05-01-2022
Matteo Baronetto, Enrico Crippa, Niko Romito, Enrico Bartolini, Antonio Guida: tra gli "Oscar 2021" di Gianni Revello
Nel 2021, in un anno che mai abbiamo vissuto così, penso ciascuno abbia cercato di ritagliarsi delle porzioni di normalità. Continuare ad andare al ristorante è stato uno dei modi. Per noi e per loro. Tra i visitati (meno del solito), il ristorante dell’anno per me è stato il Reale di Niko Romito, senza alcun dubbio, tra altre visite in Italia e Francia con cuochi sempre di grande valore. Quest'ultimo peraltro è stato l’unico Paese straniero dove - per vicinanza - sono stato, in tre occasioni, in attesa di poter tornare in questo 2022 intanto nei Paesi Baschi, al Mugaritz di Andoni Aduriz, di Ferran Adrià degno erede, capace soprattutto di non copiare nessuno e di non perdere la propria anima.
Tornando su Niko Romito: mai come in quest’anno è stato tanto chiaro il fulcro del discorso, credo ancora nessuno abbia messo l’accento su questo punto essenziale. Ossia: lui è l’unico grande cuoco italiano mai toccato dalla grande cucina francese (pur con tutto il rispetto che va portato e che porto a questa cucina). Per trovare qualcosa di simile bisogna andare ben ben indietro nel tempo, quando l’Italia pur divisa era ancora un perno indiscusso della cultura occidentale. Non è un caso la presenza al Reale, fino a poco tempo fa fisica, ora solo con le opere, del compianto grande artista Ettore Spalletti. Il quale, saltando tutto un certo genere di contemporaneità che si trova nel mondo un po’ dappertutto, s’è fatto erede della prospettiva aerea leonardesca e della sensibilità visivo-tattile di opere comprensibili non per fuggevole indiretto sguardo, ma solo per esperienza diretta, con l’occhio della mente, com’è per l’arte della cucina la mente in interazione e in dialogo tutta in quanto organo del gusto.
Niko Romito a Identità Milano 2021, foro Brambilla-Serrani
E però ancora la cultura dell’ammucchio (magari solo un po’ meno bistrattato, ma non sempre) ogni tanto torna, e piace come grande nuova a chi non ha conosciuto e/o capito né la "tradizione", né Marchesi e sua (unica) scuola e suoi originali continuatori e suo influsso. E allora, senza queste fondamenta atte a reggere il discorso del gusto, che si fa? Si va giù d’immaginaria nonna e antenati (ma quando mai) e si va giù di materia prima (che, quando c’è, per carità, averne. Che qualcuno, non tutti, dalle nostre parti pure ce l’ha).
Insomma in definitiva Marchesi (e pochi altri, faccio solo un nome: Fulvio Pierangelini) la cucina italiana l’ha reinventata. O che: credete la cucina italiana siano i ‘primi’, o gli stracotti, o il foco...
La nostra via da seguire, quella per la quale ci ammira il mondo, sta in quel misto di forza, di idea-forma-sostanza e di intelligente eleganza delle nostre creazioni in ogni campo d’industria, arte, tecnica, scibile. Lasciamo il rusticoso al nato vecchio e al turista che viene a fare il suo numero per attaccare ad esempio giovani di valore quali i Bros. Logico, se non si modifica la nostra immagine di cucina nel mondo (la cucina italiana sarebbe... semplice! Il popolo... schietto! Il paese bello! Eccetera). Ma, smettendola di prender tutto per buono, lo vogliamo dare o no finalmente un po’ più di valore aggiunto alle nostre cose che più meritano? Non si tratta di lusso, di consumo elitario. Si tratta di creare un immaginario che produca valore vero che poi si riverberi su tutto un settore che di valore, nel momento della ripartenza internazionale, ne avrà bisogno come dell’aria.
Nell’anno appena trascorso in Italia ho avuto grandi riconferme con una cucina di valore internazionale al Piazza Duomo di Enrico Crippa e anche al Del Cambio di Matteo Baronetto, entrambi in nuova creativa forma.
La celebre Gelée de caviar à la crème de chou di Joël Robuchon, 1981...
...ripresa in versione caliente da Ferran Adrià nel 1998
Lo stesso a Milano per Antonio Guida al Seta (in forte crescita, con sempre forte la matrice del mitico Pierre Gagnaire) e per Enrico Bartolini, guarda caso anche lui passato da Gagnaire, al Mudec.
Sono mancato invece, per le contingenze dell’anno, da Le Calandre, che da tanto ogni volta in qualche nuovo tratto mi sorprende. Affascinante tutto l’insieme del percorso di Massimiliano Alajmo dal 2000, e con molto tragitto ancora davanti.
Volendo esercitarla (ma dove sarebbe? In quelle poche righe? In quei tre-quattro simbolicchi? Nelle foto tutte uguali? Nel marketing e promozione? Ma la più bella è quella che dice che la "critica" se la farebbero ormai gli stessi ristoranti)... Dicevo: volendo esercitarla, la critica, intanto non è cronaca. E critica non è, in caricatura del senso del termine, il "criticare"; ma critica sarebbe piuttosto cercare di capire, di vedere e di comporre tutto il quadro nel quale l’opera si situa, non perdersi nel particolare; né si riduce alla laude o alla stroncatura, di questo o di quello, in punto e in punto e virgola, e neppure sta nel palesare ad altri i propri gusti (grazie, mo me lo segno! Come diceva, grande, quel tale). La critica può comparire solo quando si capisce che i propri gusti sono tanto un proprio bagaglio che un proprio limite.
Indimenticabili a Senigallia il Lab20 e il menu Caccia, ma ho mancato invece e mi dispiace moltissimo il Lab21 di Mauro Uliassi, già prenotato con un caro amico e poi dovuto disdire a causa dell’unico periodo di défaillance che ho avuto quest’anno.
Gianluca Gorini a Identità Milano 2021, foro Brambilla-Serrani
Molte novità nella Liguria dove vivo. Intanto l’Orto by Jorg Giubbani, fino a pochi mesi fa sconosciuto anche alle guide, per me la scoperta dell’inizio anno tra i giovani, sicuro di lui sentiremo ancora parlare. Grande fermento in area Santa Margherita-Portofino, con Carlo Cracco all’ex-Pitosforo, con i Cerea al DaV in piazzetta, con un breve, e come sempre folgorante, passaggio di Luigi Taglienti allo Splendido, con la crescita della Langosteria a Paraggi (questa già proiettata a Parigi allo Cheval Blanc - con ogni probabilità il miglior hotel della Ville Lumière - dove l’ho vista in gran location e gran forma). A Chiavari in progressione anche il Duo di Primiceri e De Prai. Lo stesso la Spurcacciuna di Tiranini e Perata a Savona. A Genova sempre al top Il Marin di Marco Visciola. Ma da riprovare con l’arrivo di un nuovo cuoco, Graziano Caccioppoli, il San Giorgio (leggi qui, ndr).
Così in Italia dove, per quanto ho potuto, sono stato anche in altri. In tanti altri invece non sono riuscito ad andare, e mi sono mancati.
Arnaud Donckele
Sono tornato anche da Cédric Grolet, uno dei maggiori esponenti della migliore nuova pasticceria francese, che dà ancora lezione, ora con un alleggerimento in grassi e carboidrati e un arricchimento in freschezza e pulizia del gusto dato da un utilizzo (alta scuola) dell’elemento frutta (vedi anche Sandro Micheli al Louis XV, Jessica Préalpato con Alain Ducasse, Maxime Frédéric al Plénitude, la pasticceria del Guy Savoy, de La Vague d’Or, eccetera). Infine, a Parigi notevoli le due panetterie (e più) Du Pain et des Idées e Boulangerie Utopie.
Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose
a cura di
Ligure, appassionato di arte e gastronomia, nell'attesa di ciò che mangerà talvolta scrive di ciò che ha mangiato: buono da scrivere, buono da mangiare
GIGANTI. Alain Ducasse, 63 anni e 3 ristoranti con 3 stelle Michelin (Montecarlo, Parigi, Londra) e Pierre Gagnaire, 69 anni e anche lui 3 ristoranti col massimo del blasone (Parigi, Londra e Tokyo). foto gettyimages
Dylan Watson-Brawn, originario di Vancouver, classe 1993, al lavoro da Ernst a Berlino, Germania, 118° nella World's 50Best 2019 (foto andershusa.com)
Lenticchie e ostriche, uno dei piatti a rotazione quotidiana di Le Clarence, indirizzo in grande ascesa a Parigi (foto www.gillespudlowski.com)