03-02-2016

Nel calice di Vittorio Moretti

Il futuro del Franciacorta, Gualtiero Marchesi e Alain Ducasse. L'imprenditore si racconta

Vittorio Moretti ieri pomeriggio al ristorante Te

Vittorio Moretti ieri pomeriggio al ristorante Terrazza Triennale di Milano. E' intervenuto per illustrare gli obiettivi del Consorzio di Franciacorta, di cui è stato nominato da poco presidente. Classe 1941, costruttore, attraverso la holding Terra Moretti controlla marchi quali L'Albereta, Bellavista, Contadi Castaldi, Petra e i cantieri navali Maxi Dolphin ("Ma quest'anno li chiuderemo", ha rivelato ieri). Ha lavorato con chef del calibro di Gualtiero Marchesi e Alain Ducasse, entrambi rapporti oggi conclusi

L'imprenditore Vittorio Moretti ha scelto la Terrazza della Triennale di Milano per il debutto pubblico nelle vesti di presidente del Consorzio di Franciacorta. Un mandato che ha ereditato un mese e mezzo fa da Maurizio Zanella di Ca' del Bosco, in un momento in cui le bollicine bresciane registrano un lieve incremento: «Il 2015», spiegano i comunicati del Consorzio, «ha segnato un aumento delle vendite del 7,1% in Italia e del 7,5% all'estero». «Ma i nostri prodotti devono avere anche ancora più valore», ha preso a un certo punto in mano il microfono il patron di Bellavista, Contadi Castaldi e Albereta, «E par far sì che tutto questo accada, occorre dare impulso all'intero territorio». 

Per noi è stato un momento utile per fare il punto sulle nuove ambizioni consortili ma anche per toglierci qualche curiosità legata alla ristorazione, un settore che ha sempre visto Moretti impegnato in prima linea sul modello francese: grandi chef che cucinano in grandi resort.

Spesso si sente dire che la Franciacorta è la Champagne italiana. Quando potremo dire che la Franciacorta è la Franciacorta?
Noi abbiamo imparato dal modello Champagne, non ci sono dubbi. Quando visitai la regione nel 1975, rimasi abbagliato. E pensai: dobbiamo replicare un modello simile dalle nostre parti. Un modo nuovo di comunicare non solo il vino, ma un territorio intero. E cominciai a costruire un campo da golf. Quando noi diciamo che la Franciacorta è la Champagne italiana vogliamo rivolgerci a chi non sa nulla di vino. E allo stesso tempo riconoscere questo debito. Ma le differenze rimangono profonde.

Il 2015 del Franciacorta ha detto 16,5 milioni di bottiglie vendute di cui oltre 1,5, circa il 10%, all'estero (soprattutto Giappone, Stati Uniti e Svizzera). L'obiettivo di Moretti è portare la percentuiale del mercato straniero al 40%

Il 2015 del Franciacorta ha detto 16,5 milioni di bottiglie vendute di cui oltre 1,5, circa il 10%, all'estero (soprattutto Giappone, Stati Uniti e Svizzera). L'obiettivo di Moretti è portare la percentuiale del mercato straniero al 40%

Quali sono?
La Franciacorta è lontana 1.000 chilometri dalla Champagne: climi e terreni sono diversi. E’ un distretto che produce il 5% di quello che esce dalla Champagne. Esprime prodotti di qualità media molto superiore, con un prezzo medio inferiore. Poi certo, lassù ci sono punte straordinarie, ma anche noi le abbiamo: quest’anno da Bellavista abbiamo venduto una magnum di Meraviglioso. Prezzo di partenza in cantina, 500 euro più iva. Li vale tutti.

Ci sono elementi di rottura tra il suo programma e quello del suo predecessore?
Assolutamente nessuno. Continuerò nel solco da lui tracciato, in totale continuità. Io e Maurizio siamo amici da sempre: lo conosco da quand’era un ragazzino perché ero il costruttore di suo padre, una parte della loro cantina la progettammo noi.

Franciacorta vuol dire anche piccoli produttori.
Sì, di 113 produttori afferenti al Consorzio, sono circa un’ottantina quelli che producono meno di 80mila bottiglie. Nel mio mandato vorrei dare molto valore al loro lavoro: nel consiglio direttivo del Consorzio ho chiesto di inserire una portavoce dei piccoli che possa confrontarsi coi grandi nomi. Lentamente ho in programma di andarli a trovare uno per uno.

Stefano Cerveni e Fabrizio Ferrari, i co-chef della Terrazza Triennale di Milano, teatro del pranzo di ieri

Stefano Cerveni e Fabrizio Ferrari, i co-chef della Terrazza Triennale di Milano, teatro del pranzo di ieri

Alla fine del suo mandato potrà dirsi soddisfatto se…?
Se avrò fatto crescere il nostro territorio e i nostri vini nel percepito dell’opinione pubblica. Se saremo cresciuti nella percentuale del fatturato estero dal 10% di oggi al 40% sul totale, che poi è la quota estera che detengono tutte le più grandi case vitivinicole italiane. Se aumenteremo in modo decisivo la percentuale delle aziende certificate che fanno biologico, ora fermo al 40%, su circa 3mila ettari complessivi.

Noi di Identità abbiamo delle curiosità legate alla sua esperienza di ristorazione. Le manca Gualtiero Marchesi all’Albereta?
Siamo sempre molto amici. Non ci manca semplicemente perché non era più lui a fare le cose ma la sua corte, con la quale non si poteva più avere a che fare per la supponenza. Gualtiero è stato un grande maestro, con un limite a mio avviso: non ha mai voluto una figura di spessore in sala. Voleva essere lui a fare anche il maître. Un volta assumemmo anche Diego Masciaga, grandissimo professionista di sala (ora al Waterside Inn, ndr). Dopo un anno scappò a gambe levate.

Avete trascorso 20 anni assieme, però.
Gualtiero è un grande personaggio, che qualche volta si lasciava andare ad annunci roboanti. Come quando in Franciacorta sosteneva che a tavola la bevanda perfetta da abbinare al cibo era l’acqua e non il vino. Sciocchezze.

Al Consorzio del Franciacorta afferiscono 113 aziende, 80 delle quali con una produzione inferiore alle 80mila bottiglie

Al Consorzio del Franciacorta afferiscono 113 aziende, 80 delle quali con una produzione inferiore alle 80mila bottiglie

Cosa pensò quando Marchesi rifiuto le stelle Michelin?
Nel suo contratto avevamo stabilito una clausola: se avesse perso una stella Michelin, se ne sarebbe dovuto andare. Nel 1996, 3 anni dopo essere entrato all’Albereta, perse la terza stella e non successe nulla. Nel 2007 avevamo capito dagli ispettori che volevano togliergli ingiustamente anche la seconda. Fu lì che lui chiese di non essere più giudicato dai francesi.

Vi siete più rivisti a Erbusco?
No, perché lui ha sempre detto che non sarebbe mai più tornato nel luogo in cui aveva passato così tanto tempo. E vissuto gli anni più belli della sua vita.

Lei è anche l’unica persona capace di portare in Italia Alain Ducasse, un rapporto chiuso da poco.
Accettò la mia proposta perché apprezzava il mio modo di essere imprenditore. Prese la gestione del ristorante, con il 49% della società. All’inizio andò tutto benissimo, poi il ristorante cominciò a perdere soldi. Rimase come consulente, mandando il suo chef di fiducia e, a volte, anche una bella fetta della brigata di Parigi. Abbiamo chiuso di recente il rapporto, in buoni rapporti. La Maremma è difficile, è una deserto dei tartari. Ma a Natale lo chef mi ha mandato una lettera carica d’affetto.


In cantina

Storie di uomini, donne e bottiglie che fanno grande la galassia del vino, in Italia e nel mondo

a cura di

Gabriele Zanatta

classe 1973, laurea in Filosofia, coordina la Guida ai Ristoranti di Identità Golose e tiene lezioni di storia della gastronomia presso istituti e università. 
instagram @gabrielezanatt

Consulta tutti gli articoli dell'autore