La fortuna di San Leonardo è, almeno in parte, legata a un vitigno “perduto e ritrovato”. E da una storia di intuizioni e lungimiranza.
Il vitigno è il Carmenère, e la storia – che parte da molto lontano – è narrata dal marchese Anselmo Guerrieri Gonzaga.

Il marchese Anselmo Guerrieri Gonzaga
«Per noi è un vitigno un po’ perduto e un po’ ritrovato – racconta – Riteniamo che il mio trisnonno,
Oddone De Gresti, sia stato il primo a portare delle barbatelle di
Carmenère, perché era un grande appassionato di vini, in particolare di quelli dell’area di Bordeaux. Era un diplomatico e si ritirò poi a
San Leonardo, dove, con sua moglie, decise di creare il loro Eden. Realizzarono, ad esempio, la villa in stile liberty, una rarità per una zona in cui prevalevano case rurali».
La passione per il vino si trasformò in attività concreta. «Decise di importare delle barbatelle da Bordeaux, tra cui pensiamo ci fosse anche il Carmenère – sottolinea Anselmo Guerrieri Gonzaga – Ma in realtà, all’epoca c’erano vigneti di cui nemmeno si conosceva l’identità…».

Il team di San Leonardo nella tenuta di Avio
Se queste restano ipotesi, la realtà documentabile ci porta al periodo subito successivo alla Seconda guerra mondiale: «In quegli anni arrivò in Italia molto
Carmenère – spiega – In realtà, non si capisce esattamente il motivo, ma pensiamo che si sia diffuso grazie alla sua capacità di garantire rese elevate con la pergola».
Non era certo il periodo in cui si puntava a coltivare meno per ottenere qualità superiore: «Queste erano terre affamate – racconta ancora Anselmo Guerrieri Gonzaga – Anche il Merlot, per dire, fu introdotto negli anni ’20 in Trentino proprio perché, allevato a pergola, garantiva rese mastodontiche. E per chi soffriva la fame, quelle erano calorie, energia pura. Il nostro direttore, Luigi Tinelli, a 14 anni, come primo lavoro, preparava la bottiglia da un litro fuori dalla cantina per gli operai e i contadini. Ognuno aveva diritto a un litro di vino per andare al lavoro, perché era più pulito dell’acqua, si conservava meglio sotto il sole e dava energia, in un tempo in cui si mangiava polenta e poco più».

Anselmo Guerrieri Gonzaga, il padre Carlo e il direttore di San Leonardo Luigi Tinelli
Così il
Carmenère si diffuse nel Triveneto, ma fu a lungo confuso con il
Cabernet Franc, di cui è parente stretto, specie per i toni vegetali. «Mio padre era convinto che fosse tutto
Cabernet Franc – spiega
Anselmo Guerrieri Gonzaga – Nel 1989 decise di aumentare la produzione di quel
Cabernet Franc che, secondo lui, stava dando ottimi risultati a
San Leonardo. Così acquistò nuove barbatelle direttamente dalla Francia».
Ma la sorpresa arrivò dopo: «Dopo il primo anno si accorse che quello non era lo stesso Cabernet Franc che conosceva… Le foglie erano diverse, così come le rese, le bacche più grandi… Voleva vederci chiaro, così chiamò Attilio Scienza. Si conoscevano bene. Insieme a Giacomo Tachis, che collaborava con mio padre dal 1985, volle capire di che vitigno si trattasse. Anche se il vivaista francese, piuttosto seccato, continuava ad affermare che fosse certamente il Cabernet Franc richiesto».
Così nasce la favola del
Carmenère che, come più volte ricordato anche dal marchese
Carlo Guerrieri Gonzaga, padre di
Anselmo, diventa il “sale” del
San Leonardo: quel qualcosa in più che rende unico il loro vino.
La storia potrebbe anche concludersi qui: il Carmenère era uno degli “ingredienti” fondamentali del San Leonardo, certamente importante, ma non ancora con una sua identità autonoma.
Anni di vinificazioni e sperimentazioni hanno poi portato alla sua elevazione come componente essenziale del grande vino rosso della tenuta.

Anselmo Guerrieri Gonzaga durante la presentazione del Carmenère
Tutto bene? Non proprio. «Nel 2004 – racconta ancora
Anselmo – tornai da un viaggio negli Stati Uniti, dove non riuscivo a vendere nemmeno una bottiglia di
San Leonardo. Era un vino troppo classico, per quei tempi, in cui si puntava su vini molto concentrati. Così andai da mio padre e gli proposi di aggiungere un tocco di
Teroldego al
San Leonardo, per renderlo più autoctono. Per fortuna si rifiutò categoricamente. E da lì ho imparato una grande lezione da mio padre: saper resistere, se si è convinti della propria idea».
Nel 2007 avvenne però una sorta di “colpo di mano” in cantina. «Quell’anno il Carmenère aveva prodotto molto e di grande qualità. Così dissi a Luigi Tinelli che poteva essere l’occasione per provare a vinificarlo in purezza, sarebbe stato il primo del genere in Italia».

Luigi Tinelli, direttore di San Leonardo, con il marchese Carlo Guerrieri Gonzaga, alla guida dello storico fuoristrada
Il direttore seguì il suggerimento e, senza dire nulla al marchese
Carlo, realizzò le prime 1.724 magnum di
Carmenère in purezza.
«Aspettammo quasi cinque anni prima di presentarlo a mio padre. Al ritorno da un viaggio, gli dissi che avevo portato una magnum di un grande Bordeaux, ma che doveva indovinare di cosa si trattasse. Gliela servii alla cieca, avvolta nella carta stagnola. Quando assaggiò il vino, disse che gli sembrava il nostro Carmenère. E ne fu felice».

Non manca l'entusiasmo ad Anselmo Guerrieri Gonzaga
Ma un vino, oltre a essere buono, deve anche essere venduto: «Andai in giro a presentarlo – conclude
Anselmo Guerrieri Gonzaga – e fu un successo. Piacque soprattutto per la sua identità così chiara e distinta. Da quel momento abbiamo continuato a proporlo, ma solo nelle annate migliori, le più adatte».
La vinificazione è identica a quella dello stesso Carmenère che compone, per circa il 30%, la cuvée finale del San Leonardo. La fermentazione dura 12-14 giorni, con lieviti indigeni. «Facciamo molti rimontaggi quotidiani, fino a cinque, tutti da cinque minuti. La malolattica avviene in cemento, segue un periodo di riposo di 4-5 mesi per decantazione naturale. Poi il vino affina per 24 mesi in legno, come il San Leonardo: una volta era 100% barrique, oggi è 70% barrique e 30% tonneaux, con solo il 25-30% di legno nuovo».

Le diverse annate di Carmenère degustate
Ma come si comporta il
Carmenère in purezza durante il tempo? Sicuramente è un vino dall’ottima longevità, come dimostrato dalla degustazione verticale dal 2010 fino al 2020.
La 2010 dimostra la forza di questo vitigno sui terreni di San Leonardo, con note terziarie che si uniscono a una frutta matura. I vini sono tutti accomunati dall’estrema eleganza, come dimostra l’annata 2015, dove è proprio la finezza a prevalere. La 2016 è un’annata che ha dato in buona parte dell’Italia ottimi risultati, e lo è stato anche in Trentino: il vino è sicuramente strutturato, piuttosto ricco, piacevole, dalla grande bevibilità.

Il viaggio nel tempo del Carmenère di San Leonardo
Le annate più recenti evidenziano come la volontà sia quella di puntare molto sul
Carmenère: le annate 2018, 2019 e 2020 rappresentano tre espressioni di grande piacevolezza, con prospettive anche di longevità assoluta.
Ecco il segreto del Carmenère di San Leonardo: piacevolezza, bevibilità, ma anche longevità. Ma soprattutto identità aziendale. Nata – forse – dall’errore mai ammesso di un vivaista francese.