23-11-2020

La ristorazione che resiste: a Roma e nel Lazio, tra preoccupazioni e voglia di riscatto

Ascoltiamo i racconti e le voci di alcuni tra i migliori chef della regione: Bowerman, Lo Iudice, Roscioli, Caceres, Pascucci, Serva, Ciavattini

Non dobbiamo più nemmeno raccontarcelo, esplicitarlo a parole. Lo vediamo negli sguardi che ci scambiamo, negli ormai rari momenti in cui ci incrociamo fisicamente: le mascherine ci coprono parte del volto, ma gli occhi dicono tutto. E se non sono gli occhi, è il tono di voce a tradire l'incertezza di questi mesi. Le conosciamo, le abbiamo noi come le hanno gli altri: le preoccupazioni, le difficoltà, le paure, la rabbia. Ma in testa e nel cuore c'è anche la voglia di riscatto, quella spinta che tanti di noi sentono e che dice: "Tieni duro". 

La ristorazione italiana (e non solo) è stata colpita duramente dalla crisi che stiamo attraversando. Incognite, dubbi, domande, frustrazioni. E contemporaneamente orgoglio, dignità, forza: non si molla, ci si rialza anche se ammaccati, si resiste. In questi giorni racconteremo quelle regioni italiane in cui chef e ristoratori possono ancora tenere aperto il loro locale, anche se solo a pranzo. Sono le cosiddette "zone gialle", per ora rimaste cinque in tutto: Sardegna (qui l'articolo di Carlo Passera), Molise, Veneto (qui una prima intervista di Gabriele Zanatta con Massimiliano Alajmo), Trentino (ma non Sud Tirolo) e Lazio. 

Oggi ci occupiamo proprio del Lazio: daremo dunque voce a diversi ristoratori romani, ascoltando esperienze e pensieri di chi lavora in una capitale svuotata dai turisti come non succedeva da decenni, ma anche fermata dallo smart working come accade in tutte le grandi metropoli. E nel contempo ad alcuni dei tanti ristoratori che propongono la propria cucina in altre zone della regione. Cambiano alcuni elementi, spostandosi dalla grande città alle altre aree laziali: non c'è il delivery, si conta maggiormente sul week-end. Ma resta immutato quello spirito resiliente che vogliamo celebrare con questi articoli. 

CRISTINA BOWERMAN - La chef e titolare della Glass Hostaria di Roma non ha solo il compito di parlare per sé. Come Presidente dell'associazione Ambasciatori del Gusto, ha da diversi anni la responsabilità di farsi portavoce delle istanze di molti suoi colleghi. Ed è probabilmente anche per questo che nelle sue parole troviamo molta preoccupazione. «Come stiamo lavorando in queste settimane? Forse dovremmo dire come "non" stiamo lavorando. Ne parlavo anche nei giorni scorsi con alcuni colleghi, al di là delle strade svuotate di gente, si percepisce la paura delle persone. E di chi fa il nostro lavoro. Ora siamo tutti preoccupati per la voce insistente, per questo grande timore, che si possa chiudere anche per Natale: chiaramente è un pensiero che mette tutti quanti in allarme. Personalmente sto lavorando solo il sabato e la domenica a pranzo, oltre a questo propongo anche un servizio in delivery, che sta ingranando lentamente, poco alla volta, ma bisogna considerare che un mio delivery per due parte da 180 euro, non è qualcosa che si possa ordinare tutti i giorni. Lavoricchiamo: siamo al 15-20% del nostro ritmo abituale, non ci guadagnamo di certo, è più un investimento di marketing, per non far dimenticare il nostro nome. Serve soprattutto per dare stimoli ai ragazzi della brigata, altrimenti da un punto di vista emotico sarebbe un colpo molto duro. Per chi fa questo lavoro le preoccupazioni sono tante: adesso le tasse sono sospese, ma prima o poi arriveranno gli F24 da pagare, e come faremo? Purtroppo questa soluzione assomiglia molto a un lockdown camuffato, per chi ha un ristorante che a pranzo non ha mai lavorato è particolarmente diffiicile, ma questo non è nemmeno il momento di puntare il dito e cercare delle colpe. Possiamo solo sperare che la situazione si riveli meno drammatica di come qualcuno dice che sia e che sarà, tenere duro e superare le nostre paure».

GIUSEPPE LO IUDICE - Insieme ad Alessandro Miocchi guida l'ammiraglia Retrobottega con i suoi diversi satelliti (l'enoteca Retrovino, il pastificio Retropasta, l'e-commerce Retrodelivery), nati in questi anni da una verve imprenditoriale fuori dal comune. E se questi mesi sono stati difficili per tutti, la squadra di "Retro" ha avuto qualche ostacolo in più da superare. «Abbiamo fatto fatica nelle scorse settimane perché quasi la metà del nostro staff è risultata positiva al Covid-19, per cui abbiamo dovuto chiudere tutti i locali per diverso tempo. Solo da pochi giorni stiamo gradualmente riaprendo tutto: siamo ripartiti da quella che è una vera novità, la nostra caffetteria, ospitata negli spazi dell'enoteca Retrovino. Con Retrocaffè si parte dalle 8 di mattina con le colazioni e questo servizio sta funzionando molto bene: un po' perché è una novità, un po' perché la colazione la fanno tutti, è un momento importante della giornata. Poi andiamo avanti con il pranzo, che funziona perché è molto semplice e pop, e proseguiamo fino alle 18. Il ristorante vero e proprio durante la settimana fa decisamente fatica, i coperti sono proprio pochi, solo nel fine settimana recuperiamo un po'. Il delivery è ancora fermo, è l'ultima cosa che dobbiamo riaprire dopo la pausa forzata e lo faremo nei prossimi giorni. Per fortuna riusciamo a lavorare abbastanza con il pastificio: le persone che hanno voglia di cucinare e di passare delle serate di convivialità sono ancora tante, così vengono a comprare la nostra pasta fresca. Detto tutto questo, a Roma ho la sensazione che la situazione sia ancora migliore rispetto ad altri luoghi d'Italia, non credo ci sia la stessa atmosfera di terrore. In più il clima ci sta un po' aiutando, nelle belle giornate riusciamo ancora a mettere qualche tavolo fuori: nella sfortuna, vorrei sentirmi ancora più fortunato di cui ha dovuto chiudere del tutto...».

MARIA ELENA ROSCIOLI - Con Anna, Pierluigi e Alessandro è al timone di una vera istituzione romana, anch'essa articolata in diverse proposte e insegne. Lo storico forno, il più celebrato ristorante (e salumeria), la Rimessa, l'e-shop, il delivery, il bar... La diversificazione aiuta ad affrontare la tempesta in corso, ma non risolve del tutto i problemi. «Durante il periodo della quarantena, essendo noi anche un negozio di alimentari, siamo rimasti aperti e abbiamo continuato a lavorare con le spese a domicilio e l'asporto e il delivery della nostra cucina. Sotto quarantena stretta abbiamo lavorato piuttosto bene, poi con l'estate abbiamo tutti tirato un po' un sospiro di sollievo, perché abbiamo ricominciato a lavorare con il ristorante e con la spesa direttamente in negozio: la situazione si era effettivamente risollevata, settembre è stato un mese buono, con le nuove restrizioni invece ci ritroviamo in un limbo, perché non siamo né chiusi né completamente aperti. Con il ristorante abbiamo sempre lavorato soprattutto a cena, dover chiudere alle 18 ci ha colpito molto: lavoriamo a pranzo e proseguiamo il servizio fino alla chiusura, gli ultimi tavoli li prendiamo alle 16.30, però senza turisti stranieri è difficile che qualcuno voglia pranzare in quegli orari. E la clientela su cui possiamo contare al momento è fatta quasi esclusivamente di romani: dalle 18 in poi lavoriamo ancora con la spesa in negozio, ma le strade sono davvero desolate a quell'ora, un deserto impressionante. Abbiamo il servizio di delivery, ma devo dire che non sta funzionando molto, lavoriamo in modo incostante. I pranzi dei weekend ci danno qualche soddisfazione e infatti abbiamo deciso di restare aperti anche alla domenica, che era per noi giorno di chiusura. Di fianco alla salumeria-ristorante abbiamo anche un caffè e bar, con cui riusciamo a lavorare un po' anche sull'aperitivo, dalle 17 alle 18, abbiamo la speranza soprattutto di poter contare sugli acquisti natalizi nel negozio, il periodo di Natale per noi è sempre stato di grandissimo impegno, con il ristorante pienissimo e gli ordini al banco: quest'anno potremo contare solo su questi ultimi».

ROY CACERES - Da pochi giorni premiato a Identità On the road 2020 con il Premio Creatività in Cucina, questo chef colombiano ormai adottato dalla capitale sta affrontando più d'una difficoltà con determinazione e presonalità. Il ristorante con sui si è fatto conoscere, Metamorfosi, è chiuso, non per via del Covid-19, ma per altri problemi. Lui però non si ferma, e con il progetto Carnal (insieme a Riccardo Paglia Andrea Racobaldo) ha conquistato un pubblico più pop, e quindi anche più ampio. «Purtroppo Metamorfosi aveva dei problemi grossi per via della location: di sicuro non riaprirà più dove era un tempo. Dovremmo cercare una soluzione alternativa, ma questo evidentemente non è il momento migliore per farlo. Aspettiamo, per ora. Con Carnal invece abbiamo deciso sia di tenere aperto a pranzo, sia di spingere il nostro delivery, con delle box che facevamo già durante il primo lockdown. Sono quattro box diverse, all'interno il cliente trova dei piatti semi-pronti, da completare terminando qualche cottura e poi con i condimenti e le salse. Abbiamo realizzato appositamente dei tutorial molto semplici, è una propposta che sta funzionando abbastanza bene. Stiamo cercando di limare i costi in ogni modo, noi tre soci siamo sempre in cucina e ci occupiamo personalmente di tutto, pulizie comprese: quando ci serve, a turno, anche per dar loro un po' di ossigeno e tenerli su di morale, togliamo uno dei ragazzi dalla cassa integrazione e lo mettiamo al lavoro con noi. Dobbiamo rimanere a galla, aspettando che passi la tempesta, non possiamo fare altro. Il pranzo funziona fino a un certo punto, la zona in cui ci troviamo, vicinissimo al Vaticano, adesso è molto poco frequentata, niente turisti, niente uffici e tutti in smart working...è difficile fare incassi così. Lavoriamo bene solo nel fine settimana, per cui cerchiamo di fare del nostro meglio per contenere le perdite».

GIANFRANCO PASCUCCI - Lasciamo Roma, e le difficoltà che tutte le grandi città stanno vivendo in questi mesi, per ascoltare voci e racconti anche dal resto della Regione. La prima tappa ci porta al Porticciolo di Gianfranco Pascucci, a Fiumicino. Ancora vicino alla capitale, ma anche con il polso della situazione sul litorale laziale. «Sì, credo che il nostro punto di osservazione sia rappresentativo di come vanno le cose da queste parti: nel weekend i pranzi vanno piuttosto bene, anche se con capienze limitate, ma d'altronde avere molti coperti non faceva in ogni caso parte delle nostre abitudini, del nostro modo di interpretare questo lavoro. Durante la settimana si fa molta fatica: l'aeroporto è chiuso, i pranzi di lavoro non si fanno più, c'è ben poco su cui contare. Però voglio guardare anche ai lati positivi della situazione: siamo aperti, continuiamo a lavorare, e con i ragazzi della brigata stiamo approfittando di questo tempo per studiare e sperimentare molto, ci aiuta a rimanere concentrati e a migliorarci sempre. In più, quei pochi che vengono a mangiare da noi in settimana sono persone veramente interessate alla nostra cucina: e così abbiamo modo di dar loro il massimo, di instaurare un dialogo, sono venuti anche diversi colleghi e mi ha fatto molto piacere, sono stati degli scambi molto belli. Anche il clima ci ha aiutato in questo senso. Insomma, se per un attimo provo a dimenticare il lato economico della questione, da un punto di vista squisitamente professionale ci sono elementi di interesse. Per il resto...il nostro è un ristorante che ha sempre lavorato soprattutto a cena, è difficile chiedere a chi sta a Roma di spostarsi fino a qui per un pranzo, per un menu di Pascucci. La situazione è questa, non abbiamo alternative: tenere botta, aspettare che passi, essere pronti quando succederà».

SANDRO SERVA - Con il fratello Maurizio ha condotto il ristorante di famiglia - La Trota di Rivodutri (Rieti), attivo dal 1963 - al successo, conquistando due stelle e affermandosi come l'unico stellato d’Europa a avere un menu stellato interamente dedicato al pesce d’acqua dolce. Un'istituzione del territorio, che però nonostante meriti e blasone fatica come tutte le insegne in questo frangente complicato. «E' difficile per tutti, sì. Noi siamo fuori dai grandi centri e se questo potrebbe penalizzarci, è anche un nostro punto di forza. Se durante la settimana è molto difficile che qui arrivi qualcuno per il pranzo, nel weekend invece stiamo lavorando abbastanza, anche perché le persone colgono l'occasione per rilassarsi, per svagarsi, per lasciare la città e venire in mezzo alla natura, dove ci troviamo noi. Siamo in un'oasi naturale, a un'ora da Roma, quando le persone arrivano qui possono davvero dimenticarsi per qualche ora tutto quello che sta succedendo e godersi la giornata. Infatti ci rendiamo conto, e ci fa davvero molto piacere, di come le persone tendano a fermarsi qui, a volte quasi fino al momento della chiusura obbligatoria alle 18. E' bello perché questo genera uno scambio, una relazione molto umana: è stato bello anche accorgerci di come i nostri clienti abituali tengano a noi e al nostro ristorante. In tanti ci hanno chiamato per chiederci come andavano le cose, per dirci di tenere duro, in tanti alla prima occasione sono venuti a trovarci: sono cose che scaldano il cuore. Ma anche in questo periodo arrivano facce nuove, soprattutto durante l'estate abbiamo avuto la fortuna di poter accogliere molte persone che per la prima volta passavano da queste parti, avendo organizzato le proprie vacanze nel centro Italia».

DANILO CIAVATTINI - L'ultima voce che ascoltiamo è quella di uno chef che da tre anni ha aperto il ristorante che porta il suo nome a Viterbo, dimostrando grande impegno e grande capacità nel celebrare il proprio legame con il territorio. Anche per Ciavattini il lavoro nei giorni della settimana è molto poco. E per questo ha deciso di aprire solamente venerdì, sabato e domenica. «Avevamo ripreso bene, dopo la prima chiusura. Lavoravamo tanto nel fine settimana, certo, ma andavamo molto bene anche negli altri giorni. Con le ultime restrizioni invece siamo stati costretti a chiudere, non aveva senso altrimenti: anche a pranzo ora le persone organizzano con più oculatezza i propri movimenti. Prima magari capitava che qualcuno arrivasse in città per un impegno di lavoro, per poi decidere di passare a pranzo da noi: ora non accade. E comunque avere un ristorante gourmet non vuol dire semplicemente fare numeri, macinare coperti: un ristorante come il nostro vive di passione, di sorrisi, di contatto umano, di strette di mano, di tante cose che ora non possiamo mettere in campo. Già la sola mascherina toglie molto a questa relazione tra noi e i clienti: è un periodo, dobbiamo solo sperare che sia di passaggio, il più breve possibile. Noi siamo un'insegna relativamente giovane, in questi mesi abbiamo accolto anche tanti clienti nuovi: ora accade di meno anche perché le limitazioni degli spostamenti tra regioni, ci impediscono di accogliere chi arriva dalle aree confinanti con la nostra. Al momento non abbiamo certezze, è tutto in costante evoluzione».

Dopo aver dato spazio a sette ristoratori laziali, chiudiamo questo raccontro da una delle regioni "gialle" d'Italia con una breve testimonianza di una firma molto autorevole del giornalismo gastronomico europeo, l'ungherese András Jókuti, che ha appena passato alcuni giorni a Roma, facendo quello che ama di più: visitare ristoranti e assaggiare la cucina locale. Questo è quello che ci ha detto della sua esperienza nella capitale: «Sono stato a Roma proprio in questi giorni, dopo aver visitato anche la Puglia e la Lombardia. Nonostante sia stata un'esperienza in qualche modo strana vedere la scalinata di Piazza di Spagna, o Piazza San Pietro, completamente senza turisti, mi ha fatto piacere vedere come la scena gastronomica capitolina sia ancora vitale. Certo, non è come prima: ma la clientela della città continua a frequentare le insegne più quotate, le quali offrono un servizio di grandissima qualità anche in questi momenti così tristi e difficili. I ristoranti in cui mi sono trovato meglio sono stati Marzapane, Pascucci al Porticciolo, Zia, Santopalato, Trecca, Retrocaffè, Barred e Achilli al Parlamento: è davvero entusiasmante vedere come, anche in queste settimane, ci siano chef come loro che creano sempre nuovi piatti, celebrando la cucina romana nel modo migliore possibile».

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Niccolò Vecchia

Giornalista milanese. A 8 anni gli hanno regalato un disco di Springsteen e non si è più ripreso. Musica e gastronomia sono le sue passioni. Fa parte della redazione di Identità Golose dal 2014, dal 1997 è voce di Radio Popolare 
Instagram: @NiccoloVecchia

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