04-09-2022
Filippo Polidori, ovvero il food guru, in un ritratto digitale
Lo definiscono food guru, espressione impegnativa che un po’ lo diverte e un po’ lo imbarazza («Solo una persona che ha un ego più grosso del Colosseo può farsi chiamare così!» e giù a raccontare l’episodio dal quale tale nomignolo è nato, del tipo “non è colpa mia”). In realtà: prendiamola pure con ironia – e autoironia, quella dimostrata per primo dall’interessato – ma “food guru” non è soprannome campato in aria, perché la sua vita è ricca di intuizioni fertili che riguardano proprio il cibo, a ogni livello.
Per dire:
** anni Novanta: diventa discepolo di Luigi Veronelli dopo essere rimasto folgorato da un suo articolo letto sulla Gazzetta dello Sport, «parlava di cibo e di vino tirando in ballo la musica, l'arte, la storia, i paesaggi… Capii che dietro alla cucina c'è un mondo. E che un piatto o una bottiglia sono la cartina di un luogo»;
** anni Zero: fonda la sua società di comunicazione digitale, la Polidori & Partners, intuendo le potenzialità di un settore che all’epoca muoveva i primi passi in Italia, «internet stava arrivando e io pensai di sfruttarlo per parlare proprio di cibo e di vino. Mi convinsi che il futuro sarebbe passato da lì»;
** anni Dieci: crea il primo grande evento dedicato al cibo da strada, il Rimini Street Food, di gran successo ancor oggi. E chiama come testimonial – anche quella, scelta del tutto inedita all’epoca – i grandi chef, allora ben poco conosciuti, ad esempio personaggi del calibro di Massimo Bottura, Fulvio Pierangelini o Heinz Beck.
Filippo Polidori con Jovanotti al Jova Beach Party
Polidori con Massimo Bottura
Perché? Passo indietro, torniamo alla fine degli anni Sessanta. Giuliano ed Eva Polidori aprono proprio a Sassocorvaro la prima balera delle Marche («Quando in Romagna ce n'erano solo tre!»), il Dancing 2000, un locale che sarebbe diventato mitico: «Babbo era impresario edile ed era anche considerato in paese un gran ballerino di valzer, andava a divertirsi nelle aie e alle sagre. Allora gli venne la pensata di costruire questa balera, che subito prese ad attirare persone anche da lontano». C’era la fila per le serate coi maggiori complessi di liscio; per le domeniche presentate da Pippo Baudo; e persino per certi artisti italiani ancora poco conosciuti, «fu proprio da noi la prima esperienza di Franco Battiato fuori della Sicilia». Il pubblico accorre, si pensa sia sensato anche sfamarlo: nasce il Ristorante 2000, proprio di fronte al dancing, e papà Giuliano mette in cucina sua moglie Eva. Esito: pienone continio e di conseguenza il piccolo Filippo, che nasce proprio in quegli anni, ha poche occasioni per stare coi genitori «ho odiato a lungo il cibo perché mi ha sottratto la famiglia, mamma e papà erano impegnati tutto il giorno tra ristorante e dancing».
(Il Dancing 2000 non esiste più. Invece il Ristorante 2000 serve ancora senza sosta i piatti della tradizione, Tagliatelle al ragù, Coniglio in porchetta o Cappelletti in brodo... Sette giorni su sette, una media di 150 commensali ogni dì, tutto espresso, «qualcosa come 100 chili di pasta all'uovo a settimana, sempre preparata al mattarello, non con le macchine. Una roba folle». In cucina dopo oltre mezzo secolo c’è sempre lei, Eva, 73 anni, insieme a un aiutante e al nipote chef, Alberto Mancini. Dice Polidori jr: «Giuro, non esiste un Coniglio in porchetta migliore di quello del 2000. E, in stagione, provate l’uovo al tartufo bianco, perché il Montefeltro è il vero cuore del Tuber magnatum in Italia»).
Jova Food Court
Serve una contaminazione di momenti e di stili, come quando al Rimini Street Food Polidori faceva levare il grembiule ai grandi chef, dava loro una giacca di pelle da indossare, li metteva su una moto e li intervistava con una piada in mano, chiedendo alla fine una ricetta per una farcitura d’autore, «oggi le piadinerie gourmet sono figlie di quell'avventura. E trovi ancora il giro la piada pensata da Niederkofler o quella di Bottura».
Grandi chef - coinvolti da Polidori - e street food: da sinistra Giancarlo Perbellini, Norbert Niederkofler e Riccardo Monco
Un food truck al Jova Food Court
Rimane una sola domanda: ma allora, come nasce il soprannome “food guru”? «Anno 2016 partecipo con la mia società a una gara per una realtà di comunicazione americana molto importante, mi chiedevano una consulenza digital per un fondo che stava comprando diversi ristoranti negli Stati Uniti. Io mando uno schema presentando la mia squadra di lavoro e me stesso come esperto di food; loro girano il documento a questo fondo traducendo la cosa così: "Filippo Polidori, food guru". L'ho letto e ho detto: che bello! Come suona bene! L'ho fatto mio, ma con autoironia: se vai sui miei profili su internet mi definisco "sognatore, astronauta, food guru, esploratore e all'occasione uomo bionico", oltre che P&P digital food branding. Insomma, mi prendo in giro da solo. E uso la definizione, ma solo per beneficienza: ho registrato il marchio e nel 2019, proprio in occasione del Jova Beach Party, ho realizzato delle t-shirt e dei cappellini con il logo "food guru", la cui vendita è andata a finanziare il Banco Alimentare. Oggi food guru è un brand che raccoglie fondi per progetti a scopo benefico».
Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose
a cura di
classe 1974, milanese orgoglioso di esserlo, giornalista professionista dal 1999, ossia un millennio fa, si è a lungo occupato di politica e nel tempo libero di cibo. Ora fa l'opposto ed è assai contento così. Appena può, si butta su viaggi e buona tavola. Coordinatore della redazione di identitagolose.it e curatore della Guida di Identità Golose alle Pizzerie e Cocktail Bar d'autore. Instagram: carlopassera
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