Aggrappato alle falde dell’Etna, a 550 metri sul livello di quel tratto di Ionio che Omero narrò come propizia via di fuga dai Ciclopi per il prode Ulisse, Linguaglossa è un Comune pulsante di quasi seimila cuori ed è quella che le guide di una volta definivano “amena località”. Proprio qui, sospesa tra il mare e il vulcano attivo più alto d’Europa, brilla la stella Michelin del ristorante Shalai, assegnata nel mese di novembre del 2015 e attualmente prima e unica del versante Ionico-Etneo della Catania on the move (l’altro stellato della Provincia, il Coria di Caltagirone, si trova in una zona molto più centrale dell’Isola).
La struttura, che comprende il ristorante, un hotel di tredici raffinate camere e un funzionale e completo centro benessere, è il frutto brillante della lungimiranza e dell’audacia imprenditoriale di Rosario Pennisi che, oltre mezzo secolo fa, in disaccordo con suo padre, pastore di ovini, cominciò a lavorare come garzone in una macelleria. Pochi anni dopo, Pennisi con tutta la sua famiglia sarebbe stato proprietario di quella macelleria, di un negozio di alimentari, di un bar e poi, passo determinante, di un suggestivo e affascinante fabbricato del piccolo centro etneo risalente ai primi dell’Ottocento, nascosto agli occhi dei passanti, precedentemente sede di importanti funzioni pubbliche, poi residenza signorile, in totale stato di abbandono dalla seconda metà del secolo scorso: in quel palazzo, nel maggio 2009, è stato inaugurato Shalai, il primo resort di charme alle pendici del Mungibeddu.
La parola “s
halai” ha lo stesso suono del passato remoto del verbo
scialare e vuole riprodurre le sensazioni che deve provare l’ospite durante una cena, una notte in hotel o un momento di relax in sauna: vivere spensieratamente nel lusso, passarsela allegramente. Eppure, nonostante il
nomen omen, l’avviamento del resort non è stato propriamente distensivo come un massaggio
hot-stone. «Quella dello
Shalai è una storia di follia, di coraggio della mia famiglia e di sfida al territorio che ci circonda – racconta
Luciano Pennisi, curatore dell’amministrazione dell’hotel – All’inizio è stata dura perché nessuno pensava che si potesse fare ospitalità ad alti livelli sull’Etna, erano tutti scettici. Dal giorno dell’inaugurazione, ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo sempre lavorato con caparbietà, volontà e attenzione, non cercando mai scorciatoie e credendo fermamente nella qualità del nostro prodotto. Oggi possiamo dire che la scelta è stata vincente, ma lo sforzo degli inizi è stato enorme, sia morale e fisico che economico».
«L’anno precedente l’assegnazione della stella, avevamo una minima percezione della nostra nuova notorietà – dice Leonardo Pennisi, cugino di Luciano e responsabile della gestione del ristorante e della cantina – A poco a poco eravamo diventati un punto di riferimento per tutti i produttori locali, per noi è stata ragione di grande soddisfazione e ci ha dato lo stimolo per andare avanti».

I Pennisi con Davide Scabin
Il ristorante si distingue per due sale molto intime dall’aspetto asciutto e contemporaneo, una
mise en place classica ed elegante e le suggestioni retrò delle sedie in ferro battuto. In una carta dei vini di circa 600 referenze, predomina naturalmente l’Etna con quasi tutte le aziende di qualità, ma è presente l’intera Sicilia con ampia possibilità di scelta, anche tra diverse annate, delle etichette più note. Un 30% della carta è suddiviso tra vini del resto d’Italia, vini francesi con tanto champagne e alcune birre artigianali. Pregevole la selezione dei distillati.
La mano giovane, ma esperta, ai fornelli è quella di Giovanni Santoro, classe 1983, di Linguaglossa, chef primo e unico del locale, richiamato in paese dai Pennisi per la consegna delle chiavi (della cucina) del gioiellino di famiglia.Cotto e crudo di baccalà “a ghiotta” con barbabietola e cipollotto brasato è il biglietto da visita: forma moderna di una ricetta tradizionale dai sapori forti, dominati e riequilibrati con maestria dallo chef, che prosegue poi senza sbavature, come vi raccontiamo piatto dopo piatto nella nostra fotogallery. Si giunge alla fien del percorso con un interessante contrasto di temperature nel Cuore caldo al cioccolato bianco con centrifuga di pere e cannella, tonde dolcezze e sapori di frutta arricchite da una soffice speziatura.
«Sono molto soddisfatto del mio percorso professionale – spiega
Santoro – Ho girato l’Italia e sono tornato a Linguaglossa a venti anni. Dopo quattro anni ero chef dello
Shalai e mi sono messo in gioco su un suolo dove l’opinione diffusa era quella che la ristorazione potesse avere solo i format dell’agriturismo».
Santoro non ha avuto maestri blasonati (se si esclude una breve parentesi al fianco di Pino Cuttaia); è un cuoco che si è formato sul campo e la sua cucina, buona, diretta e senza metafore, si basa su tre cardini imprescindibili: semplicità, materia prima e identità territoriale; i piatti sono tutti intensi e profondi, talvolta con qualche licenza “in addizione”, costruiti sulla freschezza dell’ingrediente, su abbinamenti studiati e su tecniche di cottura comfort zone dello chef. Così la famiglia Pennisi oggi si gode i meritati successi, che fioccano come neve sull’Etna a gennaio, giusti riconoscimenti per chi ha investito tempo, denaro e sogni e che ha avuto ragione con sacrificio. A metà strada tra il cratere del vulcano, patrimonio Unesco dell’umanità dal 2013, e le barche dei pescatori di Giovanni Verga. Tra la montagna e la passione, tra il coraggio e il mare.