08-07-2025

I migliori vini rossi per l'estate, scelti dalla redazione di Identità

Undici bottiglie con cui portare a tavola, anche nella stagione calda, tutto il buono del rosso. E qualche consiglio per servirle al meglio

Per la seconda volta, come ricorda Raffaele Foglia nella prima notizia, questa selezione estiva è dedicata ai vini rossi, che io adoro ogni mese dell’anno. Raffaele scrive cose giuste. Io ne aggiungo un’altra: si deve bere per curiosità o per assecondare i nostri piaceri, mai per compiacere qualcuno o qualcosa. Guai temere di essere giudicati fuori luogo, anzi. Se vi versate un rosso, sarete invidiati da tanti vicini a voi che non se la sentono di andare controcorrente. A un patto: evitate di provocare, ci deve sempre essere una logica nelle scelte che si fanno.

Paolo Marchi

Vini rossi d’estate, perché no?

Certe volte sono i nostri stessi sensi a ingannarci. D’estate, per esempio, guardiamo al vino pensando a qualcosa di più leggero e fresco, escludendo a priori i vini rossi. E così magari, credendo di fare la scelta giusta, ordiniamo una bella bottiglia di vino bianco, senza pensarci troppo. Magari servita fredda, anche più del necessario. Poi, dopo che ci è stata servita, diamo un’occhiata alla controetichetta, scoprendo che quel vino bianco leggero ha, magari, 14,5% di alcol. Ma era fresco…

Vogliamo, anche quest’anno come già fatto nel 2024, sfatare un mito: si può bere benissimo vini rossi anche d’estate. Anzi, il rischio è che questi vengano ancora più apprezzati, proprio perché ci stupiscono, in positivo. L’importante, lo ribadiamo, è evitare la cosiddetta “temperatura ambiente”. Il vino rosso, quando ci sono giornate da 30 gradi centigradi, va messo in frigo. Se poi fosse troppo freddo? Basta tenerlo nel bicchiere e in poco tempo si raggiunge la giusta temperatura. Bere sì, ma sempre con saggezza.

Raffaele Foglia
 


Garibaldi, il Grignolino che sorprende

Non solo buono il Grignolino di Guido Martinetti e Federico Grom ma anche grande tra i grandi. L’occasione è stata quella di una degustazione alla cieca con grandi vini rossi del mondo dove, surprise surprise, per piacevolezza ed eleganza questa ridente varietà vanificata in purezza si è piazzata, mettendo d’accordo tutti, sul podio insieme a grandi rossi italiani e non. Una piccola conferma del lavoro che Mura Mura sta facendo e che ha fatto del GaribaldiGrignolino d’Asti DOC, un punto fermo del racconto del territorio di Castiglione d’Asti e dell’azienda. La cantina con i suoi 30 ettari di vigneto nelle Langhe ha dato un nuovo impulso al territorio ponendo l’accento su vini golosi (come il grignolino), contemporanei e di grande eleganza. La vigna del Garibaldi, grande poco meno di un ettaro, si trova a 190 metri sul livello del mare e dopo la vinificazione affina in tonneaux di rovere francese da 25 ettolitri. Solo 4.865 bottiglie prodotte da abbinare sia a piatti di carne ma soprattutto di pesce, magari servito ad una temperatura più fresca, è uno dei vini ideale da consumare anche nel periodo estivo.
Salvo Ognibene


Freisa Kyè di Vajra, omaggio alle radici

Per l’estate che c’è di meglio di un vino che parla al sole e alla luna? Tanto più quando i discorsi provengono da lontano, da nonno Carlin e dalla saggezza di una generazione tramandata insieme all’amore per il territorio. Ecco perché proponiamo per un brindisi “rosso” Langhe Doc Freisa Kyè di G.D. Vajra a Barolo. Un omaggio alle radici, a quello che Milena e Aldo Vaira hanno visto sempre come un vitigno tanto antico quanto affascinante, con una sua orgogliosa identità. Questo grazie alla sua stretta parentela con il Nebbiolo. Il nome vuole dare voce alla sorpresa di chi assaggia questa Freisa, vinificata ferma e secca da un’azienda che è anche una grande squadra, una grande famiglia: chi è? Un incontro non soltanto tra sole e luna, bensì tra due vigneti: quello vicino alla cantina, con 45 anni alle spalle, e l’altro di una decina più vecchio su terreni alluvionali. La mineralità è dunque dote naturale di questo vino, accanto a profumi di fiori come la rosa e spezie, un’esplosione gentile che permette di percepire a fondo le carezze della bella stagione. L’estate è evocata dalle note dei tesori offerti dal bosco, ma anche da una freschezza di questo vino che ben si sposa con la finezza dei tannini.
Marilena Lualdi


Lunae punta sul Vermentino Nero

Molto si è detto e scritto delle Cantine Lunae, in particolare riferendosi al Vermentino dei Colli di Luni. L’Etichetta nera è un simbolo di questa produzione, uno dei vini più apprezzati e premiati dell’azienda. Ma oltre all’anima “bianca”, la cantina ligure ci fa riscoprire anche una importante serie di vini rossi. Il Vermentino Nero è un vitigno originario delle colline della fascia costiera dell’alta Toscana e dell’estrema Liguria di Levante. Lunae è stata una delle prime aziende a credere fortemente nelle potenzialità di questo vitigno, impiantando un vigneto di circa 3 ettari agli inizi dagli anni 2000. Dopo la fermentazione in acciaio, affina sei mesi in botti da 20 ettolitri. Si tratta di un vino molto espressivo al naso: floreale e fruttato, con anche un tocco di spezie dolci, per un sorso mai pesante e sempre molto piacevole. Servito alla giusta temperatura è ideale con i piatti di pesce della costiera di Levante.
RF


Klinger, la Schiava è storia e tradizione

Klinger è la derivazione del toponimo viticolo Clinga, un podere collinare incastonato tra Lavis, Pressano e la sovrastante Valle di Cembra. L’azienda è della famiglia Pilati e la gestione è totalmente affidata a tre giovani fratelli, Umberto, Enzo e Lorena, tutti con precisi compiti e altrettanto corale impegno vitivinicolo, basato su studi enologici e strategie di comunicazione vinaria. I loro vigneti sono annoverati tra i “patriarchi” in quanto alcune varietà d’uva - Nosiola, in primis - hanno oltre un secolo di vita. Quasi 70 anni hanno pure le viti di Schiava, che i Pilati vinificano rispettando canoni decisamente d’antan. L’uso del legno - botti capienti - e tanta pazienza, fino ad un anno di affinamento nei tonneaux, altri 6 mesi in bottiglia, per imprimere carattere e singolarità ad un vino decisamente scuro, chiamato con il rafforzativo germanofono Vernatsch, indicazione originaria di questa tipologia in voga tra le Dolomiti. Si presenta con una tonalità rubino brillante, con immediate fragranze di spezie e frutti di bosco, un singolare richiamo alle ciliegie mature, ma ancora croccanti.  Struttura piena, nessuna spigolosità, decisamente elegante nella sua scattante succosità, da gustare (sempre, non solo d’estate) a gentile temperatura, proprio come fosse un vino bianco.
Nereo Pederzolli


Noelia Ricci, un Sangiovese senza trucchi

Godenza è un Sangiovese in purezza, una memoria liquida di Predappio, in Emilia-Romagna. È il cru che meglio racconta l’identità di Noelia Ricci: 100% Sangiovese, appunto, nato sulle colline di San Cristoforo, a 340 metri, dove le vigne affondano le radici in marne calcaree e sabbie antiche, resti fossili di un mare scomparso. Qui il vento dell’Adriatico accarezza i filari, mentre la natura lavora in equilibrio con l’uomo. La vinificazione è essenziale, rispettosa: fermentazioni spontanee, lunghe macerazioni (45 giorni) in acciaio, affinamento in cemento crudo e poi in bottiglia. Nessuna chiarifica, nessun trucco. Solo uva, tempo e territorio. Nel calice è luminoso, quasi trasparente, ma la sua voce è profonda: frutti rossi, agrumi amari, tocchi di tè nero e terra umida. In bocca è teso, salino, dalla beva slanciata. Come la scimmia in etichetta, simbolo di osservazione e ritorno alle origini, anche questo vino guarda al passato per restituire un futuro autentico: quello di un territorio che parla piano, ma chiaro, a chi ha voglia di ascoltarlo.
Stefania Oggioni


Unlitro di Ampeleia, la Maremma da bere

Fino agli anni 80 del secolo scorso l’ordine più frequente che i commensali eseguivano in un ristorante o in un’osteria era quello di: “un fiasco di vino”. Ci sono voluti tempo e risorse – in marketing e comunicazione – per superare questa consuetudine della cultura italiana abbinata al vino dove ci si intendeva di trovare nel fiasco, un vino naturale, di pronta beva e a buon prezzo da abbinare a tutto pasto. Oggi di fiaschi se ne vedono molti meno, ma i vini rossi con quelle caratteristiche, ottimi da bere durante il periodo estivo per la loro facilità e freschezza, sono cresciuti in numero, dignità e apprezzamento grazie alla crescita del livello qualitativo. Ne è un esempio l’Unlitro di Ampeleia, cantina della Maremma Toscana, terra di coste, di lidi e di roccia sulle Colline Metallifere. Bisogna scendere vicino al mare per incontrare le vigne di Alicante Nero a cui si aggiungono in minori quantità MourvèdreSangiovese e Alicante Bouschet che creano il bouquet di Unlitro. Rievocazione dei classici vini toscani da pasto, quelli del fiasco, è ingentilito e impreziosito da metodi di coltura attuali e biologici. Bassa gradazione, nessun passaggio in legno, breve macerazione sulle bucce. Ne deriva un vino profumato, fruttato, fresco, agile e conviviale e comunque dotato di personalità e complessità. In estate, sotto le pergole o sui terrazzi vista mare, Unlitro nell’annata 2024 incontra taglieri di salumi e formaggi e, volentieri vista la provenienza, i crostoni toscani con paté di carne, olive e ortaggi. 
Maurizio Trezzi


Pongelli di Villa Bucci: oltre il Verdicchio

Villa Bucci è la cantina marchigiana fondata da Ampelio Bucci riconosciuta nel mondo per il Verdicchio dei Castelli di Jesi. Oggi, Federico Veronesi, neo proprietario della tenuta ha deciso di portare avanti il capolavoro Bucci con rispetto al passato e uno sguardo al futuro contemporaneo dei vini che si producono intorno a Ostra Vetere. Il rosso Pongelli, 50% di Montepulciano e altrettanto di Sangiovese, è uno vino immediato e molto versatile. Servito ad una bassa temperatura più bianchista è un calice estivo, e non solo, ideale per accompagnare piatti semplici ma anche il piccione marchigiano oppure pietanze più elaborate. Un profumo persistente, con il sentore di amarena che pervade per intensità. Un tannino setoso e ben integrato al sorso. Must have dell’estate! 
Cinzia Benzi


Piedirosso di Cantine Astroni, anima di Napoli

Succoso, schietto e saporito, con i suoi 12 gradi rappresenta il complemento perfetto per i pasti estivi, grazie alla sua predisposizione a tutti gli abbinamenti, ivi compresi la pizza margherita e lo spaghetto al pomodoro. Colle Rotondella nasce dalle vigne di Piedirosso di Cantine Astroni, a Napoli, a ridosso del quartiere di Agnano e del cratere degli Astroni. Vere e proprie vigne metropolitane, strappate all’urbanizzazione selvaggia, da cui si godono due panorami molto diversi: da un lato si distinguono agevolmente la tangenziale e lo stadio, dall’altro ci si affaccia sulla Riserva Naturale. Ad accudirle c'è Gerardo Vernazzaro, uno dei pionieri della rinascita del piedirosso, considerato a lungo vitigno “minore” rispetto al più blasonato Aglianico, e protagonista in tempi recenti di un movimento che ne sta portando avanti una virtuosa valorizzazione. È un vino paradigmatico, nei suoi profumi di geranio, arancia rossa e ribes, con soffusi richiami di cenere e delicati ricordi iodati e salmastri, che si ritrovano nel sorso succoso, leggiadro e salino. Un inno al terroir e al vitigno, che dà il meglio di sé servito leggermente fresco.
Adele Granieri


Tamburello, 306 N e il valore delle particelle

L’azienda di Salvatore Tamburello si estende per circa 24 ettari, a Poggioreale, in provincia di Trapani, a 200 metri sul livello del mare. A partire dalla vendemmia del 2014, è stato intrapreso un percorso di vinificazione in bottiglia con una produzione iniziale di circa 3.000 unità. Fin dall’inizio l’obiettivo è stato quello sperimentare cercando di comprendere appieno il potenziale delle uve autoctone. Oggi si vinifica solo il 15% della produzione, per circa 15.000 bottiglie. I nomi dei vini sono un omaggio alla terra: corrispondono ai numeri delle particelle catastali su cui si trovano i vigneti. Il 306 N 2024 è un Nero d’Avola in purezza, ottenuto da uve raccolte a mano nella prima metà di settembre. Dopo la fermentazione, il vino affina per sei mesi in vasche di cemento e successivamente in bottiglia, Alla vista si presenta rubino brillante, luminoso. Al naso sprigiona un bouquet intenso: emergono profumi di fragoline di bosco e ciliegia croccante, accompagnati da delicate note floreali di viola e un leggero accenno di pepe. In bocca è sorprendente per la sua freschezza. Il sorso è agile ma profondo, con una struttura ben equilibrata, un tannino fine e levigato che non appesantisce la beva, e una vivace acidità che dona ritmo e dinamismo per una chiusura lunga. 
Leonardo Romanelli


Arianna Occhipinti e il Frappato del cuore

Vino simbolo del territorio di Vittoria, in provincia di Ragusa, il Frappato 2023 di Arianna Occhipinti è un rosso che sorprende per leggerezza e intensità, perfetto se servito leggermente fresco, sembra nato per l’estate. Coltivato su suoli sabbiosi che poggiano sul calcare, vinificato in cemento e in parte affinato in botti di rovere austriaco, racconta l’identità agricola siciliana con voce sottile e profonda. Floreale di rosa e iris, speziato di pepe, e fruttato di ribes e mirto, si esprime al sorso con agilità e tensione; scorrevole e capace di dissetare senza mai perdere eleganza. È il vino che rappresenta Arianna, vignaiola autentica, energica e profonda, che crede in una viticoltura rispettosa della terra e di chi la vive. Il suo Frappato è una carezza che lascia il segno, un rosso gentile, ma vibrante, che accompagna con grazia pranzi estivi e pensieri leggeri. Dal vigneto alla cantina, l’approccio agricolo di Occhipinti è orientato alla sostenibilità e alla biodiversità. Pluricoltura, sovesci e rispetto per la complessa struttura dei suoli sono pratiche quotidiane che rafforzano il legame con il territorio e garantiscono resilienza alla vigna. Una viticoltura che parla al presente, ma ha radici profonde come questo Frappato, che sa essere contemporaneo restando fedele alla sua terra. 
Fosca Tortorelli


Domaine de la Grosse Pierre, evviva il Beaujolais

“Très Beaujolais!”, si legge qua e là visitando il Beaujolais e oltre a un (riuscito) slogan di promozione, è un inno alla gioia semplice del bere bene. Eppure, in Italia, il Beaujolais resta ancora poco frequentato, nonostante i suoi rossi leggeri, fragranti e terribilmente gastronomici siano perfetti anche per l’estate. A Chiroubles – il cru più alto della denominazione, con vigneti tra i 400 e i 500 metri – il Gamay affonda le radici in suoli granitici, che donano freschezza e verticalità alla bevuta. Qui si trova il Domaine de la Grosse Pierre, oggi guidato da Pauline Passot, enologa e sommelier, che ha riportato nuova linfa all’azienda di famiglia con uno stile pulito e sincero, in vigna come in cantina. Il suo Chiroubles 2022 è un vino che colpisce per il suo carattere: note di ciliegia, spezie leggere, fiori, un sorso agile e affatto banale. Da bere anche fresco, su piatti di stagione, ha la leggerezza e la profondità dei rossi che si fanno ricordare. Oltre a Chiroubles, Pauline produce anche Morgon, Fleurie e Régnié, ognuno con carattere distinto ma un filo conduttore: la delicatezza e la bevibilità. Un bicchiere (magari due) e ti chiedi: perché non beviamo più Beaujolais?
Amelia De Francesco


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è il gruppo di giornalisti e collaboratori che racconta per Identità Golose le storie dal mondo del vino (e che realizza ogni mese l'omonima newsletter)

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