Certo che "Retrobottega" non gli rende giustizia. E' un nome carino, buffo, antico, memorabile e "di memoria" (era il nome del primo ristorante aperto da Giuseppe Lo Iudice e Alessandro Miocchi in via della Stelletta, a Roma). Ma il nome del nuovo ristorante del due giovani cuochi, con esperienze da Anthony Genovese e da Enrico Crippa non gli rende certo giustizia. Eppure... ci sta.
E' un luogo singolare, Retrobottega. Pulito, netto, scuro, riflettente, con un non so che più di Milano/giapponese che di piazza Navona, dietro la quale si trova. Certamente non è un ristorante romano, sia nell'offerta gastronomica sia nella cornice architettonica. E di Retrobottega ci ha colpito anche: lo studio accurato delle luci (finalmente! Quanti ristoranti con luci sbagliate abbiamo visto!); la scelta dei materiali, legno e acciaio in un susseguirsi di scure teorie studiate per far risaltare il colore e il contenuto dei piatti. Questa "diversità" è diventata una delle valenze di marketing del ristorante, che attira clienti che anche a Roma cercano un cucina creativa, in un ambiente innovativo.
Ma soprattutto ci ha colpito la sorridente, accurata, fluida attenzione del servizio, puranche in un tavolo comune da 10, dove non dev'essere stato facile mantenere il punto anche di fronte all'esuberanza partenopea dei nostri compagni di tavola. E invece... tutto liscio.

Alessandro Miocchi, co-chef con Giuseppe Lo Iudice

Bottoni di lingua, prezzemolo e pepe verde
Dopo gli amuse bouche, si parte con un carciofo molto buono (carciofo, caldarroste, menta e pecorino). Segue un involtino di erbe di campo e cardi in rete di maiale (straordinario: crepinette di foglie, cardi e ravanelli). Poi Animelle e puntarelle, Bottoni ripieni di lingua, prezzemolo e pepe verde e infine piccione. Per dolce, Miele e mandarino. Niente da dire: tutto buono. Tutto nuovo. Ma, come al solito, anche questa volta mi soffermo e sottolineo un aspetto di grande unicità di questo luogo, che lo rende fortemente caratterizzato: la differenza.
Retrobottega e' un posto differente. E' un posto unico, almeno a Roma. E' un ambiente architettonicamente lineare, minimalista, senza essere freddo. Diverso dal barocco classico ristorante romano, anche di livello. E' un ambiente sapientemente illuminato. E' un ambiente differente. E questa differenza, accoppiata all'unicità e bontà del menu, ne fa un posto da provare e in cui tornare. E qui, lasciatemelo dire, proprio perché un ristorante si sceglie per la cucina ma ci si torna per la sala, non possiamo non sottolineare un aspetto che ci ha colpito: la grande gentilezza di tutti, da Alessandro in banco/cucina a Giuseppe in sala e a tutti i ragazzi, di qua e di la del pass.

Piccione, tamarindo e topinambur
Una gentilezza che sempre più mi affascina, quando la incontro, e che mi fa dire "io qui ci torno". Una gentilezza e un affiatamento tra tutti che ormai ritrovo sempre più nella nuova ristorazione, dove ha sostituito le rigide regole del servizio a tavola. Meglio un sorrriso in più e una posata d'argento in meno. Da Retrobottega, i sorrisi si sprecano.
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