di lavorare. Oppure che sono solo un costo o addirittura che non sanno fare niente. Come primo approccio questo non aiuta. Anzi. E poi i due grandi problemi degli istituti alberghieri, ne ho parlato anche con il ministro. Il primo è che le scuole alberghiere non sono attuali. Le competenze che ti lascia una scuola alberghiera ti permettono al massimo di lavorare in un albergo a 4 stelle. Non di più. Non si hanno tecniche particolari. Ovviamente non è colpa dei giovani. Per non parlare del budget bassissimo per acquistare le materie prime. L'altro errore è la pochissima pratica rispetto alla teoria. Si fanno troppe poche ore di pratica. Questo è un problema. Bisogna cambiare qualcosa».
Di cosa ha bisogno la cucina italiana oggi?
«Credere nelle materie prime italiane. Crederci veramente eh! Ciò che noi abbiamo è una roba pazzesca. Tutto il mondo sogna gli ingredienti italiani. Immagina se i danesi avessero avuto i nostri prodotti. Sono riusciti a creare una delle cucine più importanti al mondo con pochi elementi. Chissà cosa sarebbero riusciti a fare se avessero avuto le nostre materie prime...».
Chi ti dovrebbe chiedere scusa?
«Direi nessuno. Sono sincero. Non ho mai litigato in modo particolare. Ho rispetto di tutti nel mondo della gastronomia e della ristorazione. Avrei voluto le scuse dal mio babbo. Da piccolo c'è stato un episodio che mi sono portato dentro per 50 anni. Io adoravo fare il portiere quando giocavo davanti a casa. Chiesi a mio padre di tirarmi qualche pallone per divertirmi. Lui non volle perché doveva andare a giocare al bar. Questa roba mi è rimasta per tutta la vita. Una stronzata del genere. Fortunatamente in punto di morte abbiamo risolto».
A chi devi chiedere scusa?
«Ai miei figli. Non li ho seguiti come avrei voluto. Purtroppo questo mestiere ti porta ovunque, è molto impegnativo. Non hai mai giorni di festa e ho dato loro troppo poco, rispetto a quanto meritassero. Anche per ciò sono propenso nel voler cambiare la ristorazione di oggi. Deve evolversi. Deve essere più moderna. Ma chi ha detto che se non lavori 18 al giorno non sei un professionista? Quindi sì, chiedo scusa ai miei figli».

Un menu de Il Trigabolo, data venerdì 5 agosto 1994, lo stesso anno in cui chiuse definitivamente. Comprendeva come antipasti Insalata tiepida di piccione con verdure e canditi al balsamico, Budino di cipolle in salsa al fegato grasso, zenzero e cortandolo, Crocchette di cervella di vitello in zuppa di bietola e aglio, Composizione di quaglie con cipolla stufata e patate all'estragon, Sminuzzata di aragosta e zucchine in brodo di piselli e salvia, Calamaretti farciti con verdure e olio al cerfoglio, Noci di salmone gratinate con salsa al sauvignon, Scampi grigliati con crema di patate e prosciutto all'aceto, tutti tra le18mila e le 30 mila lire. Poi le zuppe: Crema di pomodoro fredda con crostini all'aglio, Zuppa di fagioli con scampi e olio alle erbe e Passata di canocchie con taglioline all'origano, tra le 14mila e le 16mila lire. Le paste: Medaglie con faraona allo zabaione di parmigiano, Lasagne croccanti con verdure in salsa al prosciutto di Praga, Tagliatelle con ragù di piccione in salsa di fegato grasso, Lunghetti con cervella in crema di patate e capperi, Gnocchi di patata in guazzetto di pomodoro e vongole veraci, Maltagliati con mazzancolle e melanzane in salsa di fagioli, Spaghetti alla chitarra, freddi, con crostacei e verdure, Taglioline con pesci in fondente di prezzemolo, Fettuccine al basilico con tartufi di mare, carpaccio di salmone e Risotto con granchi e fonduta di porri, tutti a 28mila lire, tranne le fettucine a 20mila. I pesci: Rana pescatrice con dragoncello e salsa bernese, Ragù di orata e patate in salsa di fagioli e uova di quaglia, Branzino al forno con sfogliatelle al rosmarino e salsa di crostacei, Zuppa di pesci con cipolla fondente e zafferano, Insalata tiepida di pesci e verdure con olio all'origano e Rombo chiodato in brodetto con pesto e olive (32mila-55mila lire). Le pietanze: Faraona farcita cotta nella rete di maiale allo zabaione di saba e tortelli di zucca, Filetto di vitello in salsa di melanzane e aglio croccante, Galletto farcito con indivia brasata, pomodori e capperi, Sella di coniglio alla salvia e parmigiano, Ventaglio di anatra all'aceto balsamico con patate allo zafferano, Noci di agnello con zabaione di olive e melanzane farcite, Fricassea di piccione con porri stufati e fegato d'oca in brodo di legumi, tra le 32mila e le 55mila lire. Si finiva coi dolci, tanti in carta: Pesche gratinate con gelato vaniglia, salsa di fragole e mandorle, Sfogliatina tiepida alle fragole, Sfogliatelle di nocciole e cioccolato con fichi caramellati, Meringa ghiacciata ai frutti di bosco e salsa vaniglia, Tortino di cioccolato con sciroppo amaro all'arancia, Semifreddo di fragole e limone con salsa di agrumi e pesche, Biscotto al caffé con salsa al cioccolato e whisky, Soufflé ghiacciato alla menta bianca, salsa al cacao e cointreau, Composizione di frutti di bosco e melone in gelatina di rose, Soufflé ai frutti con zabaione al moscato e Bigné fritti e caramellati alla crema di cedro, tra le 16mila e le 25mila lire. Composizione di frutta fresca a 15mila lire