13-02-2022

Lago e territorio nella cucina della complementarità di Stefano Zanini, al ristorante MoS di Desenzano del Garda (Brescia)

Siamo tornati al ristorante dell'ex-sous chef di Martina Caruso, e del socio e restaurant manager Mattia Moro. Idee chiare, giovani e tanta spontaneità portano in tavola piatti e pensieri di fresca autenticità

Stefani Zanini, classe 1996, è lo chef del MoS, i

Stefani Zanini, classe 1996, è lo chef del MoS, il ristorante ideato assieme all'amico e collega Mattia Moro (Restaurant Manager e e sommelier)a Desenzano del Garda, in provincia di Brescia, inaugurato lo scorso maggio. Originario di Peschiera del Garda, dopo importanti esperienze all'estero e tre anni alla corte di Martina Caruso (gli ultimi due in qualità di sous-chef) presso l'Hotel Signum di Salina, torna a casa con l'ambizione di creare uno spazio in cui far crescere la sua cucina

Non ci sono ancora villeggianti, ma una calma dolce, come le acque del lago e sullo sfondo, un cielo velato e grigio si fonde con lo spettro argenteo del Garda. L’aria s’increspa a mano a mano che i vicoli di Desenzano ti conducono al porto, ma poco importa se le mani si raffreddano: presto è ora di pranzo. Si fiuta intorno la eco di forestiere spadellate di spaghetti allo scoglio o piogge devastanti di fritture di calamari, assieme a “pizze mille-gusti-più-uno” che comunque allietano tanti turisti d’Oltralpe. Scartiamo questa opzione velocemente e preferiamo bussare alle porte di MoS, la creatura dello chef Stefano Zanini e del suo socio, collega, amico, ex-compagno di scuola alberghiera, Mattia Moro, che lo accompagna in sala. Quando ve ne abbiamo parlato la prima volta diversi mesi fa, il ristorante aveva aperto da poco – nasce nel maggio del 2021 – ma già ci aveva intrigati (ne scrive Carlo Passera nel suo articolo Largo ai giovani: siamo stati al MoS di Desenzano), certo con qualche sbavatura da sistemare, intensità da domare, ma ciononostante si fiutava qualcosa di buono, qualcosa di nuovo. Soprattutto ci deliziava immaginare il futuro del MoS, inevitabile congettura considerata la giovane età dei due (classe ’96 il primo, classe ‘95 il secondo). Non abbiamo atteso molto e siamo tornati curiosi e famelici, selezionando per la visita la stagione che ci sembra più adatta: quella dell’evoluzione.

Uno dettaglio della sala del MoS Ristorante, progettata dal designer Nicola Falappi di Studio 40

Uno dettaglio della sala del MoS Ristorante, progettata dal designer Nicola Falappi di Studio 40

Eccoci dunque, largo al piccolo mondo del MoS e menzione dovuta, prima ancora di addentrarci nel pensiero e nel gusto, è la vivacità dell’ambiente: un collage di colori e materiali, di forme; maioliche, legno bruciato, vimini, vernici e parati, una lunga panca con sedute in pelle, tovagliato sì, tovagliato no. «Non lo avremmo mai immaginato così – confessa Mattia – sia perché il locale che ci ha preceduti era da rimettere completamente a nuovo, molto anni ’80, molto malmesso. E soprattutto perché il designer – Nicola Falappi dello Studio 40 - che ci ha seguiti è riuscito a catturare qualcosa che non avevamo visto, che non era nei nostri piani, ma ci è piaciuto un sacco». Quindi, un gioiellino d’italianità, di un’artigianalità assai dichiarata, cromatica, lucente e meno monotematica.

Mattia Moro, classe '95, è Restaurant Manager e sommelier del MoS. Piuttosto che prediligere gli abbinamenti vino portata dopo portata, crea un dialogo con l'ospite, cercando di comprenderne i gusti e consente, attraverso prospettive e calici diversi, di mostrare un territorio davvero eterogeneo

Mattia Moro, classe '95, è Restaurant Manager e sommelier del MoS. Piuttosto che prediligere gli abbinamenti vino portata dopo portata, crea un dialogo con l'ospite, cercando di comprenderne i gusti e consente, attraverso prospettive e calici diversi, di mostrare un territorio davvero eterogeneo

Ora, l’anticamera del MoS è sicuramente l’isola, Salina, precisamente alla corte di Martina Caruso, dell’Hotel Signum dove Stefano è sous-chef nell’ultimo biennio di permanenza, mentre Mattia, arriva un anno dopo di lui, per entrare nel corpo di sala. E Salina è acqua, una materia che, oggi, non muta nella forma, quanto invece nel sapore; ma è anche isola, e tutto ciò che la sua conformazione morfologica comporta, dunque, ingredienti non sempre reperibili, disponibili in tempi scanditi settimanalmente, alternati a quantità improvvise da gestire: «Dalla battuta di pesca potevano arrivare tonnellate di triglie, che andavano sfilettate e “studiate” per tirarne fuori un piatto, senza che potessimo aspettarci altro». Ma il limite, talvolta, è la strada che porta alla sostenibilità, a una riflessione accesa sulla disponibilità effettiva della materia, quindi ciò che l’ambiente ti suggerisce di usare. Un agire che, per Stefano, si trasferisce dal mare al lago, dove d’altronde nasce.

Eppure, la cucina del MoS non è di solo lago, ma di tutto il territorio che la circonda, dalle sponde del Garda fino alle colline bergamasche. Senza porsi troppi limiti percorre, piuttosto che la strada del momento, quella del gusto e questo implica una ricerca “assoluta” dell’ingrediente, facendo a meno di predilezioni particolaristiche perché la materia più interessante è sempre la prossima che Stefano utilizzerà, oltre che irremovibili punti cardine, come la trota: impossibile toglierla dal menu. È una cucina che sfiora spesso un senso di affidamento “incontrollabile” sulle cotture (come quella in creta della faraona) e il piacere della complementarità, di una dualità che consente a due binari apparentemente opposti di incrociarsi, per creare equilibrio (che è anche il titolo di uno dei menu degustazione in carta).

Il benvenuto della cucina: rapa rossa, ripiena di una confettura alla rosa canina, nespole e caco; caco cotto in grasso d’anatra ed aromatizzato al rosmarino servito con brodo di trota da bere

Il benvenuto della cucina: rapa rossa, ripiena di una confettura alla rosa canina, nespole e caco; caco cotto in grasso d’anatra ed aromatizzato al rosmarino servito con brodo di trota da bere

Faraona alla creta e conchiglie del Delta del Po: pulita, incontaminata da fondo o sugo alcuno; la sua ricchezza è nella farcia cremosa. L’unico vegetale in accompagnamento è un radicchio di Castelfranco

Faraona alla creta e conchiglie del Delta del Po: pulita, incontaminata da fondo o sugo alcuno; la sua ricchezza è nella farcia cremosa. L’unico vegetale in accompagnamento è un radicchio di Castelfranco

«Mi spiego meglio: per raggiungere una cucina libera e spontanea, partiamo proprio da quest’ultimo elemento, la complementarità. A poco a poco ci stiamo rendendo conto che unire due proteine di origine diversa ha senso quando riusciamo ad ottenere quella dimensione di gusto che intendiamo ricreare, senza stravaganze: così, non ho aggiunto sale nella preparazione della faraona cotta in creta, ma ho recuperato i molluschi del Delta del Po per trasferire la loro salinità, quindi vongole e cozze, un’estrazione stessa del Delta. È una connessione territoriale oltre che di ingredienti.

Il taglio della faraona alla creta

Il taglio della faraona alla creta

Come pure, per questa stessa ricetta, abbiamo recuperato un’usanza (mos, d’altronde, è consuetudine) dei cacciatori di lasciar cuocere gli uccelletti beccati, sotto terra e sotto le braci, quando la caccia era ancora severamente vietata. E questa complementarità della materia la estrapoli in tanti dei nostri assaggi: dalla pecora alla brace lardellata con l’anguilla o negli spaghetti ragout e bottarga. La pasta viene cotta in un ragout di manzo bollente, da cui deriva la corposità di questo primo piatto. Ma se chiudiamo gli occhi, se non avessimo la consapevolezza che di fatto ci sia un sugo ricco di carne alla base, la mente ti condurrebbe in riva al mare, con un piatto di spaghetti con bottarga tout-court. Al mare, sì, ma con bottarga di trota».

Spaghetto ragout e bottarga

Spaghetto ragout e bottarga

Pecora delle alture bergamasche, lardellata e alla brace: nella salsa dolceforte tornano quelle spinte di intensità da domare che tendono a coprire l’animale – resta forte il sentore di brace

Pecora delle alture bergamasche, lardellata e alla brace: nella salsa dolceforte tornano quelle spinte di intensità da domare che tendono a coprire l’animale – resta forte il sentore di brace

Di qui, un nuovo capitolo: il lago e i suoi “frutti”. E restiamo sorpresi quando ci sentiamo dire che, non solo lontani cittadini delle grandi città, ma anche la gente di lago nutre ancora forti pregiudizi verso il pescato lacustre. Fatica ad entrare nelle cucine domestiche e tutt’ora i turisti tedeschi - ma non solo loro - arrivano al MoS e ti chiedono perché non vien servito anche del pesce di mare, magari uno spaghetto alle vongole. Per coerenza e rispetto di un tripudio di varietà ancora inesplorate, anche dallo stesso Stefano, che si affida alla saggezza dei pescatori per conoscere le specie e consolidare una cultura, senza però che un limite anatomico o gustativo del pesce, condizioni la sua creatività: «Creare implica anche un sacrificio. È facile impiegare un pesce pieno di lische per farci una zuppa, perché puoi “rovinarlo” e nessuno se ne accorge. Diversamente è cercare di tenere le carni quanto più intatte possibili. Utilizziamo trote, lavarelli, carpe, tinche, agoni e ancora altro, li “comprendiamo” e li caratterizziamo con la tecnica. Quindi, ricaviamo la colatura di trota, o la sua bottarga, per esempio: un uso completo e assoluto della materia».

Trota marmorea alpina, carciofo laccato e agrumi invernali: la trota conquista un’inusuale e piacevole grassezza, vivacizzata dalla freschezza degli agrumi invernali. Si consiglia di mangiarne la pelle

Trota marmorea alpina, carciofo laccato e agrumi invernali: la trota conquista un’inusuale e piacevole grassezza, vivacizzata dalla freschezza degli agrumi invernali. Si consiglia di mangiarne la pelle

Friturin di lago, con lavarello aperto a libro e fritto delicatamente solo sul lato della pelle, così da lasciare intatta la succosità delle carni. Viene accompagnato da una misticanza di erbe selvatiche

Friturin di lago, con lavarello aperto a libro e fritto delicatamente solo sul lato della pelle, così da lasciare intatta la succosità delle carni. Viene accompagnato da una misticanza di erbe selvatiche

Il coro di sapori che si susseguono sul palato ti consentono di percepire che la complementarità, la dualità regnante, oltre che nel singolo accostamento nelle pietanze, esiste soprattutto nella mente di Stefano, ed è il suo motore creativo: passi da una zuppa di cipolle con il suo ragout, Bitto estivo, Bagoss e tartufo nero, morbida, dolce, dalla sapidità controllata - quasi assente - all’intensità Mediterranea degli spaghetti alla bottarga, perpetuata anche nel Pacchero (ne viene servito uno sola) con conserva di pomodori estivi fatta in casa e ribes in conserva, aromatizzati alle erbe con aglio e olio, che esplodono proprio come un pomodoro, mentre la nepeta diventa il basilico d’inverno.

La cipolla, il suo ragout con Bitto estivo, Bagoss e tartufo nero

La cipolla, il suo ragout con Bitto estivo, Bagoss e tartufo nero

Pacchero ai pomodori in conserva, colatura di lago e nepeta

Pacchero ai pomodori in conserva, colatura di lago e nepeta

Fino alla succosità del friturin, il fritto di lago, dorato e croccante solo dal lato della pelle, con tutta la ruvidità della misticanza selvatica che lo accompagna. E poi dolcezza, a tutti gli effetti, così come vorresti fosse sempre: generoso, ricco, equilibrato negli zuccheri ed estremamente gioioso. Come una tarte tatin alla mela renetta, con zabaione al marsala e un “bicchiere di latte al cucchiaio”, il gelato latte, ricotta e miele d’acacia.

Tarte Tatin: (meravigliosa) alla mela renetta, con zabaione al marsala e un “bicchiere di latte al cucchiaio”, il gelato latte, ricotta e miele d’acacia

Tarte Tatin: (meravigliosa) alla mela renetta, con zabaione al marsala e un “bicchiere di latte al cucchiaio”, il gelato latte, ricotta e miele d’acacia

Non gli piace guardare altrove a Stefano, né puntare a obiettivi premeditati; i riconoscimenti qualora arrivassero, saranno la conseguenza della devozione pura alla cucina e alla creatività: guarda il lago, al moto perpertuo della creatività, alla sorpresa dell’ingrediente. Senza presunzione, con allegrezza.


Dall'Italia

Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose

Marialuisa Iannuzzi

di

Marialuisa Iannuzzi

Classe 1991. Irpina. Si laurea in Lingue e poi in Studi Internazionali, ma segue il cuore e nella New Forest (Regno Unito) nasce il suo amore per l'hospitality. Quello per il cibo era acceso da sempre.  Dopo aver curato l'accoglienza di Identità Golose Milano, oggi è narratrice di sapori per Identità Golose. Isa viaggia, assaggia. Tiene vive le sue sensazioni attraverso le parole.

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