Una chiacchierata con Mattia Vezzola, di sicuro, porta sempre a riflessioni. Non solo sul mondo del vino, ma in generale sulla vita, sul futuro, sulle aspettative. Si parte da casa, in questo caso dalla sua cantina, la Costaripa di Moniga del Garda, per fare un giro del mondo virtuale.
Mattia Vezzola non ha bisogno di molte presentazioni: enologo pluripremiato, portabandiera del Rosé in Valtenesi, ma anche tra i massimi esperti di spumantizzazione, sia alla Costaripa, sia per quarant’anni alla Bellavista in Franciacorta.

Mattia Vezzola con i figli Nicole e Gherardo
Ma partiamo proprio da casa sua, dalla sua cantina, dove cade l’occhio su un premio dove viene definito
“Autorevole figlio della Valtenesi”. «Il territorio per me è fondamentale – racconta
Vezzola – La vocazionalità di un territorio sta nel fatto che in quel posto, 9 anni su 10, il Padre Eterno ti dà la possibilità di fare, o di esprimerti, ai massimi livelli della qualità».
Il terroir però non basta: «Il pilastro su cui si appoggia qualsiasi tipo di ragionamento è l'uomo. Se no, cosa siamo venuti al mondo a fare? Noi siamo venuti al mondo per essere in complementarietà con la natura e un po’ gestirla. Pensiamoci: la vigna è una liana che, se fosse abbandonata, non farebbe l'uva. È l'uomo che, attraverso la potatura, costringe la pianta a fare uva».

La cantina di Costaripa e, sullo sfondo, il lago di Garda
Per
Vezzola, però, i due fattori, cioè territorio e uomo, devono andare a pari passo. «Ogni uomo che nasce in un determinato territorio – spiega
Vezzola – avrebbe il dovere, e anche il piacere, di rappresentare con il massimo dell'espressione quel luogo. Se uno nasce a Castelfranco Veneto, può fare la sbrisolona o il radicchio, uno che nasce a Vignola può fare la migliore ciliegia del mondo, uno che nasce a Barolo lo sappiamo... Uno che nasce in Valtenesi può fare il Rosé, che è una traccia straordinaria lasciata da chi nel 1896 ha avuto questa intuizione». Il riferimento storico è al
Senatore Pompeo Gherardo Molmenti che creò il
Chiaretto di Moniga, primo
Rosé da viticoltura dedicata.
«L'intuizione, come diceva Albert Einstein, è un dono sacro, non la puoi comprare da nessuna parte – sottolinea ancora Vezzola – All'intuizione poi si aggiunge la cultura, lo studio, la preparazione. Diceva anche che la gestione dell'intuizione è un fedele servo. Ma nella società di oggi abbiamo dato più valore al servo che al talento. Cioè abbiamo dato più valore al tabulato, al fatturato, al marketing, alla comunicazione, alla produzione, alla finanza. A fare il vino per il mercato e non fare il vino che rappresenta un territorio».

Il celebre enologo in cantina
Vezzola non si ferma qui. «Alla domanda su cosa ne pensasse dei tanti stilisti che continuamente si facevano largo nel mercato,
Coco Chanel rispose: “Sono bravissimi, ma non condivido il loro modo di cambiare moda con grande frequenza. Io ho dovuto difendermi creando il mio stile”. Lei non ha fatto gli abiti per le donne ricche, ma per le donne belle che vogliono essere ancora più belle per i loro mariti».
Tradotto nel vino? «Io non faccio il vino per quelli che vanno in giro con la Lamborghini e bevono champagne costosi con i soldi del papà e della mamma. Io faccio il vino per le persone colte, le persone brave, che lavorano, che hanno voglia di crescere, di misurarsi con la bellezza».

Uno scorcio della cantina di affinamento dei vini
Il concetto di bellezza viene visto davvero a 360 gradi: una bellezza che nel tempo si trasforma in maturità, per un fascino inarrestabile. «La mia intuizione – riprende il discorso
Mattia Vezzola – è di legare il valore del vino alla longevità. Tutto quello che porta alla longevità è legato alla qualità di ogni gesto che fai, tutti i giorni. La qualità del vino deve essere un prerequisito. Dov'è il valore? È nella capacità di quel vino di vivere 60 anni, 70 anni. Allora io spiego ai ragazzi che a 35 o 36 anni si è tutti affascinanti, ci mancherebbe altro che non lo fossero. Ben altra cosa è essere affascinante a 56, 66, 76, 86 anni. E come si fa ad arrivare lì? Si fa attraverso l'educazione che hai avuto, i libri che hai letto, i viaggi che hai fatto, saper ascoltare le persone, non avere il valore del possesso ma della condivisione, saper perdonare, saper amare… Sono tutte cose che ti portano in quella direzione. Allora puoi arrivare a 86 anni ad essere affascinante. E anche per il vino è la stessa cosa».
«È chiaro che bere un vino appena fatto ti dà una soddisfazione – continua l’enologo – ma berlo dopo 10 anni, 20 anni, 30 anni, 50 anni o anche di 60 anni è tutta un’altra cosa. Certo bisogna avere il linguaggio per poter capire un vino di 60 anni. Perché altrimenti è come se mettessimo un imbianchino davanti a un dipinto di Picasso, che potrebbe dire “ma chi l’ha fatta questa cosa qui?”. Ecco perché ti dico che il vino, se non è cultura, è perdente».

Al lavoro tra botti, tonneaux e barriques
Il dono dell’intuizione, come aveva già detto, deve essere unito comunque a cultura, studio e ricerca. «L’industria in generale, dalla moda fino anche al vino, rincorre il mercato. Ci sono vini di tecnologia – non discuto se sono buoni o meno – che sono prodotti per accontentare o per stimolare un certo tipo di mercato. la viticoltura di cui parlo io è una viticoltura di origine, che riguarda la vocazionalità e la difesa dell’origine del terroir. È l'esempio che faccio sempre della torta di mele: se i nostri figli non assaggiassero la torta di mele fatta in casa dalla nonna, penserebbero che quella confezionata, industriale, sia la torta di mele di riferimento».
«La viticoltura vocazionale ha il compito non di seguire il mercato, ma di educare il consumatore a non cambiare – riprende Vezzola – E questo vale per il tortello con la zucca, vale per il pizzocchero, vale per la mozzarella, vale per il rosé. Perché la difesa dell’identità dovrebbe essere il valore primario di noi italiani. A noi manca ancora la coscienza civica di essere fieri di questa unicità, ma è quello che devono fare i giovani di oggi».

L'assaggio delle basi spumanti direttamente in cantina, per valutare il futuro dei vini
Ma
Mattia Vezzola ha mai seguito le mode? «Mai. Noi siamo persone che fanno le mode».
Dopo questa chiacchierata, l’assaggio dei vini potrebbe passare in secondo piano. Invece è l’esatto contrario, perché nei suoi vini Mattia Vezzola metta tutta la sua filosofia di vita, il suo carattere, la sua energia e, soprattutto, la sua intuizione. Partendo proprio dalla cantina, dove giochiamo con i mosti appena fermentati di Chardonnay e Pinot Noir, annata 2025, che diventeranno poi le bollicine con il marchio Mattia Vezzola. Ma con questi anche assaggi di vini “di riserva” 2024, 2019 e 2018, che contribuiscono poi a formare la Cuvée finale. Pulizia, finezza, rispetto dell’annata e identità territoriale: la filosofia di Vezzola si incarna in questi (e in altri assaggi) in cantina: «Abbiamo 67 tipologie di terreni diversi, nel nostro territorio – spiega – che si possono capire solo assaggiando i singoli vini realizzati dai differenti vigneti». Da botte a botte, l’assaggio mostra come le piccole sfumature, poi sommate, possano dare vini dalle grandi sfaccettature.

Grande Annata Brut Mattia Vezzola, Grande Annata Rosé Mattia Vezzola, RosaMara e Molmenti Costaripa
Le bollicine sono comunque uno degli amori di
Mattia Vezzola. La realtà, assaggiandole, è che dal vino più semplice al millesimato più importante, ogni vino ha un proprio carattere. La qualità, come detto da
Vezzola, è un prerequisito. Ma in degustazione si capisce come si possa fare un passo in avanti, dando personalità e identità. A partire dal
Brut Mattia Vezzola (
Chardonnay in purezza, 36 mesi sui lieviti), fino alla
Grande Annata Brut (
Chardonnay 100%, 60 mesi sui lieviti) e alla
Grande Annata Rosé (
Chardonnay 80% e
Pinot Noir 20%, 60 mesi sui lieviti). E quando si parla di longevità, di essere belli anche con qualche anno in più, questi spumanti lo sono sicuramente, ampliandosi nel tempo.
E così avviene anche nel Rosé: il RosaMara (60% Groppello, il resto sono Marzemino, Sangiovese, Barbera) è il vino bello da giovane, fresco e ammiccante. Il Molmenti (stesso uvaggio) è il fascino della maturità, con due anni di affinamento in tonneaux e almeno tre in bottiglia. L’intuizione e la longevità.