10-05-2022

Filetto o cotechino? L'importante è che sia "alla Rossini"

I grandi classici tornano alla vita grazie ad interpretazioni originali: Fabio Abbattista lo fa con la salsa ai frutti rossi fermentati, mentre Riccardo Forapani lo reinventa con uno dei più golosi prodotti emiliani. Venite a scoprire le due versioni

Sono tante le leggende che stanno dietro al Filett

Sono tante le leggende che stanno dietro al Filetto alla Rossini, un must della cucina francese. Una di queste racconta che Gioacchino Rossini ordinò in un ristorante tournedos di manzo arricchiti con foie gras e tartufo e, di fronte a una così sorprendente richiesta, il maître d’hôtel l’avrebbe portata passando dietro le spalle (dans le dos) degli altri ospiti presenti in sala per nascondere il “fuori carta” ad occhi indiscreti. 

Salviamo i classici della cucina, perché, se non ci sono “loro” la tavola perde gran parte del suo gusto. Ecco quindi che, gli chef, si cimentano a rileggere le ricette della tradizione, per arricchirle con quel tocco in più che le rende contemporanee e originali.

È il caso del Filetto alla Rossini, che ha sempre affascinato i cuochi. La ricetta classica vuole che si parta dai tournedos, fette di carne ricavate dalla parte centrale del filetto, alte circa 3 cm, legate con lo spago bianco perché mantengano la forma rotonda in cottura, cotte a puntino nel burro nocciola, fino a doratura, poggiate sul pane abbrustolito, anch’esso passato nel burro. Questa prima sovrapposizione di strati – pane e carne – viene a sua volta arricchita dal foie gras, passato,  nella stessa padella caldissima. Ultimo tocco di questa golosa ricetta, la salsa, preparata addensando i sughi delle carni e aggiungendo il tocco profumato del Madera, e tanto tartufo a lamelle, tagliato al momento.

Si racconta che questo opulento piatto sia stato pensato nell’Ottocento e viene attributo a seconda delle leggende, agli chef Modeste Magny, Casimir Moisson e Antonin Carêm.

Una leggenda narra che fu lo chef Casimir Moisson del ristorante Maison Doreé che la dedicò al compositore proprio per la sua sensibilità culinaria, un’altra racconta che Rossini al Café des Anglais a Parigi insistette per vedere lo chef mentre cucinava il suo pasto. Siccome continuava a interferire, alle rimostranze del cuoco, Rossini si dice abbia risposto scocciato: "Et alors, tournez le dos!" (...e allora, voltate la schiena!).

Fabio Abbattista, chef del Leone Felice de L'Albereta Relais & Châteaux

Fabio Abbattista, chef del Leone Felice de L'Albereta Relais & Châteaux

Per alcuni, i Tournedos alla Rossini sarebbero nati dalla collaborazione con Carêm, e avrebbero assunto il nome di tournedos perché il maggiordomo del compositore era costretto a tourner le dos ai commensali quando li portava a tavola per nascondere il segreto della ricetta.

Una storia simile, inserita nel Larousse Gastronomique racconta che Gioacchino Rossini ordinò in un ristorante tournedos di manzo arricchiti con foie gras e tartufo e, di fronte a una così sorprendente richiesta, il maître d’hôtel l’avrebbe portata passando dietro le spalle (dans le dos) degli altri ospiti presenti in sala per nascondere il “fuori carta” ad occhi indiscreti. Qualsiasi sia la verità, questo piatto resta nella storia della cucina francese e mondiale, ispirando anche interessanti rivisitazioni.

Il Filetto alla Rossini di Fabio Abbattista. Foto: Annalisa Cavaleri

Il Filetto alla Rossini di Fabio Abbattista. Foto: Annalisa Cavaleri

Tra le più recenti e interessanti che abbiamo assaggiato ci sono quelle di Fabio Abbattista, chef del Leone Felice de L'Albereta Relais & Châteaux.

«Questa piatto è una mia personale interpretazione del classico francese, che amo molto – spiega Fabio Abbattista -. Mantengo i tre ingredienti chiave - cioè il filetto, il fegato grasso e il tartufo nero – ma ho voluto ripensarlo, con contrasti più netti. Per questo, al posto della salsa al Madera, ne preparo una al vino rosso, omaggio all’Italia, con frutti rossi fermentati che bilancia perfettamente la grassezza del fegato grasso. L’umami lo ottengo grazie alla marinatura del miso che rende la carne più morbida e gustosa con diverse sfumature che vanno del caramello al tostato».

Riccardo Forapani chef del Cavallino di Maranallo

Riccardo Forapani chef del Cavallino di Maranallo

Originale e interessante anche la versione di Riccardo Forapani che, come sempre, sta con piedi e cuore ben ancorati nella sua Emilia. Se vi siederete al Cavallino di Maranallo, creatura di Massimo Bottura, rimessa in pista lo scorso giugno nel quartier generale della Ferrari, potrete gustare un ottimo Cotechino alla Rossini.

Il Cotechino alla Rossini di Riccardo Forapani. Foto: Annalisa Cavaleri

Il Cotechino alla Rossini di Riccardo Forapani. Foto: Annalisa Cavaleri

«Si parte sempre da un prodotto eccezionale della nostra zona – spiega Riccardo Forapani -. Ho scelto il cotechino di Regnani, produttore artigianale a soli 12 km dal Cavallino. Ci facciamo preparare un impasto particolare, con una percentuale segreta di cotenna, per favorire la masticabilità, ma senza avere sensazioni “gommose”. L’insaccato viene sgrassato, cotto a bassa temperatura, passato al Josper per una leggera cauterizzazione che permetta di mantenere i liquidi all’interno del budello. La fetta di cotechino viene servita su un pan brioche. Il piatto è finito con una salsa Rossini a base di fegatini, marsala e fondo di vitello. Ultimo atto: una clorofilla di erbe aromatiche, acciughe e cappero a richiamare la salsa verde e una salsa di marasche, parte dolce e acida del piatto (che fa sposare al meglio le componenti grasse della salsa verde e del cotechino) per terminare con una riduzione di liquore cassis (a base di ribes nero)».

Grandi classici e tanta creatività, per nuove tradizioni da portare nel futuro.


Dall'Italia

Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose

a cura di

Annalisa Leopolda Cavaleri

giornalista professionista e critico enogastronomico, è docente di Antropologia del Cibo e food marketing all'Università di Milano e all'Università Cattolica. Studia da anni il valore simbolico del cibo nelle religioni e collabora con alcune delle più importanti testate del settore

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