Chi pensava, soprattutto dopo il Covid, che il Vinitaly fosse destinato a un lento e triste declino, dovrà ricredersi. Almeno è questa la sensazione che arriva direttamente dai produttori durante le prime giornate della 56esima edizione del Salone internazionale del vino e dei distillati, nella consueta location di VeronaFiere a Verona.
Soprattutto sembra che Vinitaly abbia resistito, se non addirittura “respinto con perdite”, la concorrenza delle altre due fiere internazionali, il Wine Paris a Parigi e il ProWein di Düsseldorf, eventi che si svolgono tutti nel giro di un mese o poco più.
Ma come è possibile tutto ciò? Una indicazione arriva da
Francesco Ricasoli, titolare della
storica azienda del
Chianti Classico. «Quest’anno abbiamo l’agenda degli appuntamenti strapiena, non succedeva così da diverso tempo – spiega – Il
Vinitaly funziona, soprattutto per mantenere o creare nuovi contatti. Credo invece che incrementeremo la nostra presenza a Parigi, mentre faremo il contrario per Düsseldorf. Ma
Vinitaly rimane sempre il punto di riferimento per il vino italiano. Una fiera più nazionale che internazionale, forse, ma che proprio per questo, essendo concentrata solo sui nostri prodotti, continua ad avere una certa attrattiva».
E’ pienamente d’accordo
Filippo Mazzei, titolare con il fratello
Francesco delle varie anime del gruppo
Mazzei (
Castello di Fonterutoli,
Belguardo e
Zisola). «
Vinitaly “distrugge” Parigi e Düsseldorf. Non c’è dubbio. Rimane un punto di riferimento e lo dimostra il continuo interesse da parte dei visitatori. E soprattutto ci sono molti operatori».
L’arma vincente, quindi, sembra essere quella di essere strettamente legati al territorio italiano. Una fiera del vino in Italia, concentrata sui produttori italiani. E un obiettivo chiaro e semplice: supportare il settore enologico italiano che, in questo momento, secondo i dati forniti dall’Uiv (Unione Italiana Vini) rappresenta addirittura l’1,1% del Pil complessivo italiano, praticamente come quasi tutto lo sport italiano, compreso il calcio. Il tutto per un valore di 45,2 milioni di euro. Cifre da capogiro.
«Il
Vinitaly funziona perché parla di Italia – sostiene
Davide Acerra del
Consorzio Tutela Vini d’Abruzzo – Resta il punto di riferimento. Qualche anno fa si dava la fiera per morta, invece adesso dobbiamo ricrederci, perché è quella, in Europa, con la maggiore affluenza. Purtroppo stanno però mancando gli operatori stranieri, ultimamente».
Una riflessione arriva anche da
Luca Pollini, direttore del
Consorzio della Maremma Toscana. «A Parigi non ci siamo andati, come consorzio, ma hanno partecipato alcune aziende della nostra zona. Il
Vinitaly è la manifestazione di riferimento per i consorzi italiani, perché è in Italia, ed è contenitore che ti permette di confrontarti con tutto il mondo della produzione e della distribuzione. Per quanto riguarda gli operatori, gli asiatici sono assenti, ci sono meno americani, ma riscontriamo una grande presenza del Nord Europa».
E Düsseldorf? «La Germania è una nazione quasi non produttrice di vino, quindi super partes, ma abbiamo notato dei problemi netti di partecipazione. Soffre la concorrenza forte di Parigi, perché sta acquisendo canoni di internazionalizzazione». Mentre il fatto di essere una fiera estremamente “Made in Italy” diventa un’arma vincente per il Vinitaly. Con un brindisi a chi stava già celebrandone il funerale.