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Michele Valotti, classe 1974 da Iseo, chef patron de La Madia di Brione, ha un aspetto vagamente somigliante a quello di Rasputin, e come quest'ultimo può sulle prime essere considerato personaggio piuttosto singolare, dotato - quanto il russo - di un fascino magnetico e di un'attitudine quasi mistica. La mistica di Valotti si declina sul cibo. È un duro e puro che ha bandito dalla sua cucina i prodotti industriali e ormai da diversi anni si affida alle produzioni del territorio circostante, con qualche incursione altrove, attraverso l’utilizzo delle eccellenze provenienti dai presìdi Slow Food. Lo fa alla sua La Madia, il suo centro delle sperimentazioni.
È, quello di Brione, un locale assolutamente straordinario. Dall'esterno simile a un qualsiasi altro ristorante generico e un po' fané di provincia; dentro pare di trovarsi in una trattoria anni Sessanta. Guardando la carta con maggiore cura, però, si notano delle attenzioni che non sono comuni, se davvero si fosse in una semplice trattoria di paese. Intanto, quella alle materie prime: non solo selezionatissime, non solo provenienti da aziende bio, piccoli allevamenti, casari resistenti e agricoltori eroici (ogni piatto ha scrupolosamente elencati i fornitori di ciascun suo ingrediente).
C'è qualcosa di più; di ulteriormente, estremamente interessante: l'uso diffuso della fermentazione come pratica storicizzata sul territorio, non omaggio a influenze esterne ma recupero del proprio passato, dell'identità culinaria di questi luoghi. E, allo stesso modo, l'utilizzo di metodologie raw: il fuoco diretto, l'affumicatura nel forno... Tutto ciò, peraltro, senza barriere mentali di sorta, stile "come faceva la nonna": la cottura avviene secondo usi antichi ma anche ipertecnologici; l'adesione piena a una politica di valorizzazione dei prodotti locali non è un freno nella ricerca di spettacolari cross over d'impronta cosmopolita, così Bergamo e Brescia dialogano col mondo, scoprendo come preparazioni "esotiche" quali il miso giapponese, il budino di segale finlandese o la verza alla lappone abbiano interessanti affinità con le radici culinarie locali e possano così diventare complementi in un menu che a queste ultime è vocato.
Ci dice Valotti: «Qui non c'è standard possibile. Un piatto mangiato oggi non sarà mai uguale a quello che mangerai domani, perché lavoro con piccoli produttori che mi forniscono materia prima viva, vera, sempre cangiante, il cui sapore si modifica col tempo. La nostra abilità è quella di coniugarli al meglio di volta in volta. Oggi c'è in carta l'Oca in onto, ma tra qualche giorno finisce, perché di oche di quella qualità ne trovo poche, e allora proporremo qualcosa di diverso».
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classe 1974, milanese orgoglioso di esserlo, giornalista professionista dal 1999, ossia un millennio fa, si è a lungo occupato di politica e nel tempo libero di cibo. Ora fa l'opposto ed è assai contento così. Appena può, si butta su viaggi e buona tavola. Coordinatore della redazione di identitagolose.it e curatore della Guida di Identità Golose alle Pizzerie e Cocktail Bar d'autore. Instagram: carlopassera
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