A dicembre 2010, al tintinnare dei 30 anni, Matteo Torretta s’è voltato e ha pensato: «non potevo che fare il cuoco». Una salvezza se cresci a Rho, periferia milanese. Un passo naturale se già piccoletto sei lì a osservare nonna e mamma pugliesi sfornare in serie orecchiette, pane, panzerotti e bendiddio assortiti. «Il mestiere non poteva che scegliermi». A quel punto occorreva assecondarlo sgattaiolando dalle slinding doors più propizie. Nell’ordine: diploma all’Istituto alberghiero Carlo Porta nel 2000, poi subito in stage all’Albereta di Gualtiero Marchesi: accade appena dopo il militare «ma non riuscivo a distinguere l’una esperienza dall’altra». Sgusciate tonnellate di gamberi, va a fare il viveur a Parigi ma il diavolo della cucina d’autore gli imperla il cuscino di notte. Lo chiama Perbellini nel Veronese e qui per la prima volta scruta affascinato gli orizzonti della vera pasticcera: «allibii davanti a un impasto madre di 70 anni». In un anno e mezzo da Cracco(Peck) apprende «l’eleganza mista al rigore», cui dopo aggancia il bagaglio della cucina italiana fatta-come-si-deve a Villa Crespi con Tonino Cannavacciuolo: «grandi paste, grandi primi, grandi gusti». Ma il balzo più importante lo stacca nel 2005, da Martin Berasategui a Lasarte. Varcata la porta, il tristellato basco gli si fa subito incontro: «Se vuoi essere un cuoco devi prima imparare a essere una persona». E via di cuba libre. Solo che dopo è tutto tranne che cazzeggio: rigore, rigore, rigore. In un meccanismo spersonalizzante («potevi mettere mia madre in cucina al mio posto e il risultato non cambiava»), Torretta riesce a passare da stagista a capo partita in meno di 3 mesi. Che poi diventano 4 anni e mezzo. Si torna a casa. C’è da risvegliare un gigante dormiente, il Savini di Milano, che dopo qualche mese lo chiama in plancia di comando: a neanche 28 anni Torretta diventa chef, alternando la cucina di ferrea tradizione a quella più estrosa «che è tradizione alleggerita». Dal 2013, chiusa la parentesi del Savini, quella molto breve del Divino Crisaore ai Feudi della Medusa in Sardegna, e quella di Al V Piano, ristorante del Grand Visconti Palace , è alla guida di Asola, insegna condotta con l'unico piglio che conosce: ragionare sui piatti con la sua testa e quella di nessun altro. Un modo di ragionare e cucinare che, dal gennaio 2018, gli consente di stare in cabina di regia pure dell'ex ristorante Essenza di via Marghera.
di
classe 1973, laurea in Filosofia, coordina la Guida ai Ristoranti di Identità Golose e tiene lezioni di storia della gastronomia presso istituti e università. instagram @gabrielezanatt
Utilizza i campi sottostanti per effettuare una ricerca nel database degli Chef e dei Protagonisti.