In questo periodo ho evitato di parlare della situazione Covid-19, ho letto invece centinaia di illazioni legate ai moralismi e sentimentalismi stile “il mondo cambierà”. A mio parere previsione troppo ottimista, se non proprio inadeguata: la storia insegna che l’uomo dimentica presto.
Spero piuttosto di ritrovare una realtà in cui noi cuochi si possa tornare a “fare tavola” senza autoproclamarci cavalieri di nuove frontiere o portavoce della pace cosmica. Anzi, spero che tutto questo conduca a un reale senso di collettività e a un maggiore confronto tra noi; ricordando sempre che il nostro scopo è quello di emozionare le persone.
Credo di non essermi lamentato una sola volta per la situazione che si è venuta a creare; lamentarsi non è un atteggiamento che mi rispecchia, penso denoti un mancato self-control che non è concesso a chi cerca di essere un riferimento per colleghi e proprietà; lo reputo un aspetto fondamentale per un professionista. Ho riflettuto semmai su quali fossero i potenziali "vantaggi" di questa situazione, e sono arrivato presto alla conclusione che il momento in cui tutto si ferma e si spegne diventa la perfetta occasione per dedicare tempo all'introspezione e in primis allo studio “matto e disperatissimo”.

Durante la quarantena così ho avuto modo di approfondire alcune ricerche che stavo già conducendo con l’Università di Catania. Tra queste quella relativa al cosiddetto “formaggio di pasta”: in pratica inoculiamo delle muffe negli spaghetti secchi, ammollati in un’acqua di pasta lattofermentata, e li lasciamo maturare per diversi giorni. Si tratta del progetto che porterò anche all’edizione prossima di
Identità Golose. Inoltre, sempre con l’Università, stiamo mettendo a punto un'ulteriore nuova tecnica: l’ipermaturazione. Si tratta in sostanza della maturazione di un prodotto oltre limite, con la successiva ossidazione della sua componente lipidica. I primi test li abbiamo effettuati su alcuni avocado siciliani, e i risultati sono stati piuttosto sorprendenti: all’assaggio la sensazione è super-avvolgente, acida e leggermente metallica.
Infine, tra un esperimento e l'altro, ho sfruttato tutto questo tempo a disposizione per accomodarmi su un vecchio divano della mia stanza, che ha ormai perso la mia forma, ritrovandovi il piacere di leggere tutti i numeri, alcuni dei quali non ancora consultati, di Cook_inc, una rivista che mi piace particolarmente.
Parlando di ristorazione post-Covid, penso fermamente che nessuno debba cambiare il proprio stile, a esclusione dei cambiamenti momentanei legati a questioni di business e organizzative contingenti. Lo stile è l’identità precisa di un cuoco, che non può essere modificata in tre mesi di riposo. È inutile negare che stiamo per affrontare un'altra crisi economica; le brigate nei ristoranti saranno, forse solo inizialmente, ridotte, per cui tutti dovranno riorganizzarsi.
Personalmente sono sempre più convinto che il gusto e la semplicità siano le chiavi di lettura migliori per programmare la cucina del futuro. È da un anno ormai che approfondisco ed esaspero l’umami, attraverso un'opera quotidiana di sottrazione nonché sfruttando le conoscenze che ricavo dagli studi in Università. E sono ancor più convinto di come oggi per noi giovani cuochi vi sia una responsabilità in più: occorre pensare a un nuovo modello di cucina italiana. Abbiamo visto molte correnti dettare le guide della ristorazione globale: prima la Spagna, poi il Nord Europa, quindi il Sudamerica... Ora direi che tocca all’Italia e il punto di partenza è un'idea ormai condivisa da molti miei coetanei: le radici sono il nostro futuro. Sarà come una corsa a staffetta: ognuno di noi deve percorrere i suoi cento metri al massimo delle proprie possibilità. Poi la vittoria diventerà di tutti.