La notizia circola da pochi giorni ma ha già superato ampiamente la coltre di nebbia emiliana: La Palta di Bilegno ha appena dato alla luce a un menu degustazione di pasta fresca, un omaggio alle infinite possibilità concesse alla «farina mescolata con acqua e sale» del Piacentino, il territorio dei pisarei e delle sfogline il cui valore è misurato dallo spessore dei calli tra le dita.
Le sorelle Mazzocchi, la cuoca Isa e la maitre Monica, lo pensavano da tempo: «Siamo nella terra di meravigliose paste, fresche e ripiene, asciutte e in brodo, lunghe e corte», spiegano, «ognuna con una storia che parla di luoghi, di tradizioni, di gesti tramandati da mani operose, consumate e felici di creare ogni volta dei piccoli capolavori».
E così, con la luce del sole - il menu è disponibile solo a pranzo, su prenotazione - arrivano Tortelli alla lastra arricchiti con erbe selvatiche, cachi sottaceto, erbe dell’orto e ciccioli, Insalate di pisarei all’acqua dolce (cioè con gamberi di fiume, boccaloni alla fiamma e uova di pesce all’erba cipollina), l’ormai noto (e brevettato) Raviolo di ravioli in 6 stagionature di Parmigiano Reggiano, un Tagliolino con mela, verza e chiodi di garofano servito in una bowl alla maniera di un ramen, Tortelli ripieni di anolini, torlitti e persino un Raviolo al tiramisu in coda.

Il tagliere del Pastiss prima della porzionatura al tavolo

Il Raviolo di ravioli in 6 stagionature di Parmigiano Reggiano, piatto simbolo del menu sulla pasta
Ma è con il
Pastiss alla piacentina che prende forma una felicità d’altri tempi. Porzionato e raccontato al tavolo a metà percorso, «È dedicato alla contessa
Angiolina Arcelli Fontana», leggiamo nel piccolo papiro consegnato al tavolo. Era una colta nobildonna residente a Bilegno, che faceva spesso visita a
Stefana, mamma di Isa e Monica. In una di queste, le rivelò i segreti di questo lussureggiante cono tronco e decorato di pasta frolla: trattiene maccheroni conditi con stracotto di selvaggina (nel nostro caso capriolo, più spesso piccione), uova e amaretti sbriciolati. Sopra la fetta porzionata, è versato infine del sugo ristretto dello stesso brasato.
Una delizia superiore, servita con un cerimoniale degno di una corte regia. Del resto, è una preparazione che affonda le sue radici nel libello di
Apicio, il primo gastronomo che, oltre 2mila anni fa, dette forma a un pasticcio di carne. Che poi venne celebrato in una miriade di declinazioni dai grandi cuochi del Rinascimento italiano (i ricettari di
Maestro Martino da Como o
Bartolomeo Scappi), dai monsù borbonici coi loro timballi fino al Pasticcio di maccheroni «complicatissimo e costoso, ma eccellente se fatto a dovere» che menziona
Pellegrino Artusi nella celebre
Scienza in cucina e l'arte di mangiare bene.
Preparazioni affascinanti, complesse e gustosissime che stanno tornando in voga sulle nostre tavole, forse come moto di reazione agli assemblaggi semplici della cucina espressa e pop. Isa Mazzocchi di certo conosce il valore della cucina/cucina, quella che rifugge le scorciatoie e che richiede tempo, dedizione e pazienza. E Monica il valore del servizio: tutto il menu di pasta è servito in servizi di porcellana, stoviglie di famiglia recuperate dall’oblio e sorrisi in quantità. Non semplici complementi di contorno ma componenti centrali di un assaggio da ricordare.